La città della droga

di Gianluca Virgilio

Ho chiesto ai miei studenti diciassettenni-diciottenni di descrivere in un tema il fenomeno della droga a partire dalle proprie conoscenze dirette o indirette. Non voglio sapere, ho detto, se qualcuno fra di voi si fa le canne – e ho sorriso sornione mentre loro mi guardavano esterrefatti –, voglio solo che mi descriviate il fenomeno e che sappiate dirmi quanto esso è diffuso tra i giovani della vostra età. E siccome tra di voi c’è almeno un rappresentante per ogni paese limitrofo, ciascuno riferirà sulla diffusione della droga nel proprio paese; in questo modo, avremo un quadro pressoché completo del problema, almeno in questa parte della provincia di Lecce.

Il giorno in cui si doveva leggere il tema, tutti volevano piuttosto parlare che leggere, per raccontare a me e agli altri studenti la propria esperienza. Risultato: gli studenti si sono accordati nel dire che il 35 per cento dei giovani di età compresa tra i quindici e i diciotto anni fa un uso saltuario, cioè solo nel fine settimana, di droghe leggere (hashish e marijuana),  il 20 per cento un uso abituale, il che vuol dire almeno una canna al giorno, il 15 per cento ha sviluppato una sorta di dipendenza, ovvero fuma molte canne al giorno, e infine il 30 per cento non ha mai fumato o ha solo provato una volta senza però continuare. Mi hanno detto, inoltre, che il 10 per cento sniffa cocaina, mentre l’eroina è quasi del tutto ignorata dai giovani; le droghe sintetiche (ketamina, anfetamina, LSD, extasy) sono poco diffuse perché costose e perlopiù si consumano in discoteca. Hanno aggiunto che, man mano che si cresce, dopo i vent’anni, aumenta l’uso di cocaina. Il consumo delle droghe leggere avviene tra amici, in luoghi seminascosti quali il centro storico, in periferia, ma anche a scuola (prima di entrare o, una volta dentro, nei bagni), nelle cosiddette caseddhe e in altri luoghi sottratti al controllo sociale e genitoriale (ma alcuni pare che fumino con i genitori). Alla domanda: perché si fuma? Hanno risposto: “perché fa sentire bene”, “ha un effetto rilassante”, “ti fa stare allegro”, ecc. I prezzi piuttosto modici e accessibili alle giovani tasche (circa dieci euro a grammo, con tre euro puoi farti una canna) spiegano (in parte) la diffusione del fenomeno. Ho chiesto se sapessero dirmi chi ci guadagna da tutto questo commercio, e mi hanno spiegato che ci guadagnano in molti, dal piccolissimo spacciatore che consuma gratis al boss che controlla lo spaccio di interi paesi.

Tra i miei studenti, chi più voleva parlare e dire la sua: l’argomento risultava intrigante. Mi hanno riportato – come sovente accade a scuola – alla mia giovinezza, quando avevo la loro età e qualcuno (non pochi) si apprestava a fare il grande salto verso l’eroina. Ho raccontato loro di un maggio di tanti anni fa, sarà stato il 1980, io e un mio amico eravamo su una panchina della villa grande,  seduti alla nostra maniera trasgressiva, sulla spalliera e coi piedi sul sedile, faceva molto caldo e indossavamo le magliette con le maniche corte, e io vidi che il mio amico aveva un buco nel braccio sinistro, come quando ti fanno un prelievo di sangue e ti si forma un ematoma scuro sulla pelle. Era la sua prima volta, cui sarebbero seguite infinite volte, fino alla morte prematura. Per dare le dimensioni del fenomeno così com’io l’ho vissuto, ho citato Antonio Liguori, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno” che nella cronaca di Lecce e provincia (“Gazzetta di Lecce” di sabato 11 dicembre 2010, p. III), ha ricordato il “notevole tributo di giovani vite” galatinesi: “dal 1990 al 1993 le morti per AIDS legate all’uso di droga furono 26; un dato che con gli anni aumentò progressivamente; nel 1994 il GOT censì tra i giovani circa 400 tossicodipendenti a grave rischio di decesso per overdose o a forte probabilità di contagio” (come si capisce, ho conservato l’articolo). Non so se i giovani d’oggi corrano un simile rischio, certamente ne corrono uno analogo ma di forma diversa. Il loro desiderio di sballo collettivo, a piccoli o grandi gruppi, è incredibilmente elevato, il che vuol dire che essi provano una grandissima difficoltà a confrontarsi con la realtà, a mantenere i piedi per terra, manifestando tutti i sintomi di un disagio esistenziale che indubbiamente è anche un disagio sociale. Ma non è la nostra società la prima responsabile di un modello di vita che induce frustrazione e insano desiderio di evasione? Che cosa facciamo noi adulti per rendere migliore un mondo che ogni giorno che passa appare sempre più invivibile e disumano? Lo sanno i professori che molto spesso hanno davanti a sé dei ragazzi che si sono appena fatti una canna?

Alla fine dell’ora, mentre ancora molti studenti volevano parlare, ho chiesto di valutare questa proposta, che non risolve nulla, ho detto, ma almeno mostra a tutti che esiste il problema della droga e impone una riflessione: propongo di innalzare un monumento al drogato che ricordi alle nuove generazioni i molti giovani scomparsi negli anni ’90 e anche dopo.

– Costruiamolo sulla “villa bianca” – ha detto uno studente.

– Dove si faceva il mercato del giovedì – ho chiesto?

– No, mi ha risposto – dove si vendeva la coca!

(2014)

[in Così stanno le cose, Edit Santoro, Galatina 2014, pp. 52-55]

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