Una lettera di… 2. A venticinque anni dalla morte: una lettera di Vittore Fiore

Ma torniamo ora al mio saggio, di cui inviai a Vittore un estratto cartaceo, come allora usava. In quel lavoro, poi compreso nel volume Scrittori del Reame. Ricognizioni meridionali tra Otto e Novecento (Lecce, Pensa, 1999), avevo collocato il libro di Fiore nel filone della poesia meridionale sviluppatosi nel secondo dopoguerra, di cui i rappresentanti maggiori erano Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto e Leonardo Sinisgalli. A questi si erano aggiunti, tra gli altri, due poeti più giovani, con i quali Fiore era in contatto, il salentino Vittorio Bodini e il lucano Rocco Scotellaro, le cui raccolte escono proprio in quegli anni: Bodini pubblica La luna dei Borboni nel 1952, mentre È fatto giorno di Scotellaro uscì postuma nel 1954 a causa della prematura scomparsa dell’autore. Infatti, anche in Ero nato sui mari del tonno – scrivevo – “al centro del discorso poetico in tutta la raccolta resta costantemente il tema del Sud, il Sud con la sua storia e le sue leggende, il passato e il presente, il mito e la cronaca, le tradizioni popolari e i problemi sociali, il paesaggio naturale e l’elemento umano, in una strettissima, inscindibile quasi, correlazione di tutti questi aspetti”. E anche Fiore con la sua poesia cerca di percorrere una “terza via”, auspicata da Bodini, tra post-ermetismo e neorealismo, aprendosi al reale con una maggiore capacità comunicativa rispetto agli ermetici ma senza rinnegare le conquiste espressive della lirica moderna come spesso facevano i poeti neorealisti,

Nella lettera, Fiore mi dava atto di “aver colto felicemente nel segno” con la mia analisi della raccolta, di cui riportava il giudizio di sintesi che avevo espresso (scrivevo che era caratterizzata da un “singolare, suggestivo impasto ideologico, stilistico, lessicale”). Invece l’espressione “Si susseguono archi di trionfo”, è il verso di una lirica in essa compresa, Ha un nome la mia solitudine. Successivamente mi preannunciava la pubblicazione di un volume che doveva raccogliere tutta la sua produzione poetica, da Ero nato sui mari del tonno fino alle ultime composizioni tra le quali citava Visita al castello che risale al 1995. In effetti, il volume, dal titolo Io non avevo la tua fresca guancia. Poesie 1952/1996, uscì nel novembre del 1996 con le edizioni Palomar di Bari e Vittore me lo mandò con la seguente, affettuosa, dedica: “A Lucio | critico profondo | amico carissimo | Vittore | 25. 2. 97”. Al tempo stesso, nella lettera, accennava al Convegno di studi sul “Nuovo Risorgimento”, il periodico da lui fondato e diretta dal 1944 al 1946, di cui venne edita una ristampa anastatica nel ’95 sempre dalla casa editrice Palomar di Bari. Il Convegno, in effetti, si svolse a Lecce presso l’ex Monastero degli Olivetani il 13 maggio 1996, organizzato dal Dipartimento di Studi storici dell’Ateneo salentino. A esso parteciparono studiosi e intellettuali di primo piano, da Enzo Forcella a Antonio De Luna, da Santi Fedele a Raffaele Colapietra, oltre a docenti dell’Università di Bari e del Salento come Donato Valli, Ennio Bonea, Francesco Fistetti, Angelo Semeraro, Mimmo Fazio, nipote di Fiore, Cosima Nassisi e chi scrive questa nota. Alla fine dei lavori Vittore, nonostante le condizioni di salute precarie, tenne un intervento durato quasi un’ora nel corso del quale rievocò più volte tutti i principali protagonisti delle battaglie meridionalistiche. Nelle pause dei lavori ci fu il tempo di fare delle foto-ricordo nel chiostro, sullo sfondo dello splendido pozzetto barocco a baldacchino. In quella che pubblichiamo Vittore è al centro circondato dai relatori e dai numerosi partecipanti.

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2 risposte a Una lettera di… 2. A venticinque anni dalla morte: una lettera di Vittore Fiore

  1. Antonio Devicienti scrive:

    Semplicemente grazie…

    • Domenico Di Nuovo scrive:

      Nonostante abbia svolto gran parte delle sue attività nel capoluogo barese, quest’articolo è un’ennesima testimonianza del rapporto viscerale che Vittore aveva col “suo” Salento. Si potrebbe quindi dire che il la locuzione “nemo propheta in patria” non faceva al suo caso.
      Domenico Di Nuovo

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