Il coraggio di rigettare il falso progresso

di Antonio Errico

Qualche giorno fa, mentre leggevo sul “Corriere della Sera” un articolo in cui Claudio Magris parla degli effetti che la tecnica può produrre sulla Terra, ho avuto paura.

Magris non è un avventuriero della parola. E’ uno che nelle parole ci crede, che conosce perfettamente il peso che hanno, per cui usa quelle che devono essere usate, nel modo in cui devono essere usate, non una di meno, non una di più.

Così, mentre leggevo l’articolo, ad un certo punto ho avuto paura.

Quando ho letto che oggi la banalità filistea sta distruggendo il presente trasformando l’uomo stesso in un alieno che non si riconosce più, ho avuto paura.

Quando ho letto che alla fine del deserto di questo nostro presente, ci potrebbe essere una Non-Terra, almeno per noi come siamo, una Non-Terra per alieni nati con chissà quanti Dna e figli di chissà quante madri, robot e cyborg ancor più noiosi di quelli dei racconti di fantascienza, ho avuto paura.

Non mi è passata nemmeno con la similitudine che Magris fa tra l’accelerazione che caratterizza la trasformazione della specie e le vecchie comiche di Ridolini che facevano ridere per la velocità innaturale con cui si muovevano i personaggi.

Ho avuto paura, dunque, perché tutto quello che dice Magris rappresenta la realtà. Forse stiamo davvero accelerando in modo innaturale, sproporzionato, tutti i processi di trasformazione. Stiamo scombinando gli assetti della natura e della cultura senza selezionare, senza distinguere il positivo dal negativo, il bene dal male. Anzi, probabilmente non riusciamo più a riconoscere il bene ed il male, o semplicemente non ci poniamo il problema della differenza. Personalmente non credo che si possa addebitare una qualche responsabilità alla scienza o alla tecnica; non se ne può addebitare neppure alla tecnologia. La responsabilità è nell’uso che ciascuno ne può fare, nella direzione che, da parte di tutti, si dà alle possibilità che esse hanno.

Quando la Terra diventerà quella Non-Terra di cui parla Magris, non ci sarà più né chi adesso sta scrivendo queste righe né chi adesso le sta leggendo: per fortuna, vorrei dire. Perché la memoria di com’è stato e la constatazione di com’è diventato sarebbe straziante.

Si potrebbe dire che avverrà tutto gradualmente, che non ce ne accorgeremo.

Non è vero. Sta già avvenendo, e ce ne accorgiamo. Con rammarico. Con dolore.

Ci accorgiamo delle conseguenze che produce il cambiamento climatico, per esempio.

Ho letto l’articolo di Claudio Magris ed ho avuto paura. Però poi mi sono detto che da intellettuale illuminista che porta il ragionamento fino agli estremi esiti logici, Magris non ha tenuto conto della dimensione sentimentale, della componente che fa agire l’istinto di sopravvivenza, della contraddizione che spesso si verifica all’interno dei processi della storia. Ad un certo punto gli uomini tenteranno di salvarsi la vita. Non so dire quando avverrà, in che modo, con quali mezzi, con quali risorse. Probabilmente sono gli scienziati che su questo possono fare delle previsioni attendibili. Però accadrà. In un pomeriggio che l’aria diventerà una zolla di terra nella gola. Una mattina di primavera che dalla finestra si vedrà soltanto una lastra con il colore del carbone. In un inverno afoso in cui si avrà il desiderio del freddo sulla faccia. Accadrà quando le aree fertili diventeranno aride per il mutamento della distribuzione delle piogge, della direzione dei venti. Quando lo scioglimento dei ghiacci delle zone polari innalzerà il livello dei mari e le acque sommergeranno le zone costiere. Quando le variazioni del clima intensificheranno la frequenza di cicloni e uragani e tsunami.

Accadrà quando ci verrà la nausea – perché ci verrà la nausea- di tante inutili macchinette inventate dalla tecnologia, quelle che ci ingombrano le giornate e il cervello. Allora ci terremo soltanto la scienza buona, la buona tecnica, la buona tecnologia: quella che serve davvero agli uomini, che li fa stare meglio, che gli agevola la vita. Allora ci libereremo dalle cianfrusaglie che adesso adoriamo come vitelli d’oro.

Qualcuno dice che si tratta di ingenuità. Qualcuno dice che non ci si può più fermare, perché il mercato ha le sue ragioni che prevalgono su qualsiasi altra ragione. Business business business.

Eppure può accadere. Eppure si può avere speranza che esistano ragioni dell’umano più forti di quelle del mercato.

Magris ricorda che nell’Uomo senza qualità, Musil parla dell’impulso di scendere dal treno, dell’ “impressione sgradevole di aver già oltrepassato la meta e di aver imboccato la strada sbagliata”.

L’impulso di scendere dal treno che ha preso una velocità vertiginosa, incontrollabile, a volte è forte.

L’impressione sgradevole di aver preso una strada che ci porterà a sfracellarci contro una muraglia innalzata con i veleni, a volte si fa quasi certezza.

Indietro non si torna. Non sarebbe neanche giusto. Anzi sarebbe deprimente. Al progresso ed al benessere non si può e non si deve rinunciare.

Indietro non si torna, ma si può scegliere una strada migliore per andare avanti.

Se ripenso all’articolo di Magris, mi fa meno paura. Certo, ha ragione. Gli scenari che proietta sono possibili, sono probabili. Il discorso è lucidissimo e le ipotesi risultano dall’analisi dei fatti. Ma occorre avere fiducia anche negli umori delle masse, nelle loro rivolte. Spesso è dal malcontento, dall’esasperazione che vengono le rivolte. Prima o poi, le masse avranno un rigetto di tutto questo falso sviluppo, di tutto questo falso progresso. Capiranno che si sta andando veloce, sempre più veloce, verso la fine dell’umano. A quel punto tireranno il freno. Lo faranno d’istinto, senza starci troppo a pensare. Ci salveremo all’ultimo minuto. Come in certi film che il treno si ferma, dopo una corsa folle su un binario morto, si ferma sulla soglia del precipizio, quando tutto sembra ormai finito, e i passeggeri scendono e guardano le margherite, con lo stupore di chi incontra la bellezza per la prima volta.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, mercoledì 31 maggio 2017]

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *