Di mestiere faccio il linguista 19. Una Biblioteca per la vita

Nel corso di una vita intera dedicata ai libri Manguel ha costruito una biblioteca personale di oltre trentacinquemila volumi. Ma, nel momento di traslocare dalla sua casa nella Loira a un piccolo appartamento newyorkese, è costretto a scegliere quali volumi può portare con sé e quali dovrà abbandonare, selezionando in base ai ricordi e alle emozioni che quei libri hanno suscitato in lui e non in base al valore intrinseco e venale dei volumi. La sua biblioteca infatti, a parte un piccolo manipolo di esemplari rari, non possiede volumi di gran pregio. Si è formata mettendo insieme nel corso degli anni libri di tutti i tipi. Ampi volumi rilegati, libri senza copertina rigida e anche tascabili, tutti più o meno segnati o malconci a seconda dalla frequenza con cui sono stati letti. Ma non è solo lo sconfinato amore per i libri che collega Manguel a Borges. Entrambi hanno avuto una vita fatta di lunghe dimore americane ed europee, di continui spostamenti intercontinentali, entrambi (in tempi diversi) hanno diretto la Biblioteca Nazionale della Repubblica Argentina, Borges dal 1955 al 1973, Manguel dal 2015 al 2028. In una libreria di Buenos Aires, dove lavorava,  a Manguel sedicenne capitò la sorte di conoscere Borges; in quella biblioteca, dov’era possibile trovare le ultime novità pubblicate in Europa e negli Stati Uniti, ogni pomeriggio si fermava per qualche ora Borges, di ritorno dalla Biblioteca Nazionale. Una volta Borges, ormai cieco (aveva ereditato la cecità dal ramo paterno della sua famiglia), chiese al giovane Manguel se fosse disposto a leggere per lui la sera, giacché sua madre novantenne si stancava facilmente: ne nacque una lunga amicizia raccontata da Manguel in Con Borges (Milano, Adelphi, 2005). Vita e biblioteche, per entrambi, in maniera indissolubile.

La più importante biblioteca dell’antichità fu quella di Alessandria d’Egitto, fondata da Tolomeo I riprendendo l’idea che Alessandro Magno non riuscì a realizzare: ambiva a concentrare in un unico luogo tutti i testi del mondo di allora, un’enorme quantità di libri. Nelle grandi sale di quella biblioteca si aggiravano contemporaneamente centinaia, forse migliaia di lettori. Scribi lavoravano incessantemente, ricopiando volumi che arrivavano da tutto il mondo. Ogni nave che attraccava nel porto di Alessandria e che trasportava libri doveva lasciare l’originale alla biblioteca, riportando con sé una semplice copia. Si traducevano in greco le opere di altre lingue, compresa la Bibbia dall’ebraico, traduzione fondamentale per la successiva espansione del cristianesimo nei territori greco e romano. Oggi non esiste traccia di quella gigantesca collezione libraria, distrutta forse da un incendio suscitato da Giulio Cesare; o forse svanita per altri traumatici eventi storici in grado di provocarne la distruzione (invasioni, dilapidazioni, incuria). Qualcuno ha osservato che avremmo una conoscenza diversa del mondo greco (che ha fondato la cultura occidentale) se almeno una parte di quei volumi non fosse bruciata. Altri nomi si affiancherebbero a quelli noti, Saffo, Eschilo, Euripide e tanti altri.

Le grandi biblioteche dove si affollano milioni di libri (e anche quelle piccole, se sono ben organizzate) aspirano a racchiudere il sapere umano (o un piccolo segmento del sapere umano) catalogato secondo criteri scientifici e contenuto nelle mura di un edificio. L’organizzazione della biblioteca in uno spazio condiviso punta alla conservazione della memoria e alla trasmissione del sapere. Ne nasce un luogo dove passato, presente e futuro (la conoscenza che si perpetua con la lettura dei libri) coesistono armoniosamente. Il sapere del passato classico (greco e latino) su cui è costruita la nostra civiltà ci è giunto grazie al lavoro infaticabile di monaci che lavoravano negli ambienti collegati alle biblioteche e riservati alla trascrizione e alla manifattura dei libri. Lì furono ricopiati e trasmessi a noi migliaia di manoscritti dell’antichità e del medioevo che sarebbero andati irrimediabilmente persi se non ci fosse stata l’opera infaticabile di quei copisti. Ecco uno di quegli ambienti meravigliosi. «Antiquarii, librari, rubricatori e studiosi stavano seduti ciascuno al proprio tavolo, un tavolo sotto ciascuna delle finestre. E siccome le finestre erano quaranta […] quaranta monaci avrebbero potuto lavorare all’unisono, anche se in quel momento erano appena una trentina. […] I monaci che lavoravano allo scriptorium erano dispensati dagli uffici di terza, sesta e nona per non dover interrompere il loro lavoro nelle ore di luce, e arrestavano la loro attività solo al tramonto». Si tratta, come molti avranno riconosciuto, di poche righe del famoso «Il nome della rosa» di Eco del 1980, il romanzo poi diventato un film nel 1986, di successo quasi altrettanto fragoroso, diretto da Jean-Jacques Annaud e interpretato da Sean Connery e Murray Abraham.

Parliamo di mondi antiquati e scomparsi e il motto che fu di Flaubert, “Leggi per vivere”, non ha più senso nella nostra società postindustriale e digitale? A me non pare. Riaccostiamoci ai libri. In questi giorni l’incoscienza estiva e autunnale di molti (favorita dalle affermazioni di due o tre virologi pressappochisti che, per interesse o per incompetenza, incoraggiano le strumentalizzazioni elettorali di politici nefasti) ci sospinge di nuovo a stare il più possibile nelle case, per evitare di infettarci con la terribile seconda ondata della pestilenza. Ci hanno portato a questo l’incoscienza di chi si crede più furbo degli altri e la malafede di chi dovrebbe ispirarsi a rigore e a serietà: tornano alcuni mali della nostra storia. Proviamo a trarre da questa situazione un vantaggio. Qualche sera, invece di navigare senza sosta in rete o di saltellare da un canale televisivo a un altro nella speranza di trovare una trasmissione decente, leggiamo qualche libro. Lì c’è tutto. I libri sono alla base del vivere civile.  

                                           [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 18 ottobre 2020]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quarta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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