Conversione ecologica e sviluppo economico

di Ferdinando Boero

La conversione ecologica di Papa Francesco nella sua Laudato Si’ prevede gli interessi economici non possano distruggere il capitale naturale. È urgente un modello di sviluppo che veda l’armonia tra le ecoscienze (economia ed ecologia) e, in Francia, questo si è concretizzato con la nomina del ministro Hulot al dicastero dell’ambiente. Hulot, grande propugnatore di questa visione, si aspettava di avere un ruolo di rilievo. Invece i lobbisti di imprese che non hanno alcun rispetto per il capitale naturale hanno continuato ad esercitare la loro influenza sui decisori. Hulot era una foglia di fico per coprire vergogne inconfessabili. L’economia del guadagno a breve termine, incurante dei costi a lungo termine derivanti dall’erosione del capitale naturale, continua a prevalere. L’Italia potrebbe avere qualche speranza in più. A parte eccessi legati al no a tutto, a fare da contrappeso agli eccessi del sì a tutto, Grillo ha fatto della sostenibilità il cardine delle finalità del suo Movimento. Metterla in atto dovrebbe portare alla conversione ecologica di Francesco. Questa visione non è condivisa dalla Lega ma è molto presente nel programma di governo. Il Ministro dell’ambiente è un campione della difesa della natura. Ma non basta dire no, e perseguire chi infrange le regole, bisogna proporre un modello alternativo. Il Ministero dello Sviluppo Economico andrebbe accorpato a quello dell’Ambiente in un Eco-Ministero in cui Eco- significhi sia ecologia sia economia. Le due non possono essere perseguite in parallelo (le parallele non si incontrano mai): devono essere una linea sola. Ecologia ed economia non sono in conflitto. La conversione ecologica rappresenta un’opportunità unica di sviluppo economico. Bisogna rivedere l’abitare, sviluppando nuove tecnologie che siano applicabili anche a un patrimonio edilizio di rilevanza storica. E poi c’è l’agricoltura. Le serre devono diventare fotovoltaiche, in modo da produrre sia cibo sia elettricità. I trasporti e la produzione di energia sono da ridisegnare. Tutto deve essere riconvertito, perché abbiamo perseguito un modello di sviluppo che non ha preso in considerazione il capitale naturale e questa scelta si paga economicamente: i disastri costano. 

Il nostro paese ha problemi contingenti che vanno dagli immigrati (cavallo di battaglia di Salvini) alle nazionalizzazioni di imprese privatizzate in modo criminale (cavallo di battaglia del M5S). Dico criminale perché l’incuria per il patrimonio pubblico ha ucciso. Non penso solo a chi è caduto dal ponte di Genova, ma anche, per esempio, a chi è morto inalando fumi prodotti per non aver riconvertito in modo eco-compatibile la produzione dell’acciaio. La Lega resiste alle nazionalizzazioni e si prefigura sempre di più come un partito che ha poco a che vedere con il M5S. Urge la creazione (o la mutazione) di un partito di sinistra in grado di mitigare gli eccessi pentastellati, direzionando in modo virtuoso un percorso che non sarà facile se l’alleanza di governo resterà così eterogenea. È stata proprio la “vecchia” sinistra a privatizzare in modo massiccio le imprese pubbliche, rinnegando i fondamenti dell’essere di sinistra: la cosa pubblica deve funzionare benissimo, e i vantaggi devono essere pubblici. Pensare di di far funzionare il pubblico privatizzandolo, trasferendo i vantaggi al privato, è di destra: gli elettori di sinistra ti abbandonano se fai così. Quel ponte crollato potrebbe diventare l’inizio di un nuovo corso per il paese intero. Oppure prevarranno le lobbies, come in Francia. 

[“Il Secolo XIX” di Lunedì 3 settembre 2018]

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