L'”impegno” dell’ “Albero”

di Antonio Lucio Giannone

“L’Albero” occupa una  posizione  a  sé  stante  nel panorama delle riviste letterarie di metà Novecento. Fondata da Girolamo Comi nel 1949, in quel di Lucugnano, il paese in provincia di Lecce dove il poeta risiedeva dopo il rientro definitivo da Roma,  fu una  rivista che andò decisamente (e coraggiosamente) contro corrente, preferendo occuparsi, in piena stagione neorealista, di problemi esistenziali e latamente religiosi, oltre che specificamente letterari e artistici, piuttosto che di quelli politico-sociali, come era consuetudine dei periodici del tempo, dal “Politecnico” a “Società”,  dal  “Ponte”  al “Contemporaneo”. Fu anche questo in fondo un tipo particolare di impegno, che oggi forse è possibile apprezzare più di ieri, tanto più che venne svolto sempre con serietà d’intenti e talora anche con eccellenti risultati da tutti i collaboratori. Ma a causa della sua ‘eccentricità ‘ ideologica, oltre che geografica, l’ “Albero” non ha goduto della necessaria attenzione da parte della critica e anzi risulta spesso assente nei panorami e nelle sistemazioni storiografiche novecentesche.

Ora questo volume (L’Albero. Rivista dell’Accademia Salentina. Antologia 1949-1954, a cura di Gino Pisanò, con una premessa di Maria Corti, Milano, Bompiani, 1999), colma, almeno in parte, questa lacuna, permettendo di conoscere più da vicino una singolare esperienza culturale, che coinvolse numerosi letterati,  artisti e studiosi di primo piano. Almeno  in parte,  abbiamo  detto,  perché  si tratta di un’antologia limitata ai primi cinque anni di vita dell'”Albero”, dal 1949 al 1954, e ai primi sette fascicoli. La rivista  invece, è bene chiarirlo, andò avanti fino al 1966 (e non al 1968, come è scritto a pag. XVIII, in nota, dal curatore), per complessivi tredici fascicoli. Esiste poi la “nuova serie”, iniziata dopo la morte di Comi, “a cura di Oreste Macrì e Donato Valli”, che va dal 1970 al 1985 (e non dal 1968 al 1988, come si afferma nella stessa nota), anche se l’ultimo fascicolo, il trentanovesimo, risulta “finito di stampare”  nel  1987. La motivazione principale di questa scelta, che ha comportato l’amputazione di una parte consistente dell'”Albero” (ben sei fascicoli, apparsi dal 1955 al 1966), sta nel fatto che si lega la rivista in maniera esclusiva all’Accademia salentina, creata sempre dal Comi nel 1948 ed estintasi nel 1953, nella convinzione che proprio in questi anni essa si sarebbe segnalata “veramente per qualcosa di nuovo nella cultura nazionale” (Corti, p. Xl). Dell’Accademia  fecero  parte  personaggi  insigni  della cultura letteraria, filosofica e artistica, da Oreste Macrì a Luciano Anceschi, dalla stessa Corti a Mario Marti, da Enrico Falqui a Michele Pierri, da Ferruccio Ferrazzi a Vincenzo Ciardo e ad altri ancora. Ma questo sodalizio, di cui l'”Albero”, nelle intenzioni comiane, doveva essere una specie di bollettino, ebbe, come s’è detto, una vita breve e “dei dibattiti culturali, delle discussioni letterarie o religiose e anche dei programmi di lavoro”, di cui parla la Corti con comprensibile entusiasmo, restano tracce purtroppo soltanto nella memoria dei superstiti e nei verbali delle riunioni dei soci, mentre la rivista andò avanti autonomamente e continuò, sia pure tra mille difficoltà, per altri dodici anni. Sarebbe stato più giusto pertanto, a nostro avviso, offrire un’antologia di tutta la prima serie, cioè dei tredici fascicoli, che costituiscono un corpus organico e unitario, legati come sono alla personalità di Comi, che dà alla sua creatura, per così dire, una sorta di imprinting, immediatamente riconoscibile in ogni numero, dal primo all’ultimo. Tanto più che non esistono fratture rilevanti all’interno di questa prima serie, e i collaboratori dei primi sette fascicoli, con la sola eccezione di Anceschi che nel 1956 avrebbe fondato “Il verri”, figurano anche nei successivi. Il che, se non ci sbaglia mo, significa che l’ “Albero” va al di là, in ogni senso, di questa, pur prestigiosa, istituzi one.

Pisanò,      nella       Notizia     storica      sull’ “Alberro”  sull’ “Accademia Salentina”, ricostruisce attentamente la nascita e le vicende della rivista, rinvenendone l’origine nel modello frontespiziano, come d’altra  parte aveva notato Carlo Betocchi in una lettera a Comi già nel ’57. Successivamente suddivide in quattro “aree semantiche”  il  material e antologizzato,  secondo  un  “canone tutto suo”: “Lo spazio creativo (testi e traduzioni)”, “La riflessione  sulla  letteratura”, “L’esperienza  filosofica”, “Il dibattito religioso”. Ciascuna di queste sezioni, alle quali forse se  ne  poteva  aggiungere  un’altra  dedicata alle arti figurative e alla musica, è introdotta da alcune pagine del curatore, nelle quali egli presenta i testi con profonda  adesione e   sicura  competenza,  scegliendo però una prospettiva di lettura tutta interna ad essi, col rischio, in un certo senso, di assolutizzarli.

Il confronto con altre esperienze poteva far emergere invece le variegate posizioni nell’ambito non solo della cultura nazionale, ma anche di quella salentina degli anni Cinquanta, di cui la stessa Corti riconosce la “vivacità intellettuale”. In tal modo si sarebbe  potuto comprendere anche il giudizio, riportato dal curatore, di Vittorio Bodini, che riusciva a cogliere alcune caratteristiche dell'”Albero”, sia pure sotto un velo di leggera ironia, tipica del resto del poeta leccese. Bastava infatti mettere in rapporto questo giudizio, apparso, si badi bene, in uno scritto del 1951 (“L‘Albero”è un disparato zibaldone di post-ermetismo cattolico, e insegue vaghi miti di universalità”), con ciò che è detto subito dopo per rendersi conto che esso si giustifica pienamente con la diversa concezione della letteratura che Bodini aveva rispetto a  Comi, anche se questo non gli impedì di collaborare all’ “Albero” nel 1955 con un racconto memorabile, Il Sei-Dita (“e chi resta pensa arrovellandosi al gran bene che farebbe una rivistina, un foglio, smunto ma che si tenesse stretto ai fini concreti, facendosi ulteriore sentimento di carità verso la squallida geografia in cui viviamo senza  esserci  ancora  risolti  se ad  amarla  o a  odiarla”). C’era già, in questo brano, la prefigurazione della “rivistina” da lui fondata nel 1954, “L’esperienza poetica”, che avrebbe rappresentato, insieme all”‘Albero” di Girolamo Comi, anche se da una sponda  opposta, un altro significativo contributo offerto dal Salento alla cultura letteraria nazionale.

[Le scritture del testo. Salentini e non (Lecce, Milella, 2003).]

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