La lanterna di Diogene III

di Giovanni Invitto

La Chiesa conceda il matrimonio ai divorziati

Sono stato pochi giorni fa ad un matrimonio svoltosi in una chiesa del Salento. Tutto era irreprensibile e curato dalla Parrocchia nei minimi particolari della prassi che le compete.  All’uscita, un amico, che è divorziato e vive con una compagna a sua volta separata, mi ha detto: “Se mi si desse la possibilità di risposarmi in chiesa lo farei subito e ne sarai immensamente felice”. È un tema che su questa testata è stato trattato un po’ di tempo fa anche da me, avendo un contraddittore di estrema sensibilità e competenza. Il problema non è semplice. I motivi per i quali una coppia si separa sono molteplici e ogni caso è un caso a sé. Da quello che so, nella nostra realtà una persona separata non è discriminata dalla Chiesa che, anzi, credo abbia ed eserciti il compito di essere vicina anche a chi ha subìto o, addirittura, prodotto la ferita della separazione. Però, contemporaneamente, credo che nessuno si separi a cuor leggero, soprattutto quando la coppia ha dei figli che sono le prime vittime della fine dell’unità genitoriale. Il problema, quindi, non è quello di ignorare che la condizione importante del matrimonio, cioè di uno dei sette sacramenti della Chiesa, non possa essere come un elastico che assume dimensioni e funzioni diverse, ma che rimane sempre e solo quell’elastico. Si tratta di non far sentire estraneo alla comunità ecclesiale chi ha avuto un percorso esistenziale sbagliato ma anche di non far pesare come discriminazione una scelta di per sé non gioiosa né ludica e comunque dolorosa.

La paura e gli strumenti del potere

L’insicurezza sociale che circola da tempo è un fatto oggettivo, ed è declamata dai vari soggetti istituzionali che hanno il compito di operare sul piano politico, sociale e culturale della popolazione italiana. Ma questa insicurezza, questo tener il cittadino, quantomeno il cittadino medio, sempre appeso ad un filo come se alle porte ci fosse, quando non si dice che sia già arrivata, una tempesta socio-economica che colpirebbe – guarda caso – soprattutto le regioni meridionali dal ceto medio in giù, e non risparmierebbe neanche le zone ritenute “sane” della nazione, nelle loro fasce meno protette. Perché noi accogliamo per oro colato questa comunicazione politica sadica? A qual fine? Naturalmente non si parla qui di tutti i singoli politici, ma delle istituzioni collegiali che decidono percorsi e metodi.

È evidente che si punta prima ad intimorire il cittadino, dai ceti medi in giù, per farlo stare sempre con “timore e tremore”, come direbbe un filosofo a me caro. Una lettura è possibile: tenere i cittadini (non dimentichiamo: sono i loro elettori) sempre in apprensione fa il gioco della classe politica che, dopo avere, con un colpo di spugna, annullato nella sostanza le forme reali e non fittizie di partecipazione popolare dal basso, previste dalla Costituzione repubblicana, si attiva nel momento elettorale quando il singolo cittadino viene circuito con estrema dolcezza da quelle forze politiche, prima assenti o distratte, e poi dai singoli candidati. In quella fase abbondano le promesse dolcissime, quasi come miele e zucchero, all’intera popolazione, alle singole categorie, al singolo cittadino.

Ma non è solo questo. Se notiamo bene, le comunicazioni che giungono dal centro “operativo” della nazione alla periferia territoriale tendono quasi sempre al pessimismo e ciò provoca paura nei cittadini non adusi al gioco politico delle tre-carte. Perché tutto questo? Perché conviene a qualcuno – o a molti – che il singolo soggetto e poi l’intera comunità siano sempre in apprensione e anche spaventati per il futuro prima del singolo e poi della nazione, anche se le due cose interferiscono reciprocamente. E chi può togliere il veleno dalle botti e pulire le stesse se non quelli che lo hanno versato? Chi può eliminare la paura dei cittadini se non coloro stessi che l’hanno inoculata a fini ben precisi? Ecco allora che il cerchio si rompe: io mi sento grato a chi mi dice che sono finalmente sano, dopo che per tanto tempo mi ha detto che avevo la salute in pessime condizioni. Allora: chi mi comunica questa svolta è per me il mio salvatore, in quanto non mi sono accorto che i rottamatori, gli angeli che suonavano le tube della morte erano stati lui e la sua classe.

Naturalmente la mia visione non comprende la totalità della classe politica, ma quella classe politica che dipende dalla comunità e che, per ironia della storia, fa sì che sia la comunità a dipendere da quella classe sociale con tensione e paura permanente instillate da chi ha interesse a tenere sul chi vive i cittadini. Altrimenti come potrebbe presentarsi a loro come amico e come salvatore della situazione acquisendo, secondo la sua logica, ulteriori consensi e confermando i premi istituzionali? La classe politica “deve” prima spaventare il cittadino, per poi presentarsi come salvatrice della patria. Però c’è un vecchio proverbio che dice qualcosa del genere: la cura è riuscita, ma l’ammalato è morto.

Allora, sarebbe importante eliminare dalla politica questa strategia del negativo e della paura che rende subalterno ed etero-dipendente il cittadino comune. Questi, invece, non va trattato come il selvaggio con l’anello al naso, ma come cittadino di pari dignità tanto rispetto al politico che sta nelle istituzioni di quartiere quanto a quello che siede alla Camera o al Senato.

 

Per i migranti l’Europa non sia solo un approdo geografico

È finito il periodo che noi chiamiamo “delle vacanze” e ognuno ritorna al proprio lavoro e alle proprie incombenze. Fare un consuntivo di quello che è avvenuto negli ultimi mesi non è semplice perché abbiamo avuto, come nell’antichità, nuove presenze in quella che noi chiamiamo realtà occidentale. Infatti gruppi di abitanti di paesi dei paesi asiatici e dell’Africa, per eludere le lotte politiche dei loro paesi, con inevitabili riflussi economici, hanno deciso di sbarcare in Grecia e in Italia che, di fatto, costituiscono per loro i primi approdi accessibili nell’area europea. Naturalmente, come avviene quando ci sono sommovimenti politici che ribaltano modelli e prospettano certezze di guerra e di fame, per il futuro, per sfuggire alle guerre ci si trasferisce in zone più tranquille, più garantite, con maggiore possibilità di lavoro. Le nazioni europee, come Italia e Grecia, hanno costituito il primo approdo non solo geografico ma culturale e politico. Questo inatteso travaso di persone in cerca di lavoro e di serenità, in quanto non programmato, hanno trovato impreparati gli altri paesi ma l’Europa istituzionale non deve rimane passiva così come le popolazioni non rimangono passive. Ci sono ancoraggi istituzionali talvolta creati appositamente, ma sempre fedeli ad uno dei primi valori che ogni democrazia deve difendere, cioè il diritto/dovere d’asilo. Democrazia è anche questo e non solo garantire al proprio popolo valori etici, politici e umani, ma anche dimostrare che l’umanità, al di là dei colori e dei linguaggi, è sempre una: quella che anche il mito cristiano rinvia ai primi uomini senza alcuna distinzione.

 

Tracce di Eden

Mi è capitata l’occasione di trovarmi, non casualmente, alla presentazione del libro di poesie Tracce di Eden la cui autrice è Daniela D’Errico, l’editore è Manni. Sarei un ipocrita se non dicessi che io ho accettato di scrivere una premessa a cui ho dato il titolo La poesia filosofica di Daniela D’Errico. Il libro, tra l’altro, era arricchito da suggestive immagini di Francesco Cuna. Parlo di questo evento non per piaggeria nei confronti dell’autrice o dell’editore, ma perché ho visto il cosiddetto “Palazzo della Cultura” di Galatina, già Convitto Palmieri, pieno di pubblico. Cosa insolita per un libro di poesie. Qualcuno dirà che la presenza era dovuta ad un atto di cortesia verso l’autrice. Io non credo a questa ipotesi se non in parte. Penso che per un incontro di poesia ci sia un pubblico e un’attenzione diversi rispetto ad altri eventi culturali: la poesia rientra nella cultura di ognuno di noi. Difficile, ahimè, per esempio, la stessa cosa per incontri di filosofia o di scienza e non solo perché richiedono la conoscenza di lessici specifici, ma perché hanno meno fascino di un incontro di poesia. La riuscita dell’evento relativo a Daniela D’Errico dice questo e dice anche che Galatina non ha perduto la sua forte sensibilità culturale che, anzi, negli ultimi tempi sta ricrescendo.

 

Accoglienza senza distinzione

È finito il periodo che noi chiamiamo “delle vacanze” e ognuno ritorna al proprio lavoro e alle proprie incombenze. Fare un consuntivo di quello che è avvenuto negli ultimi mesi non è semplice perché abbiamo avuto, come nell’antichità, nuove presenze in quella che noi chiamiamo realtà occidentale. Infatti gruppi di abitanti di paesi dei paesi asiatici e dell’Africa, per eludere le lotte politiche dei loro paesi, con inevitabili riflussi economici, hanno deciso di sbarcare in Grecia e in Italia che, di fatto, costituiscono per loro i primi approdi accessibili nell’area europea. Naturalmente, come avviene quando ci sono sommovimenti politici che ribaltano modelli e prospettano certezze di guerra e di fame, per il futuro, per sfuggire alle guerre ci si trasferisce in zone più tranquille, più garantite, con maggiore possibilità di lavoro. Le nazioni europee, come Italia e Grecia, hanno costituito il primo approdo non solo geografico ma culturale e politico. Questo inatteso travaso di persone in cerca di lavoro e di serenità, in quanto non programmato, ha trovato impreparati gli altri paesi ma l’Europa istituzionale non deve rimane passiva così come le popolazioni non rimangono passive. Ci sono ancoraggi istituzionali talvolta creati appositamente, ma sempre fedeli ad uno dei primi valori che ogni democrazia deve difendere, cioè il diritto/dovere d’asilo. Democrazia è anche questo e non solo garantire al proprio popolo valori etici, politici e umani, ma anche dimostrare che l’umanità, al di là dei colori e dei linguaggi, è sempre una: quella che anche il mito cristiano rinvia ai primi uomini senza alcuna distinzione.

 

Il cinema: è in agonia?

Tra le istituzioni che neppure le guerre sono riuscite a scuotere è il cinema. Che cosa è il cinematografo? Come si sceglie, come si prepara, come si gira una film? Quali sono le attrici e le personalità più note del Teatro del silenzio in Italia? Qual è il suo passato, e quale il suo avvenire? Che cosa ne pensano scrittori, scrittrici, attori e industriali? Cinematografo educatore, indagatore e mondano!

Il cinema fu inteso all’inizio come teatro del silenzio, perché conteneva ancora la forma teatrale e, anzi, partendo da essa si “muoveva” con la fotografia, con i “tagli di luce” che inquadrano gli occhi, gli sguardi. Ci si chiedeva, nel 1916, che cosa fosse il cinematografo e se ne intuivano le potenzialità, se ne percepiva la forza del messaggio. Leggiamo il “Corriere Meridionale” del 1916 per vedere come fosse considerato un film o “una film”, come scrive il giornalista di un secolo fa: “Al Politeama: Films artistiche bellissime, assai drammatiche, piene d’interesse, sono state proiettate in queste sere al Politeama; ma quella che ha maggiormente attratto la curiosità del pubblico e ha provocato i maggiori applausi, è stata la magnifica film della Casa Ambrosio: Al fronte, scene dal vero della nostra grande guerra, replicata per due sere, con enorme concorso di pubblico. Questa sera: Andreina, l’affascinante”.

Certo, a distanza di un secolo ora abbiamo il cinema in casa, chiamato televisione e forse ci introduce in un mondo, una cultura, un modo di vivere che, quando nacque, non era neanche immaginabile e, forse, nemmeno auspicato.

 

La Politica… c’era una volta

Mi pare utile ogni tanto verificare di quale politica noi siamo succubi o protagonisti. Non va ignorato un altro fenomeno: da tempo c’è oggi la cosiddetta antipolitica. È, anche e soprattutto, la diffusa sfiducia di gran parte dei cittadini non nei confronti delle istituzioni, ma di chi le rappresenta e ne ha fatto un orto chiuso. Ci sono alcuni passaggi della nostra Costituzione che paiano garantire privilegi al ceto politico: pensiamo all’immunità parlamentare (art. 68), pensiamo al fatto che siano gli stessi membri del Parlamento a stabilirsi le proprie “indennità” (art. 69). Ma, allora, è sbagliata la Costituzione? Assolutamente no: la nostra Carta è ritenuta tra le più democratiche del mondo occidentale. Il fatto è che la Costituente aveva presente, dal 1945 al 1947, ben altri esempi di politica: la politica non era una carriera, ma un riconoscimento sociale e morale a chi aveva acquisito, con la propria storia umana, professionale, civile, la stima della comunità. Oggi forse non è così. Una radicale riforma elettorale era il primo punto per tutti i partiti. Sarà mai fatta in maniera globale? Ricordo quando ero adolescente e vivevo nella mia famiglia, politicizzata sin dal post-fascismo. Allora c’erano le “sedi” dei partiti, oggi non c’è più il “luogo” della politica. Anzi la politica la “facciamo” guardando la Tv. Qualcuno potrebbe aggiungere: ora ci sono i tecnici non i politici. Grossa finzione perché anche questi tecnici fanno la loro “politica” – giusta o sbagliata che sia – e la possono fare perché hanno il consenso dei partiti. Cosa rimane per recuperare una partecipazione attiva e credibile alle nostre sorti? Ci sono altre fonti che sollecitano una cittadinanza partecipe e convinta. Potrei parlare di certe istituzioni culturali, dei sindacati e persino di alcune forme associative promosse della Chiesa, competenza che, però, ritengo pericolosa per la stessa Chiesa e per la politica. Ma siamo in Italia.

 

Il mio regalo di Natale

Può sembrare strano, ma io sto già pensando al nuovo anno con estremo anticipo, come avviene da quindici anni. I miei amici sanno di che si tratta, ma mi piace partecipare il senso di questa esperienza ai lettori de “Il Galatino”. Come tutti, anch’io, nell’attesa del Natale, arrovellavo la mia mente per decidere che strenne preparare per parenti e amici. Ad un certo punto decisi non di comprare, scervellandomi, doni, ma di costruire qualcosa di nuovo e di mio. Così inventai un “Almanacco” che faccio stampare – a mie spese – da una accreditata tipografia di Galatina. Scelto un tema, invito alcuni amici (non posso coinvolgere tutti) a scrivere un pezzo su quell’argomento. Oramai quel gruppo è affiatato come l’Inter (o la Juventus?) e, come queste squadre, spesso introduce nuovi protagonisti. Una volta stampata questa pubblicazione, attendo le festività per donarla ai destinatari locali e inviarla ad altri amici sparsi per il mondo, con il rischio, se dimentico qualcuno, di perdere la sua amicizia. L’almanacco è sempre illustrato con i disegni/pitture di una bravissima mia amica pittrice che ha uno stile classico e rifiuta innovazioni estetiche. Spero che anche quest’anno questo dono “povero” sia accolto dai destinatari e condiviso. Che Dio me la mandi buona…

 

Tito Schipa non va dimenticato

Nessuno è profeta in Patria? Io credo che molto spesso sia così. Potrei fare tanti esempi, ma ne basta uno. Quale leccese ha portato in giro per il mondo nel Novecento anche il nome della sua città? Non è difficile: Tito Schipa. Come lo hanno ricambiato i leccesi? Dedicandogli il Politeama – ma pochi cittadini lo sanno –  e costruendogli una tomba nel cimitero dopo alcuni decenni dalla morte. Eppure non era difficile guardarsi attorno e vedere come e cosa era ed è ancora da fare. Un piccolo esempio: io ho avuto l’opportunità di essere vicesindaco della mia città e assessore alla Provincia sempre non per lunghi tempi. Quando ero al Comune il mio “ufficio” era nel castello di Carlo V. In un rifugio desolato di quell’edificio era abbandonato un pianoforte. Dopo un po’ di tempo chiesi di chi fosse e mi dissero che il pianoforte era stato donato da Schipa alla città. Allora cercai un posto dignitoso e tale da sollecitare nei cittadini il ricordo dell’artista. Era in quel periodo in restauro il teatro Paisiello. Allora feci restaurare anche quel pianoforte mettendo su una scritta in metallo con la quale si indicava il primo e ultimo proprietario privato. Da allora il pianoforte è visto da tanti cittadini che vanno in quel teatro per manifestazioni o spettacoli. E il pianoforte con la sua storia si fa riconoscere a costo zero. Tito ne è sicuramente contento.

[“Il Galatino”, maggio-dicembre 2015 (Fine)]

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