Di mestiere faccio il linguista 29. Insegnare la punteggiatura!

Naturalmente l’applicazione dei modelli poi prevalenti non è totale e non è immediata. Ma la linea è segnata. Il cammino verso la punteggiatura moderna è progressivo (pur se discontinuo) e il percorso verso la regolarizzazione è inarrestabile (pur se lento). Con notevoli incertezze dell’uso, riscontrabili ancora ai nostri giorni. Incertezze tanto più consistenti quanto più è modesto il livello di perizia dello scrivente. Tutti ricordano la famosa lettera dettata da Totò a Peppino (Totò, Peppino e la … malafemmina, di Camillo Mastrocinque, anno 1956), un campione inventato dell’italiano usato da persone di scarsa cultura, i cosiddetti semicolti o semiincolti (a seconda che si veda il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto). Nella celebre lettera gli straordinari attori cercano di convincere una affascinante bionda a lasciar perdere il loro nipote, distratto dallo studio a causa dell’amore per la giovane. Due storici della lingua italiana, Fabio Rossi (che insegna a Messina) e Pietro Trifone (che insegna a Roma – Tor Vergata) ne hanno analizzato il testo, caratterizzato da un uso a volte inesistente a volte ipertrofico dei segni di punteggiatura. Esiste anche una versione scritta, conservata nell’archivio della famiglia di Ettore Scola, all’epoca venticinquenne collaboratore del regista (è pubblicata da Marco Dionisi e Nevio De Pascalis).

«Signorina veniamo noi con questa mia addirvi che scusate se sono poche ma settecento mila lire; noi ci fanno specie che quest’anno c’è stato una grande moria delle vacche come voi bensapete.; questa moneta servono a che voi vi consolate dai dispiacere che avreta perchè dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimo di persona vi mandano questo perchè il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo.;.; salutandovi indistintamente i fratelli Caponi (che siamo noi i Fratelli Caponi)».

C’è un punto e virgola improprio: «sette cento mila lire; noi ci fanno specie»; poi punto e punto e virgola in successione, seguiti da parola iniziante con la minuscola: «come voi ben sapete.; questa moneta»; e infine punto, punto e virgola, punto, punto e virgola in successione, seguiti da parola iniziante con la minuscola: «che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo .;.; salutandovi indistintamente». Durante la dettatura i tratti interpuntivi vengono così segnalati, con la voce e con una gestualità eloquente: «punto e virgola» (nel primo caso); «punto due punti» con il commento «ma sì, meglio che abbondiamo, adbondandis in adbondandum» (nel secondo caso); «punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola» (alla fine). Nella dettatura Totò precisa che «addirvi» è una sola parola, come pure «quest’anno», che «avreta» è femminile e «perchè» è aggettivo qualificativo. La «parentesi» è stravolta in «parente». Non parlo delle ripetizioni e dei commenti (nell’oralità) e delle cancellazioni (nello scritto), pure significativi.

Nella società contemporanea le questioni attinenti alla punteggiatura si configurano nei diversi contesti con modalità varie, che richiederebbero caso per caso considerazioni specifiche. Un mondo particolare è quello dei diversi tipi di comunicazione mediata dal computer (posta elettronica, messaggini, chat, gruppi social) che presentano ognuno caratteristiche proprie, implicanti una gradazione del livello di impiego dei segni interpuntivi nei diversi generi. Nelle scuole di scrittura (ce ne sono numerose, in diverse località) si registrano discussioni sulla consistenza e sulla varietà del patrimonio di segni interpuntivi a disposizione degli scriventi. Esistono divaricazioni nette tra chi, in particolare nella narrativa, si lancia in sperimentazioni che addirittura aboliscono la punteggiatura (considerata inutile), chi (al contrario) chiede l’introduzione di nuovi segni in grado di rendere con maggiore evidenza le sfumature legate all’organizzazione del periodo e ai connettivi logici e chi infine ritiene che i segni che ci sono bastano e avanzano. Un dato è certo. L’interesse per la punteggiatura è in crescita, anche al di là del recinto degli specialismi. Si organizzano «festival della punteggiatura», con protagonisti che hanno interessi differenti e praticano professioni diverse: giornalisti, scrittori, editori, linguisti, ecc. Trattano questioni di punteggiatura numerosi siti, di varia caratura scientifica.

Ma non tutto è risolto, la punteggiatura rappresenta spesso un elemento di vera crisi per chi scrive, anche per chi scrive abitualmente o professionalmente. Alle indecisioni pratiche si aggiunge a volte il disaccordo degli studiosi sulla codificazione delle norme, spesso regolate in forma instabile. Da questo complesso di fattori derivano il persistere di incertezze nell’uso concreto dei segni interpuntivi da parte di ampi settori della popolazione scrivente e la variabilità nel modo di considerare le questioni di punteggiatura anche ai piani alti della cultura e persino tra gli specialisti.

Si può fare qualcosa? Esistono rimedi? Forse sì. A scuola si insegna poco la punteggiatura, argomento depresso nella prassi scolastica attuale. Invece se ne dovrebbe parlare, con strategie mirate e con adeguato bagaglio di specializzazione. A partire dalle elementari, e poi via via. La partita, come sempre, si gioca nella scuola. Lì è in ballo il futuro del paese.                             

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 12 gennaio 2020]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (terza serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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