Gli interessi

di Gianluca Virgilio

Ero ancora un bambinetto di scuola elementare, quando mio padre prese a portarmi con sé in banca per l’annuale conteggio degli interessi. L’operazione si verificava a fine anno o all’inizio del nuovo, durante le vacanze di Natale. Attraversavamo la lunga sala antistante gli sportelli, dietro i quali sedevano solerti impiegati ben vestiti e incravattati, intenti a contar soldi con agili dita, e ci recavamo, annunciati da un usciere, in una parte riservata della banca, dove i funzionari e il direttore avevano i loro uffici. L’usciere ci introduceva dal funzionario che mio padre considerava suo amico fiduciario. Scambio di convenevoli. Poi mio padre esibiva il libretto su cui erano annotati ordinatamente gli importi di denaro che, mese dopo mese, anno dopo anno, mia madre aveva saputo risparmiare sul totale di quanto mio padre, il solo a percepire un reddito in famiglia, le passava mensilmente, trattenendo per sé solo il denaro che gli bastava a comprare i suoi giornali. Al ménage familiare provvedeva mia madre. Seguiva una breve discussione sulla percentuale che, a titolo di favore personale, la banca avrebbe elargito come interesse sul capitale; una discussione che mio padre troncava subito manifestando la sua estrema fiducia nel buon trattamento che l’amico funzionario gli avrebbe riservato. A quel punto il funzionario, un uomo basso e paffutello, tendente alla pinguedine, componeva un numero telefonico interno e convocava un impiegato, che subito si presentava con fare sussiegoso, riceveva le istruzioni del caso e si ritirava all’inglese per sbrigare la pratica in altra stanza. Nel frattempo, l’amico funzionario apriva un cassetto della scrivania e tirava fuori l’agenda annuale rilegata in similpelle; poi era la volta della penna e del calendario da muro del nuovo anno: su ogni oggetto, il logo della banca. Era il dono ai clienti più affezionati, agli amici, cose d’uso comune che accompagnavano la vita quotidiana della mia famiglia per tutto l’arco dell’anno. A mia sorella andava la penna, a me l’agenda, o viceversa; il calendario veniva regolarmente inchiodato nello studio di mio padre.

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