I nativi digitali nell’oceano senza sponde

di  Antonio Errico

“Adolescenti senza tempo” di Massimo Ammaniti (Raffaello Cortina Editore, 2018) dice che messi davanti agli schermi fin da piccoli, arrivano all’adolescenza già con una dipendenza digitale che incide negativamente sulla loro capacità di scambio e di comunicazione. Dice che non sperimentano più la possibilità distare da soli con se stessi, senza intermediazioni. Che vengono privati della solitudine e della noia, occasioni creative in cui il ragazzo cerca di immaginare mondi diversi.

Loro ragionano e apprendono in modo completamente diverso da quello in cui hanno ragionato e appreso gli adolescenti di ogni tempo. Perché hanno storie diverse, esperienze diverse,   un immaginario individuale e collettivo diverso, un diverso sistema simbolico e culturale, differenti strumenti di acquisizione delle conoscenze e, di conseguenza, differenti modalità e tempi; hanno interessi differenti. Il loro apprendimento non funziona  in modo consequenziale perché  si confrontano con contesti e situazioni globali e dalla globalità sono avvolti, per cui apprendono in modo globale. La condizione multimediale in cui vivono determina il loro processo di apprendimento. Conoscono cose che nessun adolescente   ha   mai   conosciuto,   che   nemmeno   gli   adulti conoscono.   Per   la   prima   volta   nella   storia   dell’umanità,   le generazioni che vengono si ritrovano nella condizione di dover insegnare alle generazioni che vanno. Michel Serres, il filosofo ed epistemologo francese,  ha detto che, senza rendercene conto, nel tempo che va dagli anni Settanta ad oggi, è nato un nuovo essere umano. Il nuovo essere umano ha un pensiero diverso e quindi un diversa visione della realtà, una diversa immaginazione, un altro concetto di creatività e una sua diversa espressione.

E’ sempre difficile, azzardato, incoerente, giudicare le faccende che riguardano la cultura  degli uomini con le categorie  del bene e del male.

Per cui i mutamenti culturali non son bene e non sono male. Sono, in modo semplice  e  in modo complesso allo stesso tempo, trasformazioni con cui occorre fare i conti e che bisogna imparare a governare.

​Quando Theuth inventò la scrittura, il re Thamous disse che quelle lettere   avrebbero   prodotto   solo   dimenticanza.   Così   racconta Platone nel suo “Fedro”. Invece la scrittura diventò la più fedele ancella  della memoria.

Quando quelli che chiamiamo nativi digitali sono arrivati da queste   parti,   si   sono   ritrovati   negli   occhi   le   immagini   che scorrevano   su   uno     schermo.   Forse   anche   l’occhio   di   una telecamera   che   filmava   le   contrazioni   del   loro   volto   che sembravano un sorriso.  Non c’è niente di male in tutto questo.

Non c’è mai niente di male nelle forme della civiltà. Il male è venuto dopo, e non è stato portato da loro. E’ venuto  quando abbiamo assunto a poco prezzo la baby setter che si chiama televisione e ad essa li abbiamo affidati. Poi ne abbiamo assunta un’altra che si chiamava computer, che con la prima ha cominciato a fare  i turni.

Noi ci siamo fisicamente e psicologicamente allontanati da loro e loro, probabilmente per reazione, per compensazione,   hanno trasformato in presenza concreta tutto quello che è realmente lontano. La tecnologia è appunto l’abolizione della lontananza.

Telefono,   televisione,   telematica,   hanno   la   loro   radice nell’avverbio   greco   tele:   lontano.   Attraverso   il   mezzo,   la lontananza si riduce fino a scomparire. Loro vivono in una coesistenza  di passato e presente, di lontano e vicino. Possono spostarsi virtualmente in ogni tempo e in ogni luogo; possono virtualmente appropriarsi di ogni storia e di ogni geografia. Non

hanno limiti, non hanno confini. Sono viaggiatori, esploratori di territori   sconfinati.   Nel   corso   del   viaggio   possono   scoprire paesaggi meravigliosi, sirene, creature favolose, i templi  e i cerchi infernali, la poesia e la sua negazione. Allora devono saper distinguere, devono imparare a scegliere.

Gli adulti non hanno altro significato, non hanno altra funzione.

Non possono fare altro che insegnare alle generazioni che arrivano in quale modo si possano percorrere le strade che si trovano e si ​troveranno  di fronte, come non farsi confondere ai bivi, come scegliere che cosa sia meglio per se stessi, per tutti.

[ “Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 3 marzo 2019]

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