La pittura di Luigi Gabrieli e la cultura salentina del Novecento

            Questo primo periodo però non è legato completamente all’ambiente salentino. Nel 1933 infatti, per motivi di lavoro, è costretto a trasferirsi a Sulmona, dove insegna fino al ‘36 e dove nel ‘34 allestisce la sua prima mostra personale. Nel 1936 un nuovo trasferimento, sempre per gli stessi motivi, a Castelmassa, in provincia di Rovigo, dove ha modo ugualmente di farsi conoscere e apprezzare in un’altra personale tenuta nel 1938. In questi anni Gabrieli, stando alle poche testimonianze critiche rimasteci, aderisce al “Novecento”, cioè alla corrente pittorica più avanzata (insieme al Futurismo, ma sul versante opposto) di quel tempo, che nel Salento, d’altra parte, aveva i suoi autorevoli rappresentanti proprio in Geremia Re, Temistocle De Vitis, Mario Palumbo e Michele Massari. E questo significa che il giovane artista di Matino rifiuta quell’attardato verismo tardottocentesco di derivazione napoletana che pure aveva numerosi seguaci nella sua terra (basti pensare a Michele Palumbo, al  coetaneo Gaetano Giorgino  e a tanti altri).

            Nel 1943 ha inizio una nuova fase, forse la più fervida e significativa, della carriera artistica di Gabrieli, che quell’anno ritorna nel Salento e riprende a insegnare nella Scuola d’Arte di Lecce, dove resta fino al 1960, contribuendo a formare numerosi artisti salentini alcuni dei quali si sono imposti poi in campo nazionale, come Ercole Pignatelli, Fernando De Filippi e Salvatore Esposito. In questo periodo egli partecipa a quel generale moto di rinnovamento delle arti e delle lettere salentine, promosso da un gruppo di scrittori, pittori e scultori che avevano trovato nella loro terra la fonte principale d’ispirazione per le proprie opere. Un gruppo che costituiva una vera e propria “coiné poetico-pittorica”[2], e che riuscì a inserire arti e lettere salentine in un contesto nazionale.  Di questo drappello di punta,  composto, fra gli altri, da Geremia Re e Vittorio Bodini, Lino Suppressa e Aldo Calò, Vittorio Pagano e Nino Della Notte, Luciano De Rosa e Antonio D’Andrea, Giovanni Bernardini e Cosimo Sponziello, Luigi Gabrieli fece parte integrante, anche se a causa del suo carattere, schivo e riservato, e delle personali vicissitudini, resterà sempre in una posizione un po’ defilata.

            E a questo proposito conviene fare un’osservazione. Gabrieli, nato nel 1904, appartiene alla seconda generazione dei pittori salentini del ‘900, insieme a Temistocle De Vitis, Pippi Starace, Gaetano Giorgino, tutti del 1904 e Mario Palumbo (1905). La prima è stata quella di Geremia Re e Vincenzo Ciardo, i due maestri riconosciuti della pittura salentina del ‘900, nati entrambi nel 1894. La terza generazione, quella di Della Notte, Carlo Barbieri e Fernando Troso (1910),  Roberto Manni (1912), Delle Site (1914), Suppressa e Sponziello (1915). Era quindi più anziano di questi ultimi, che operarono (alcuni fuori regione) soprattutto dal secondo dopoguerra distinguendosi nel panorama della pittura pugliese. Ebbene Gabrieli, nonostante questa differenza generazionale, si può considerare uno di loro, in quanto si fece conoscere e apprezzare  negli stessi anni, nelle stesse manifestazioni e nelle stesse  sedi di esposizione.

            Da rilevare che dal secondo dopoguerra e fino a tutti gli anni Cinquanta Lecce vive il suo momento di maggiore vivacità in campo culturale. Riviste letterarie, spesso di rilievo nazionale, da “Libera Voce” di Cesare e Federico Massa all’“Albero” di Comi, dall’ “Esperienza poetica” di Bodini al “Critone” di Pagano al “Campo” di Lala, Bernardini e Carducci, continue mostre d’arte, manifestazioni di grande livello come le Celebrazioni salentine e il Premio Salento fanno di Lecce  una vera cittadella di scrittori e pittori,  una “piccola Montmartre”, come venne definita[3]. E Gabrieli, che pure faceva ogni giorno il pendolare tra Matino e il capoluogo provinciale, si trovava ad operare proprio in questo ambiente culturale così stimolante, pur nella sua perifericità.  

            Nel 1946  dunque si presenta per la prima volta davanti al pubblico leccese, esponendo ventisei opere, tra oli, tempere e disegni, in una mostra personale allestita nei locali dell’Associazione della Stampa, che probabilmente, da quello che è dato di capire dal cataloghetto, è stata più una sorta di consuntivo del primo periodo che l’inizio del nuovo o comunque ancora qualcosa di intermedio tra le due fasi (ma questa impressione è ancora tutta da verificare, come dicevo prima, attraverso un esame diretto delle opere).

            Nella breve nota introduttiva al catalogo Franco Silvestri, che è stato il critico più fedele dell’artista salentino[4], coglieva acutamente, già da allora, una delle principali caratteristiche della sua pittura nell’attenzione rivolta al dato paesaggistico, non in funzione di una mera descrizione naturalistica ma con evidenti esiti di trasfigurazione lirica. Silvestri vedeva anzi sintetizzate, nei paesaggi, le “migliori qualità” di Gabrieli:

            Specie nel paesaggio mi pare di vedere una perfetta sintesi delle migliori qualità del nostro pittore: un senso acutissimo della composizione e del taglio, un equilibrio di valori cromatici che non lascia mai adito ad arbitrarie soluzioni o inframmettenze, nato com’è ai fini di una creazione di rapporti tonali e quindi di atmosfera, un vigore di disegno che costituisce una delle più pregevoli caratteristiche[5].

            La personale del ‘46, che venne recensita su alcuni giornali locali, impose definitivamente all’attenzione dell’ ambiente culturale leccese il nome di Gabrieli, tanto è vero che qualche anno dopo Vittorio Bodini, tracciando un profilo delle arti e delle lettere in Puglia, lo citava, insieme a Sponziello, definendo questi pittori  “due paesaggisti delicati che ha la provincia verso il Capo di Leuca”. E subito dopo aggiungeva  che Gabrieli, anche se “quasi sconosciuto”, era il “più sensibile interprete d’un paesaggio muto e difficile com’è il nostro”[6].

            Questo riconoscimento assume ancora più valore ove si pensi che Bodini in quel periodo andava riflettendo anch’egli sul  paesaggio salentino. Nella prosa Pitagora è uno delle nostre parti [7] infatti offriva un’originalissima interpretazione della sua terra come metafora esistenziale, prendendo spunto proprio da una serie di osservazioni sul paesaggio pugliese nella pittura dell’800-900. Ebbene, non è difficile individuare alcuni punti di contatto tra la riflessione bodiniana e i dipinti di Gabrieli di quegli anni, quali, ad esempio, il senso di tragica dispersione delle cose presente nel nostro paesaggio (“Volgiamo gli occhi in giro e vediamo cose separate su una campagna piena di malavoglia, creatura accidiosa dalle braccia inerti…”); la presenza di un cielo opprimente che “come un enorme coperchio […] grava e schiaccia egualmente il filo d’erba e l’ulivo, la torre aragonese diroccata, i muri sgretolati, i fichi d’India che seguono la linea di antiche divisioni catastali”; il conflitto tra terra e cielo, “i due antagonisti del paesaggio”, che “si pongono ripettivamente come il temporale e l’astorico”, con il cielo (il “non-essere”) che, invertendo i tradizionali rapporti, assume il ruolo di protagonista nel paesaggio pugliese. E a un certo punto scriveva: “E’ ‘ciò che non si vede’ che bisogna dipingere di questo paesaggio. Cominciamo ad insinuare il sospetto che non si possa fare di esso altra pittura che metafisica”.

            Una frase come questa sembra adattarsi benissimo a certe opere di Gabrieli, nelle quali sembra di cogliere appunto un senso metafisico nella raffigurazione del paesaggio salentino. E non sarebbe difficile nemmeno rintracciare precise affinità tra la sua pittura e alcune immagini poetiche di Bodini. Mi limito a queste due, tratte entrambe dalla Luna dei Borboni  : “Tu non conosci il Sud, le case di calce / da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia d’un dado” (Foglie di tabacco, 1)[8]; “Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud / un tramonto da bestia macellata. /  L’aria è piena di sangue, / e gli ulivi, e le foglie di tabacco, / e ancora non s’accende un lume” (Foglie di tabacco, 5 )[9].

            D’altra parte, che Bodini fosse particolarmente interessato a Gabrieli è confermato da un breve scritto, che resta senza dubbio il più acuto e penetrante a lui dedicato, composto in occasione di una collettiva svoltasi in una galleria di Galatina nel 1954. In questa paginetta, che costituisce anche uno splendido esempio di prosa poetica, Bodini offriva una suggestiva interpretazione dell’opera di Gabrieli, descrivendo l’atmosfera angosciosa, carica di attese e di incombenti minacce, tipica dei suoi paesaggi. E si noti anche come qui compaiano le stesse immagini poetiche che sono state citate prima:

            La pitttura di Luigi Gabrieli è chiusa in sé come una dolce isola un po’ testarda, dove non approdano inquietudini teoriche o compiacenze di mestiere. Benché più volte la sua materia pittorica sfiori un gusto raffinato, abbiamo il sospetto che questo confine egli non voglia varcarlo, per non compromettere in soluzioni estetiche il disadorno oggetto del suo sogno. Sicché quasi parrebbe che Gabrieli cammini in punta di piedi nei suoi quadri, dai quali, equilibrato in attonite atmosfere, ci guarda il suo Salento, in una versione intima, ma non perciò meno persuasiva. Chi voglia ritrovarlo cammini un po’ a ritroso in se stesso, attraversi il confine dell’adolescenza, nelle sgomente attese dei sottoboschi, sulla terra color sangue all’ora del tramonto, con gli ulivi che non stormiscono e un pezzetto di casa bianca che appare e scompare fra i tronchi, non sai se amica o nemica. La malinconia che s’aggira fra queste immagini come un fumo è Gabrieli, è il lento segreto dei suoi occhi. Se Ciardo ci ha scoperto di questa misteriosa terra del Capo l’ardente fissità, l’arido disordine, nei momenti migliori Gabrieli ce ne rivela la profondità dei silenzi nell’avanzare cauto dell’ombra, dove annegano gli ultimi gridi ossessivi del cuore[10].

                Nel 1954 ha luogo anche la seconda personale leccese di Gabrieli. Nella galleria del “Cin Cin”, dove nei mesi precedenti si erano svolte le mostre di Suppressa, Mario Palumbo, Roberto Manni e Nino Della Notte, e che era allora la sede, per così dire, “ufficiale” della migliore arte salentina[11], il pittore di Matino espose ventidue opere, tra oli e tempere, presentato in catalogo proprio da Lino Suppressa, che, com’è noto, ha svolto anche una notevole attività di critico d’arte. E qui, dopo aver sottolineato “la forza drammatica e […] disperata delle sue raffigurazioni”, metteva in rapporto l’arte di Gabrieli con la sua inquieta e tormentata natura e con le vicende di un “tragico quotidiano che a volte l’ha zittito e a volte infuriato”. Anche per questo, scriveva Suppressa, la “verità” dei paesaggi esposti non stava “su un piano di identificazione toponomastica, ma su quello di una realtà che trascende i limiti della geografia per sconfinare nelle regioni dello spirito”[12].

            Con lo pseudonimo di Ossip, l’artista leccese tornava a riflettere sulla mostra di Gabrieli in un articolo su “Voce del Sud”, soffermandosi più specificatamente sugli aspetti formali della sua pittura, per la quale richiamava modelli antichi e recenti (“la maestosa primitività trecentesca di un Lorenzetti” e “il ricordo di certa lontana metafisica di Carrà riscopritore di Giotto”[13]).                                

Nel 1956 si presenta a Gabrieli un’occasione importante per farsi conoscere anche fuori dai confini del Salento. E’ invitato infatti ad esporre a Bari in un’altra sede prestigiosa, la galleria del “Sottano”, diventata ormai “lo specchio ideale di tutti i genuini valori della pittura pugliese”[14]. In questa mostra Gabrieli espose venticinque opere ordinate da Gustavo D’Arpe e Franco Silvestri, che presentandolo di nuovo in catalogo, a distanza di dieci anni dalla prima personale leccese, annunciava una “rigogliosa stagione creativa”, incentrata sul “colloquio profondamente lirico col paesaggio del Sud, di un Salento veramente scoperto, visto per la prima volta come una dimensione dell’anima, come un modo di essere ed un atto di fede”. Alla fine del suo scritto Silvestri, confermando in un certo senso il giudizio già espresso da Bodini, definiva Gabrieli “un originale e forse non superato interprete del paesaggio salentino”[15].

            Oltre che in mostre personali, Gabrieli, per tutti gli anni Cinquanta, è impegnato anche in numerose manifestazioni artistiche di rilievo nazionale, svoltesi fuori e dentro la regione, nelle quali va mettendosi in luce come uno dei migliori esponenti della pittura pugliese. Tra queste ricordiamo, in particolare, il Maggio di Bari, la rassegna d’arte più importante del Meridione,  nella quale si fecero conoscere tanti pittori salentini che spesso vennero anche premiati (ricordo, tra questi, Suppressa, Sponziello, Della Notte,  Troso)[16]. Vittorio Pagano, a questo proposito, in un articolo del ‘52, sottolineava con compiacimento l’affermazione dei pittori leccesi nella seconda edizione di questa rassegna e, più avanti, citando anche Gabrieli tra coloro che cedevano “a un morbido incanto impressionistico”, sosteneva che tutti quanti “si tengono fedeli al colore ed al senso della nostra terra, al calore ed al fremito della nostra anima”[17].

             Nel 1956, nella sesta edizione del “Maggio”, a cui prende parte ininterrottamente dal 1952 al 1962, Gabrieli ottiene una “segnalazione” che però, a giudizio del critico ufficiale della “Gazzetta del Mezzogiorno”, Oronzo Valentini, avrebbe dovuto essere un vero e proprio premio. Valentini si spinse anzi a tal punto, in quella occasione, da parlare, senza mezzi termini di un’evidente ingiustizia commessa dalla Giuria nei confronti dei pittori salentini, “ad alcuni dei quali – scriveva – ancora una volta (così come accadde anche negli anni scorsi) è stato negato un riconoscimento che certo gli spettava”. E più avanti, facendo esplicitamente il nome di Gabrieli, così continuava: “Che dire dei ‘segnalati’? Gabrieli (Sala B, 159), con il suo ‘paesaggio’ di meditata e suggestiva impostazione cromatica, di forte efficacia, si domanderà se al mondo v’è giustizia”[18].

            Nel 1956 il pittore salentino partecipa anche alla VII Quadriennale d’arte di Roma, la principale manifestazione artistica italiana insieme con la Biennale di Venezia, con un Paesaggio pugliese, che veniva così descritto da Luigi Flauret: “E’ la nostra tipica campagna dal colore ruggine, sparsa di alberi di ulivo, luminosa nel meriggio infuocato da un sole accecante e grande alla Van Gogh”[19].

            Ma in questi anni egli è presente anche in alcune  rassegne regionali che proponevano all’attenzione di critica e pubblico i migliori artisti salentini e pugliesi. Tra queste ricordiamo la Mostra degli Artisti salentini contemporanei, svoltasi a Bari, nel Castello Svevo, nel 1954 e la Mostra di pittura e scultura salentina, tenutasi a Lecce, nel Sedile, nel ‘56. Qui Gabrieli presentò due dipinti, Alberi spogli e Case tra gli alberi, che fecero così scrivere a Gustavo D’Arpe:

            L’impressionismo di Gabrieli si attarda nei panorami della Puglia. Il raccordo dei colori felicemente inventati da un pennello ricco di umori fa di Gabrieli un paesaggista eccezionale. Tra rossi, bleu e grigi, egli racconta la storia antica, barbara e civile della quale gli alberi e i campi furono protagonisti e testimoni. Un’accorata bellezza calda e duratura consegna il nostro panorama ai suoi misteri[20].

            Nel 1958 e nel 1960 Gabrieli partecipa ancora a due mostre collettive di artisti pugliesi svoltesi alla galleria “Taras” di Taranto. Nella prima, intitolata “Artisti pugliesi operanti in Puglia”,  presenta cinque Paesaggi, che, secondo il critico tarantino Franco Sossi, “danno evidenza ad una predilezione per le tonalità mantenute su registro basso, cupo, che indica massa, volume e atmosfera”[21]. Nella seconda, “Artisti pugliesi contemporanei”, espone tre opere, in cui, a giudizio  di Nerio Tebano, l’artista matinese dimostrava che  la sua pittura era “calata nel clima civilissimo di una cultura nazionale non d’accatto”[22].

            Negli anni Sessanta e fino al 1974 Gabrieli è profondamente assorbito dai nuovi, gravosi impegni scolastici: nel 1961 è incaricato della Direzione dell’Istituto d’Arte di Poggiardo; dal ‘61 al ‘74 è prima direttore incaricato e poi titolare dell’Istituto d’Arte di Parabita. Comunque anche in questi anni continua la sua solitaria ricerca pittorica che giunge fino alla sperimentazione astratta e informale, ancora tutta da studiare. E anche qui non si può non mettere in relazione questo suo lavoro con gli analoghi esperimenti  condotti più o meno negli stessi anni da altri pittori salentini come Della Notte e Suppressa.

            In anni più recenti sono da segnalare ancora la partecipazione di Gabrieli a varie edizioni del Premio Primavera di Foggia, dove ha ottenuto spesso premi e riconoscimenti, e una personale svoltasi a Gallipoli nel 1988, nei locali del Joli Park Hotel, organizzata dal Rotary Club di Gallipoli. Ma in realtà, dopo l’esaltante stagione degli anni Cinquanta, Gabrieli si andò progressivamente isolando, rinunciando quasi completamente a ogni contatto col pubblico e con la critica, verso cui non nascondeva la sua diffidenza. Da allora quindi rarissime sono state le occasioni per poter ammirare le opere di questo artista, che continuò a lavorare però fino agli ultimi tempi, giungendo, nella raffigurazione del paesaggio salentino, che è rimasto il suo tema costante, se non esclusivo, a esiti di straordinaria essenzialità e penetrazione. Ricordo certi  paesaggi degli ultimi anni (oli e tempere), che hanno perduto qualsiasi connotazione realistica per diventare puri luoghi mentali, veri e propri luoghi dell’anima.

            Anche per questo non posso concludere il mio  intervento se non auspicando vivamente un’ampia  mostra antologica, che ricostruisca criticamente e documenti tutte le varie fasi dell’attività artistica di Gabrieli. Sarebbe, questo, il modo migliore per rendere omaggio a un pittore che all’arte ha dedicato tutta una vita.

[Testo dell’intervento letto in occasione dell’inaugurazione della mostra retrospettiva di Luigi Gabrieli (Matino, 17 gennaio 2004), poi in  «Apulia», a. XXX, n. 1, marzo 2004, pp. 130-137 e  in A. L. Giannone, Modernità del Salento, Galatina, Congedo, 2009]

]


[1] Cfr. A. L. GIANNONE, Luigi Gabrieli: sessant’anni di pittura, in “Nuovi Orientamenti Oggi”, n. 119/121, marzo-agosto 1990, pp. 87-94, a cui si rimanda per altri dati relativi all’attività artistica di Gabrieli e alla sua fortuna critica.

[2] A. MANGIONE, Rassegna di testimonianze critiche, in AA.VV., Nino Della Notte, Fasano, Schena editore, 1985, p. 75.

[3] Cfr. G. D’ARPE, Fra mostre e circoli di Lecce. Alla piccola Montmartre “fauves” e post-impressionisti, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 10 gennaio 1956.

[4] Anche in tempi più recenti Franco Silvestri è tornato su questo pittore con Profilo di un artista matinese / Luigi Gabrieli: quasi un’intervista, in “Sudpuglia”, a. XIII, n. 1, 1987, pp. 243-250. Ivi si veda  anche A. BELLO, Profilo di un artista matinese / Luigi Gabrieli, pp. 241-242.

[5] F. SILVESTRI, presentazione a L. Gabrieli, Mostra personale, Associazione della Stampa, Lecce, s. d. (ma giugno 1946).

[6] V. BODINI, Lettera pugliese, in Panorama dell’arte italiana, a  cura di M. Valsecchi e U. Apollonio, Torino, Lattes, 1951, p. 170.

[7] In “Fiera letteraria”, a. VII, n. 2, 13 gennaio 1952; ora in V. BODINI, Barocco del Sud. racconti e prose, a cura di A. L. Giannone, Nardò, Besa, 2003, pp. 115-121.

[8] V. BODINI, Tutte le poesie (1932-1970), a cura di O. Macrì, Milano, Mondadori, 1983, p. 91.

[9] Ivi, p. 93.

[10] Lo scritto di Bodini venne pubblicato nel cat. Artisti nel Salento, Galleria “G. Toma”, Galatina, novembre 1954.

[11] Sull’attività di questa galleria cfr. B. GUIDO, La “Galleria del Cin Cin” (Primo calendario), in “Il Campo”, n. 1, gennaio-marzo 1955, pp. 34-36. Guido, in questo articolo, parlava di Gabrieli come della “rivelazione” della galleria di cui egli era il proprietario.

[12] L. SUPPRESSA, presentazione a Gabrieli, Galleria d’arte Cin Cin, Lecce, 10-25 aprile 1954, cat. della mostra.

[13] OSSIP, Le mostra d’arte alla galleria “Cin Cin” / Il pittore Gabrieli, in “Voce del Sud”, 17 aprile 1954.

[14] VICE, Note d’arte / Il pittore Della Notte, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 21 gennaio 1953.

[15] F. SILVESTRI, presentazione a Gabrieli, Al Sottano, Bari, 21 aprile – 3 maggio 1956, cat. della mostra.

[16] Su questa manifestazione cfr.Maggio di Bari 1951-1968, a cura di P. Marino, Bari, Mario Adda Editore, 1998.

[17] P., I pittori leccesi in rassegna a Bari, in “Paese Sera”, 8 giugno 1952.

[18] O. VALENTINI, Le opere ed i premi della Mostra di pittura del “Maggio”, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 30 giugno 1956.

[19] L. FLAURET, Artisti pugliesi alla Quadriennale, in “Corriere del Giorno”, 16 marzo 1956.

[20] G. D’ARPE, Fra mostre e circoli di Lecce. Alla piccola Montmartre “fauves” e post-impressionisti, cit.

[21] F. SOSSI, Una “collettiva” a Taranto.  Ventotto pugliesi alla “Taras”, in “Corriere del Giorno”, 11 gennaio 1958.

[22] N. TEBANO, Pittori e scultori pugliesi in una vasta panoramica alla “Taras”, in “Corriere del Giorno”, 21 maggio 1960. Di Tebano si veda pure Artisti pugliesi / Luigi Gabrieli, in “La Zagaglia”, a. II, n. 6, giugno 1960, pp. 95-96.

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