Il Diritto alla città di Henry Lefebvre e le tendenze all’anti-coartazione del suo valore di scambio. Ipotesi di lettura e analisi

di Luca Benvenga

Introduzione

La mia tesi è che sia possibile dare una continuità al pensiero Lefebvriano nel tentativo di definire le coordinate di una possibile economia politica dello spazio metropolitano, in cui si registrano in maniera connessa delle regolarità soggettive contrastanti che ci restituiscono lo scarto tra isotopia ed eterotopia nel paradigma metropolitano contemporaneo. Da questo assunto di fondo, la traiettoria dell’intervento è orientata all’osservazione sinottica dei dispositivi di controllo ed esclusione di specifiche classi sociali (segregazione volontaria e spontanea, H. Lefebvre, or. 1967, tr. it. 1968), ipotizzando, a conclusione, delle riflessioni sul modo in cui dei frammenti di territorio possono essere trasfigurati da frazioni di popolazione, il cui regime di desideri, tradotto in “pattern” pressoché incompatibili, all’origine, con l’ordine normativo-simbolico, è da ricercare a mio modo di vedere in un consesso di iniziative atte alla riappropriazione di uno spazio fisico, con un’esplosione di soggettività tale da ridefinire la funzione dello spazio nella metropoli.

Nonostante il Diritto alla città si collochi temporalmente a cavallo tra un sistema keynesiano-taylorista-fordista e l’avanzamento schiacciante di un paradigma toyotista, Lefebvre coglie l’origine delle trasformazioni sociourbanistiche rispondenti alla galoppante ratio (compressione dello spazio, contrazione del tempo con l’automazione dei processi di produzione accostati alle nuove tecnologie della comunicazione e dei trasporti), in cui operano contemporaneamente più strategie sistemiche finalizzate alla frantumazione della differenziazione topografica della città, prefigurando nuove esigenze di sviluppo urbano in seno alla riconversione del modello capitalista, con effetti processuali sulla pianificazione territoriale e sulle vite in senso ampio.

Con i sempre più nuovi sistemi di cibernetizzazione e terziarizzazione del lavoro, la fabbrica, la produzione come teatro di lotta e aggregatore sociale, perlomeno nell’Occidente tardocapitalista, lascia così il posto ad un conflitto sempre più incentrato sulla categoria di spazio e non sulla sottrazione del tempo all’autorità padronale. In una “scomposizione bidimensionale della vita quotidiana” (cfr. G. Cersosimo 2017, 15), incentrata su un tempo organizzato socialmente ed uno relativamente libero, sempre e comunque connesso all’organizzazione capitalistica della produzione e del lavoro, la chiave del conflitto, oggi, in un presente con un netta flessione occupazionale, è la riappropriazione di mezzi e risorse per godere del “tempo” di cui si dispone in una società di non produttori, flessibile per natura nella contrattazione oraria e di riflesso incline nel costruire momenti in cui è possibile contabilizzare una maggiore partecipazione dal basso.

Con l’impatto che la ristrutturazione economico-politica ha avuto nell’ultimo trentennio su specifiche classi sociali (iper-privatizzazione delle interazioni personali, funzionalizzazione di alcune aree urbane alla riproduzione di forzalavoro sottosalariata, imborghesimento dei quartieri, e.g. il quartiere di Gracia a Barcellona, le banlieu parigine o i ghetti di Los Angeles descritti da M. Davis in La città di Quarzo, tr. it. 1993), l’attenzione è da rivolgere ad una negazione contemporanea della soggettività socializzante extra valore di scambio, tematizzata dal sociologo francese, ipostatizzata in uno spazio a tendenza disciplinare ed enfatizzata nell’estrema logica produttivista del Capitale, che tendenzialmente confina spontaneamente in specifiche zone della metropoli le volumetriche esigenze polifoniche, nelle quali sono tangibili modelli di comportamento e di valore che corroborano dinamiche inclini alla ridefinizione dell’interazione soggetto-struttura a livello locale, e che resistono alle pratiche di omogenizzazione del Capitale (vedi il quartiere St. Pauli di Amburgo). La specializzazione tecnica conseguente alla riorganizzazione tecnologica delle mansioni lavorative ha visto il sorgere di un nuovo assetto di potere, che ha segnato la fine della società disciplinare foucaultiana (e, a mio avviso, il ritorno ad un sistema di prevenzione pre-borghese, con confini fisici ancora più netti), determinando l’avvento di forme di controllo sociale non finalizzate alla creazione di corpi funzionali al ciclo produttivo, ma all’incapacitazione dell’eccedenza di forzalavoro (A. de Giorgi 2002), parte di una chiara dinamica che non si fa più garante della cittadinanza sociale. Le periferie, nate per la stabilizzazione di manodopera industriale e per la loro riproduzione (S. Palidda, 2016, 98), oggi enfatizzano la risposta di classe del neoliberismo capitalista ai suoi stessi meccanismi di esclusione generati da una razio accumulativa di tipo espropriativo (cfr. A. Davis, 2016), elette a luoghi fisici di prevenzione situazionale che sorvegliano uomini e donne che manifestano un’aporia alla collocazione occupazionale (o nel migliore dei casi oggetto di una dispersione improduttiva per via di una netta scollatura tra capitale umano cognitivo e domanda di lavoro dequalificato).

Condizione necessaria per riscontrare una linearità analitica con la tesi lefebvriana è l’accettazione del presupposto sulla coesistenza di ambivalenze soggettive (che verificheremo nel paragrafo successivo) socialmente determinate, e che si concludono:

a) Nella “securizzazione”, visibile nell’iper-privatizzazione della socialità (Coney Island e Disneyland su tutti), nella razionalizzazione tecnica dello spazio fisico che passa “attraverso il valore di scambio, il commercio e il profitto” (H. Lefebvre, 121);

b) Nella cortocircuitazione della lineare riproducibilità del Capitale. Ciò è possibile perché la soggettività è per definizione dentro e contro la società, è l’elemento che consente al capitale la produzione di valore ma anche il luogo di resistenza della misura della vita in merce (F. Chicchi, 2015).

 

Trasformazioni urbanistico-produttive nell’Occidente post-industrializzato: nuovi processi di esclusione

Il pensiero di Lefebvre concretizzatosi nell’opera del 1967, è un punto di partenza per indagare le reciproche interdipendenze che si instaurano tra i processi di individualizzazione e le trasformazioni socioeconomiche che hanno caratterizzato il quarantennio a cavallo tra i due secoli, per meglio comprendere ed analizzare le logiche di funzionamento e di riproduzione di un sistema di società fondato sulla razionalizzazione dei rapporti sociali come fase conseguente la razionalizzazione dei rapporti di produzione (M. Cacciari, 1973, citato da V. Codeluppi, 2014), osservando specificatamente una contemporaneità che ci restituisce una dimensione inter-soggettiva al contempo performativa e con alto potere decisionale per il singolo, con una curva di tendenza tesa a registrare un consumo autonomizzato e non più appendice della produzione, con il consumatore quale processo attivo nella massimizzazione della razionalità tardocapitalista che apre a nuovi scenari (sia critici e conflittuali, che basati sul principio di accettazione di mero consumatore passivo).

Un decennio dopo la pubblicazione de Il Diritto alla città, a partire dagli anni Ottanta e a venire, si esprime una collocazione di status individuale a mezzo fruizione di uno spazio adibito a zona relazionale ed emozionale, in cui si produce plusvalore con il solo flânerie mediante operazioni di marketing avvolgenti e penetranti, materializzate in una “fantasmagoria spaziale di diversificazioni funzionali” (Raban, 1974 citato da G. Borelli, 2012, 116) che si formalizza nei parchi tematici, nelle strade-mercato, nelle iper-merci (shopping mall), con una evidente e crescente sperequazione nell’accesso che ostacola la convergenza a delle sensibilità interclassiste, appannaggio di una città globale e socialmente eterogenea. Da tali considerazioni prende piede una direttrice del conflitto, per vasti settori di individui, che passa dalle resistenze all’esproprio (al capitalismo estrattivo per la precisione), dal diritto all’abitare e dalla cooperazione sociale (reddito, miglioramento della qualità della vita mediante “isole ecologiche”, autogestioni come reazione allo smantellamento dello stato sociale, cfr. M. Ilardi, a cura di, 1996), tangibili nella storicizzazione di gruppi eterotipici lefebvriani (cfr. H. Lefebvre, tr. it. 1968) che convergono spontaneamente per definire delle traiettorie di mutamento immediato (cfr. A. Touraine 1991; A. Petrillo 2003; Mike Davis 2008) e radicali cambiamenti di scenario (da Seattle, 1999 a Buones Aires, 2003).

Lefebvre qui è utile per capire lo strappo postmoderno, il passaggio dalla città del welfare alla città neoliberale, dimostrare come l’architettura economico-commerciale abbia influenzato il sistema delle interazioni, osservando così il superamento della città industriale e con essa lo slittamento della dialettica di interazione dei corpi nello spazio, in virtù delle trasformazioni sociourbanistiche (allocazione subperiferica del ceto medio-basso e concentrazione delle classi subalterne in aree ospitanti i lavori ad alta obsolescenza) e dei nuovi rapporti di forza, con l’emergere di un regime di accumulazione dove le piattaforme digitali svolgono un ruolo centrale nell’accumulazione capitalistica, incarnata nelle componenti riproduttive della vita (F. Chicchi, op. cit., et. al.). In sintesi, con l’avvento di un ciclo di produzione robotizzato e tendenzialmente incline, nel lungo periodo, alla fine del lavoro manuale, a cambiare e ad essere investiti dal mutamento compulsivo sono:

  1. I dispositivi di catturazione della soggettività, sempre più escludenti per via di una logica di dominio incapacitante (A. De Giorgi, op. cit.);
  2. La rappresentazione cospiratoria della realtà, aggrappata e incardinata nel contro-uso dello spazio urbano.
  3. Il conflitto, segmentato a causa di una frammentazione dell’identità quale sottoprodotto della depauperazione del contesto sociale e produttivo in cui essa si riproduceva (l’algoritmo ha sostituito la fabbrica nella gestione delle masse ed esaurito il vecchio ciclo di lotte e con esso le rivendicazioni dei diritti sociali su larga scala).

Seguendo lo sviluppo storico della teoria lefebvriana, al fine di approfondire il rapporto uomo-territorio negli ultimi decenni (forme di auto-organizzazione e nuova composizione dell’azione collettiva), il suo pensiero ha prodotto una corposa pubblicistica a carattere sociologico, geografico, storico-politico, in cui si evidenzia l’importanza di precisi spunti di riflessione multidisciplinari sorretti e sospinti dall’inverarsi dell’equazione produzione di ricchezza sociale: produzione sociale di rischio=accumulazione postfordista: al governo della moltitudine. Gli esempi sono rappresentati dai vari D. Harwey con il suo Capitalismo oltre il diritto alla città, 2016, il cui obiettivo è stato quello di verificare empiricamente l’ipotesi secondo la quale l’urbanizzazione svolge un ruolo attivo nell’assorbire l’ eccedenza di capitale prodotta dalla continua ricerca di plusvalore, basandosi sull’assunto marxista per cui il capitalismo si fonda sulla produzione di profitto, (aggiungendo che oggigiorno il capitalismo estrae plusvalore anche dalla nuda soggettività, dall’intelligenza collettiva, dalla riproduzione e cooperazione sociale, dal business della finanziarizzazione, si vedano, al proposito, i meccanismi che regolano il crownsourcing o il crownworking), ma anche da beni privati che vengono collettivizzati attraverso strumenti infeudatari (uber, airbeb, foodora); si possono rinvenire profonde assonanze delle posizione di L. con le teorie di Beck sulla brasilianizzazione della società (e in qualche modo con le concettualizzazioni teoriche di Alain Touraine sulla “spazializzazione delle differenze”, tesi perorata nel 1991 in seguito a dei riot nelle banlieu, condizione abitativa che rende remota la possibilità di una condivisione di valori e progetti tra gli abitanti della città, cfr. A. Touraine citato da A. Petrillo, 2004, 21-22); anche Jean Pierre Garnier si muove e fa muovere la logica lefebvriana, disquisendo criticamente sull’esistenza di spazi fisici criminogeni e sulla gerarchizzazione di status dei luoghi per impedire il conflitto di utilizzo tra i vari utenti ed espungere la rabbia sociale, soffermandosi sulle fratture del tessuto urbano e sulla vocazione insorgente di una specifica fascia di cittadini (cfr. tr. it., 2016, 47 sgg.).

Parallelamente, i cambiamenti sociourbanistici tipici della Global city hanno aperto a nuove esigenze di sviluppo urbano (terziario, trasformazione della periferia in centro, abbandono dei centri storici dei residenti ed incremento di una domanda residenziale diversificata nella innercity e di attività produttive ad alto reddito nella downtown), mutato le forme di subordinazione ai rapporti di comando mediante il serpeggiare di percorsi iper-individualizzati refrattari ai compromessi e alla mediazione degli attori politici tradizionali, legittimando una risposta disomogenea ai meccanismi di esclusione, all’interno dei quali si opera una nuova grammatica della strada (e del digitale, da considerare come una articolazione del concetto di spazio lefebvriano e della sua illimitatezza), rappresentati da uno scenario fatto di sperimentazioni collettive, solidali e cooperative, condizione necessaria per un cambiamento radicale alla ricerca di una centralità dell’individuo, anche se tuttavia permangono pur sempre come spazi privilegiati dalle contemporanee logiche di sfruttamento, per cui occorre comprendere quali linea di condotta seguire per non essere travolti nella percezione di un’azione sociale che si legittima per distorsione nella sua antitesi.

La risultante della riorganizzazione capitalistica in seno alla produzione e alla circolazione delle merci negli anni Settanta, è il depauperamento del compromesso storico basato sulla stabilizzazione promossa dalle parti sociali (sindacati, partiti, organi istituzionali), con conseguente rideclinazione delle modalità espressive della partecipazione cittadina. È stato possibile osservare una traiettoria che enfatizza (sia) il superamento delle classiche categorie della scienza politica (a vantaggio di un percorso extra-istituzionale e acefalo), (che) un reale innalzamento della radicalità nei quartieri e nelle strade (vedi i commodity riot di Londra del 2012): l’indebolimento della centralità della produzione ha preconizzato la necessità di una nuova “coscienza di classe”, con la proliferazione di nuovi percorsi identitari, che confluiranno in un conflitto accludente un nuovo contesto di lotte (dalle più svariate, da quella contro la sperequazione nell’accesso ai servizi alla difesa dei centri storici), in cui sarà la metropoli l’oggetto della contesa

Da una prospettiva squisitamente sociologica, i nuovi mutamenti strutturali hanno provocato una netta espulsione della forza-lavoro dai circuiti della produzione in Occidente e il blocco della mobilità ascendente nel breve e lungo periodo, cui si è affiancata, a livello topografico, la costruzione di una metropoli organizzata sulla base di una geografia sociale tendente alla «segregazione residenziale» (cfr. A. De Giorgi, 2000). Il conflitto sociale inizia così ad articolarsi in forme microconflittuali relegate ai bordi della ristrutturazione capitalistica, ed interessa segmenti di individui e territori etero-rappresentati come portatori di problemi. Si tratta di una conflittualità da cornice al corpo sociale che manderà in crisi il progetto di “controllo attuariale” dello spazio fisico attraverso la collettivizzazione dei bisogni sociali, le occupazioni abitative (vedi oltre al già citato quartiere di St. Pauli ad Amburgo, l’East End londinese degli anni Settanta), in risposta ai processi di gentrificazione e alle speculazioni edilizie, con il richiamo a forme di antagonismo contrassegnato di elementi nuovi e prassi molecolari che influenzeranno gli assetti socio-economici su base internazionale.

Ed ecco, dunque, che è l’idea di una razio aspirazionale (parafrasando il concetto di “classe aspirazionale” di M. Currid-Halckett, 2017) a favorire un processo di auto-identificazione di micro-gruppi sociali e di autonomia del soggetto nello spazio, presentando davanti agli occhi di attenti osservatori una popolazione fluttuante, un contesto magmatico che appare, nei flussi comunicativi e nella miriade di forme aggregative e solidali, apparentemente distinto ma contiguo (che transita dalle pratiche degli orti-urbani alla rigenerazione di interi quartieri). In una valutazione teorica di quello che potrebbe essere il contro-uso dello spazio fisico, appare quindi connesso un processo di legittimazione motivato da specifiche condizioni esistenziali marginali, il cui risultato è dato dall’incontro di più fattori: struttura, individuo, cultura, elementi peculiari per comprendere in toto le caratteristiche dei nuovi rapporti di socializzazione extra-valore di scambio, le cui ambizioni non si riducono a un qualcosa di periferico e privo di significato, almeno fino a quando regge la logica di fondo dello spontaneismo e dell’orizzontalità.

 

Conclusioni

Con queste preliminari osservazioni (che non hanno alcuno scopo di essere esaustive), gli interrogativi ai quali la comunità scientifica oggi ha l’obbligo di rispondere, rileggendo L., sono i seguenti: quali nuovi equilibri si stabiliscono e si infrangono allo stesso tempo tra utenti produttori e fruitori degli spazi, con l’incessante crescita di un capitalismo neoliberista in cui le singole esistenze si scontrano con gli interessi politico-economici e socio-culturali locali? Quale la messa in atto delle nuove forme di sfruttamento (monetizzazione della creatività e del tempo libero, collettivizzazione dei beni privati, etc.) e il loro superamento? Nell’odierna circostanza, quale processo di resilienza sociale è ipotizzabile nello spazio metropolitano (specie nelle sue aree periferiche)?

Per far ciò, abbiamo dimostrato come corra l’obbligo comprendere in che modo si sia dispiegata (e si avvicendi tutt’ora) la frantumazione di quell’ultra-secolare equilibrio urbanocentrico, figlio dei progetti di ingegneria sociale e tecnicismi caratterizzanti buona parte del XX secolo, con il territorio che si è visto essere ripartito in zone distinte simboleggianti la raffigurazione degli strali su cui si ergeva e celebrava un tempo la modernità, cui, successivamente, si è sostituita una progressiva affermazione globale e postmoderna della metropoli diffusa, con i corpi che, alla ricerca di rassicurazione (anche solo percettiva), nel più dei casi si sono incanalati tendenzialmente in aree globalmente virtuali, nelle supermerci (iperluoghi, così definiti perché «in grado di dominare il territorio, generare fenomeni di urbanizzazione e attirare masse e flussi», V. Codeluppi, 2014, 19), artifici di una società ansiogena che rifugge, non senza problemi e colpi di coda, l’eterogeneità degli incroci tra soggetti dissimili per estrazione economica e razziale, e la cui prevenzione esercitata in singolari aree della città (quartieri di periferia), strumentalmente finalizzati a stemperare sovrastrutturalmente la produzione sociale di insicurezze e consentire di governarle con strumenti di controllo sociale (un esempio è costituito dalle politiche di “deurbanizzazione” della città di Los Angeles), coniuga la necessità di costruire l’identità e di definire i confini sulla spinta di una chiara stratificazione degli ambienti. Sostiene Petrillo (ibidem, 23) come la città sia ripartita in due marco-aree: da un lato si ergono i luoghi privilegiati di ipervalorizzazione del Capitale e dell’altro della svalutazione del bene lavoro, tangibile nelle periferie del mondo. Se, come scrive Lefebvre, l’urbano è “la proiezione della società sul territorio”, l’immagine coeva di una area marginale “può essere interpretata come la risultante delle dinamiche sociali ed economiche che agiscono sul territorio e disegnano una mappa del tutto diversa da quella ufficiale, che non parte da un cambiamento pianificato ma dai modi di dislocarsi delle genti e di agire sull’habitat in rapporto alle necessità di sopravvivenza. Questa mappa non solo descrive un diverso significato di cittadinanza ma anche una rimodulazione del Diritto alla città. Nonostante l’espansione territoriale urbana presupponga un declino del concetto di periferia, soprattutto per quei quartieri che nel tempo si sono avvicinati al centro, anche grazie a un incremento della mobilità pubblica e privata, la carenza di qualità dell’habitat (mancanza di servizi, scarsità di spazi pubblici, pericolosità delle strade) continua ad essere espressione di una segregazione, sinonimo di periferia” (cfr. A. Criconia, 2017).

A mio parere, queste zone liminari, con le loro criticità sono anche un terreno fertile per la sedimentazione di qualunque discorso concreto oggi sul Diritto alla Città e sul suo rovescio, che vive più che mai di spinte anti-costrittive a caratterizzazione spaziale. Il Diritto alla Città così come inteso da Lefebvre si nutre di pratiche di secessione dei territori dallo spazio tempo organizzato dal Capitale globale (“Infoaut”,cfr. 2015) “si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all’individualizzazione nelle socializzazione, all’habitat e all’abitare. Il diritto all’opera (all’attività partecipante) e il diritto alla fruizione (ben diverso dal diritto alla proprietà) sono impliciti nel diritto alla città” (H. Lefebvre, 130).

In conclusione, il ripensare oggi alla città passa inderogabilmente dall’abbandono della proprietà privata, da un network espressivo-culturale sollecitato da pratiche appropriative dal basso, dalla negazione di una mobilità “imbrigliata”, solo così sarà possibile scrivere quel capitolo mancante che per tanti, e per il sottoscritto, caratterizza l’opera dello studioso francese, incompiuta ma ricca di riflessioni, senz’altro ancora utilissima per un confronto dialettico anche cinquant’anni dopo la sua pubblicazione.

 

Riferimenti Bibliografici

 

Barbier J.C. – Nadel H., (tr. it. 2002) La flessibilità del lavoro e dell’occupazione, Roma, Donzelli.

Bauman Z., (tr. it. 1999) Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma, GLF editori Laterza.

Beck, U., (tr. it. 2000) Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro, Torino, Einaudi.

Bordieu P., (2015) La miseria del mondo, Milano-Udine, Mimesis.

Borelli G., (2012) Immagini di città, Milano, Bruno Mondadori.

Castells M., (tr. it. 1975) Lotte urbane, Padova, Marsilio.

ID., (1997) The power of identity, Oxford, Blackwell.

ID., (tr. it. 2002) La nascita della società in rete, Milano, Egea.

Cersosimo G., (2017) Il tempo simbolico della città, a cura di, Milano-Udine, Mimesis.

Codeluppi V., (2014) Metropoli e luoghi del consumo, Milano-Udine, Mimesis.

Criconia A., “Rimodulare il Diritto alla città. Tor Pignattara, una periferia romana multietnica”, disponibile su http://www.fondazionecriticasociale.org/2017/04/21/rimodulare-diritto-alla-citta-tor-pignattara-periferia-romana-multietnica/, consultato in data 20/12/2017.

Currid-Halkett M., (2017) The Sum of Small Things: A Theory of the Aspirational Class, Princeton University Press.

Davis A., (2015) Freedom Is A Constant Struggle: Ferguson, Palestine, and the Foundations of a Movement, Chicago, Haymarket Books,

Davis M., (tr. it. 1993) La città di quarzo. Indagine sul futuro di Los Angeles, Roma, Manifestolibri.

De Giorgi A., (2002) Il governo dell’eccedenza, Verona, Ombre Corte.

ID., (2005) Traiettorie del controllo. Riflessioni sull’economia politica della pena, Soveria Mannelli, Rubettino.

Gallino L., (2001) Il costo umano della flessibilità, Roma-Bari, Laterza.

Garnier J.P., (tr. it. 2016) Lo spazio indifendibile, Torino, Nautilus, pp. 27-59.

Hardt M., Negri A., (tr. it. 2002) Impero, Milano, Rizzoli.

Harwey D., (1990) The Condition of Postmodernity, Oxford, Blackwell.

ID (tr. it. 2016) Il capitalismo contro il diritto alla città, Verona, Ombre Corte.

Lefebvre H., (tr. it. 1968) Il diritto alla città, Verona, Ombre Corte.

ID., (tr. it. 1976) La produzione dello spazio, Milano, Moizzi.

ID., (tr. it. 1973) La rivoluzione urbana, Roma, Armando.

Kasarda J., Parnell A., (1993) Third World Cities: Problems, Policies and Prospects, New York, Sage.

Longo M., Salento A., (2011) (a cura di), Tutto sotto controllo. La sicurezza in una città di provincia, Roma, Carocci.

Negri, A. (tr. it. 2008), Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica, Milano, Feltrinelli.

Palidda S., (2016) Sociologia e antisociologia, Limena, Edizioni libreria universitaria.

Papartegiadis N., (2000) The turbolance of migration. Globalization, Deterritorialization and Hybridity, Cambridge, Politi Press.

Petrillo A., (2004) Città in rivolta, Verona, Ombre Corte.

Rauty R., (1995) Homelessness: povertà e solitudini contemporanee, Genova, Costa&Nolan.

Sennett R., (tr. it. 2006) La cultura del nuovo capitalismo, Bologna, Il Mulino.

“Sui processi di soggettivazione. Intervista a Federico Chicchi” (2015) in Sudcomune, n. 0, pp. 58-63, disponibile su http://www.sudcomune.it/2016/10/30/sui-processi-di-soggettivazione-intervista-a-federico-chicchi/, consultato in data 21/11/2017.

Vercellone, C. (a cura di) (2006), Capitalismo cognitivo. Cooscenza e finanza nell’epoca postfordista, manifestolibri, Roma.

Wacquant., (tr. it. 2006) Punire i poveri, Roma, Deriveapprodi.

Wieviorka M. (1996) Violence, Culture and Democracy, in “Public Culture”, 2.

[Il presente articolo rappresenta lo sviluppo teorico di un primo contributo esposto durante il convegno “Giovani Cultura e Istituzioni”, IV edizione. Giornate di studio “sul futuro” (1-3 Dicembre 2017, Università di Trieste), organizzato dal “Centro Internazionale di Studi e Documentazione per la Cultura Giovanile”. La sua versione definitiva è stata pubblicata in lingua inglese nella rivista Tafter Journal, n 100, maggio-giugno 2018 (ISSN 1974-563X)].

 

 

 

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Sociologia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *