La conoscenza della bellezza segnerà la vita

di Antonio Errico

Qualche sera fa, Alberto mi parlava di Van Gogh e di Picasso. Siccome diceva che sono amici suoi, che conosce da un anno, uno lo chiamava Vincent, l’altro lo chiamava Pablo. Diceva che Pablo disegna figure che ballano, e che Vincent è un poco pazzerello, un poco tanto pazzerello che una volta si è tagliato l’orecchio, da solo. Ma gli piacciono tanto tanto i suoi girasoli.

Alberto ha tre anni e ha frequentato il primo di scuola dell’infanzia.

Allora mi è venuto da pensare che certe cose devono precedere ogni dimensione disciplinare. La bellezza è una di queste cose. Non la bellezza di una o di un’altra disciplina, dunque, ma il sentimento della bellezza, la disponibilità ad una relazione con essa, la tensione alla sua percezione e poi alla sua comprensione, alla sua assimilazione. Senza un sentimento, senza una costante approssimazione alle forme ed alle espressioni della bellezza, non si potrà mai sentire il richiamo di quella che si cela in una formula matematica o in una terzina dantesca, nel divenire della storia e nei fenomeni della fisica, in un argomentare di filosofia, nei segreti della biologia, in un paesaggio, in una notte stellata; non si potrà individuare la proporzione fra gli elementi di una cattedrale o di una poesia, la relazione fra le parti di un insieme, la simmetria, l’armonia.

Il processo di conoscenza della bellezza comincia da una percezione, da un’intuizione, uno stupore, che nel tempo non si attenuano ma si elaborano assumendo e integrando cognizioni e categorie culturali. L’infanzia è l’universo della percezione, dell’intuizione, dello stupore. Il processo di conoscenza della bellezza, dunque, comincia da lì, da quell’universo che sovrappone le sfere della natura e della cultura. È dentro quell’universo che matura il senso della relazione con gli esseri e le cose. Tutto quello che sarà dopo, il modo in cui sarà, dipenderanno dalla profondità delle tracce che il tempo dell’infanzia ha lasciato. Oppure dall’altezza della sua montagna, come la chiama Cesare Pavese.

Da quella profondità o da quell’altezza dipenderà la personalità di ciascuno. Forse anche il destino, almeno per quella parte in cui si può tentare in qualche maniera di intervenire, di interferire.

Molte esperienze della nostra esistenza si confrontano con la bellezza. La sua percezione precede – e, poi, forse, segue – la consapevolezza del senso che hanno gli esseri e le cose. Spesso è con la loro bellezza, per la loro bellezza, che noi cominciamo una relazione; spesso è con l’immagine o con la memoria della loro bellezza che quella relazione si conclude.

La visione del mondo prende forma nel tempo dell’infanzia. Dopo quel tempo non si fa altro che collocare la propria storia all’interno di quella visione, che può essere semplice o complessa, tortuosa o lineare, che può rispondere a criteri di bellezza oppure a criteri che appartengono al suo contrario. Non c’è nulla nell’universo che non abbia rapporto con la bellezza. Anche se , talvolta, in termini di contrasto, di negazione.

Se nel tempo in cui la visione del mondo si va conformando si stabilisce un rapporto con le espressioni della bellezza, con molta probabilità da quelle forme sarà attraversata tutta l’esistenza. Si cercherà la bellezza dappertutto, in ogni essere e in ogni luogo, in ogni fenomeno e in ogni circostanza, nel presente e nel passato; si ipotizzerà un’altra, nuova bellezza per il futuro. Si guarderanno le rappresentazioni e si ascolteranno le voci del mondo con una sensibilità e un metodo che consentiranno di percepirne e di comprenderne le assonanze e le dissonanze, di interpretarne i fenomeni, di stringere in una sola dimensione la loro apparenza e la loro essenza. Si assaporerà la bellezza che appare; si cercherà di scoprirla laddove non traspare. Perché ha ragione Marguerite Yourcenar quando nel suo romanzo fa dire ad Adriano:“ Chi ama il bello finisce per trovarne ovunque, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile”.

Poi: il tempo in cui si configura la visione del mondo coincide con quello che propone le prime impressioni che riguardano l’idea di verità e i dubbi e le domande intorno a quell’idea che dureranno per quanto durerà la vita.

Allora si può dire che a volte verità e bellezza si incontrano su una soglia di pensiero. Con consapevolezza, con inconsapevolezza, con serenità, con sofferenza, con qualche certezza, con incertezze infinite. Forse verità e bellezza sono la sostanza di ogni conoscenza, quello che resta dentro, intimamente. Lo ha detto, mirabilmente, John Keats nei due versi che chiudono “Ode on a Grecian Urn” : Beauty is truth, truth beauty’, – thats is all/ ye know on earth,and all ye need to know; la bellezza è verità, la verità è bellezza – che è tutto / quanto sappiamo e dobbiamo sapere sulla terra.

Un giorno, fra gli scaffali di una libreria, oppure una sera su una bancarella del lungomare, Alberto incontrerà un catalogo che in copertina riporterà l’immagine di quelle figure che ballano disegnate dal suo amico Pablo, incontrerà i girasoli che gli piacciono tanto, dipinti da quel pazzerello di Vincent.

Di sicuro non resterà indifferente. Poi cercherà i luoghi in cui si trovano quelle figure e quei girasoli.

Ecco. La sensibilità nei confronti della bellezza comporta l’esclusione dell’indifferenza da qualsiasi sfera dell’esistenza. Una visione del mondo che contempla l’attrazione da parte della bellezza implica la costante ricerca di essa, l’indagine dei contesti finalizzata alla scoperta dei “testi” che la esprimono, che la raccontano. I testi e i contesti della bellezza sono naturali e culturali. La bellezza di una statua e quella di un albero d’ulivo;la bellezza di un passo di prosa e quella di un passaggio di anatre sul mare; quella di un affresco medievale, del silenzio della neve che cade, la bellezza di una musica e quella che anche il rumore del tuono può avere.

Però bisogna imparare a riconoscere i contesti, a decifrare, comprendere, interpretare i testi. Bisogna cominciare ad imparare dall’infanzia. Dopo quell’età diventa più difficile, molto più difficile. A quell’età fra natura e cultura non si fa distinzione. Dopo quell’età le distinzioni e le distanze diventano grandi. Van Gogh non è più l’amico Vincent, Picasso non è più l’amico Pablo. Si trasformano in artisti, in miti che si può sentire vicini ma che si può anche sentire lontani.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 1 luglio 2018 ]

 

 

 

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