Diagnosi e terapia

di Ferdinando Boero

Nel 1981 ottenni un posto di ruolo nell’università e, nel 1983, durante un lungo periodo in California, predissi quello che sta arrivando a compimento oggi in Italia. Nel paese più ricco del mondo si lavorava molto più che da noi, e con meno garanzie: stavamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità. Il debito pubblico spropositato che attanaglia l’intero paese ebbe inizio allora, quando mi fu regalato un posto a vita senza che avessi dimostrato gran che. Nel mio piccolissimo, da allora, cerco di meritarlo, perché so che non ci sono pasti gratuiti, come dice una regola dell’economia. Prima o poi il conto va pagato. Se non paghi, pagheranno i tuoi figli. Quel temporaneo benessere tolse la voglia di combattere, visto che non c’era nulla per cui combattere: ma era un benessere fittizio, ottenuto contraendo debiti.

Allora, sinistra voleva dire stare con i più deboli, gli sfruttati. E voleva dire cultura. Gli intellettuali non potevano non essere di sinistra, pur con qualche eccezione. C’erano sezioni, gruppi culturali, circoli, e giornali, riviste, cinema, teatro e letteratura, musica, filosofia, arte e scienza. Sinistra voleva dire riscatto sociale, miglioramento delle condizioni, per tutti. Le condizioni sono migliorate, apparentemente a seguito delle “lotte”, a partire dagli anni Ottanta. Chi, come me, era figlio di un portuale poteva diventare professore universitario. Mi accorsi allora che quei “passi avanti” si stavano facendo contraendo debiti. Se i deboli migliorano la propria condizione, viene a mancare il motivo per essere di sinistra: sembrava che tutto sarebbe andato sempre meglio e che l’evoluzione avesse reso inutile la rivoluzione. Ma era solo un’illusione. Il Monte dei Paschi di Siena è l’emblema di tutto questo: ha garantito benessere per decenni, ora va salvato dal fallimento, come lo stato. L’ascensore sociale, garantito dagli studi, si è bloccato e torna la povertà. Il futuro rubato fa aumentare la rabbia e l’insoddisfazione. La sinistra non capì allora e continua a non capire. Quando Nanni Moretti gelò la dirigenza del partito di sinistra intendeva questo. Quando quella dirigenza fu giustamente rottamata, la nuova continuò a non capire, accusando gli altri di ottusità. Anche Grillo cercò di farlo capire, denunciando scandalo dopo scandalo, e fu etichettato come un dilettante: che faccia un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende, gli dissero, sprezzanti. Gli opposti di M5S (paladino dei senza futuro) e Lega (rinata con l’odio razziale dalla Lega Ladrona) formano un’improbabile alleanza e la sinistra (cosiddetta) si tira fuori e sta a guardare, pregustando il disastro. Invece si autodigerisce e si svuota.

Un tempo i deboli volevano migliorare la propria condizione combattendo i più forti, ora vogliono mantenere la propria condizione combattendo chi è più debole di loro: gli immigrati. L’impressione è che tutto andrebbe per il meglio, se non ci fossero. Il M5S, alleato con il partito del rancore, è in affanno: quella contro gli immigrati non è la sua battaglia, come non lo è l’abbassamento delle tasse ai ricchi. C’è una pseudosinistra in Parlamento (il PD) che potrebbe riscattarsi, incuneandosi tra i due poli e portandone uno dalla propria parte, mitigandone gli eccessi e le ingenuità. Ma, proprio come Don Abbondio, uno il coraggio di essere di sinistra mica se lo può dare. La cosiddetta sinistra accusa chi non la vota di non aver capito niente. Come quello che sente alla radio di un pazzo che va contromano sull’autostrada e, guidando su quell’autostrada, pensa: uno? qui sono tutti pazzi!

[“Secolo XIX”, 30 giugno]

 

In molti mi hanno scritto e mi hanno chiesto: e allora, cosa proponi? così stamattina, 4 luglio 2018, sempre sul Secolo XIX è uscito questo articolo:

 

Diversi lettori mi hanno scritto di condividere l’analisi pubblicata qualche giorno fa sul Secolo e mi hanno chiesto: dopo la diagnosi dei mali (per decenni abbiamo vissuto a credito, molto al di sopra delle nostre possibilità), che terapia proponi? Se mi viene chiesto, ecco quali sono i punti per me prioritari, quelli che vorrei vedere nei programmi dei partiti.

1 – Le risorse strategiche devono essere pubbliche e devono essere gestite in modo efficiente. Ci hanno detto che l’unica cosa saggia sia privatizzarle. Le cose pubbliche non sono inefficienti perché sono pubbliche ma perché sono gestite male. I guadagni derivanti dalla buona gestione devono essere pubblici, sia in termini economici sia in termini di servizi. Nelle cose pubbliche ci metto anche la burocrazia: non è un nemico, uno stato diventa efficiente attraverso un apparato burocratico efficiente.

2 – Lotta a malavita organizzata, corruzione, evasione: sono collegate e pervasive. Un paese non funziona con un’illegalità diffusa che ha come primo obiettivo di depredare la cosa pubblica. Non possiamo continuare ad essere un paese di truffatori truffati.

3 – Riconvertire il patrimonio edilizio ed infrastrutturale, rendendolo sostenibile ed efficiente. Basta nuove costruzioni, rimettiamo in sesto i centri storici. Tutt’al più si abbattano le orrende periferie e si ricostruiscano con criteri di sostenibilità e di bellezza architettonica. Alcune grandi opere ci vogliono, altre sono utili solo a chi le costruisce.

4 – I sistemi produttivi vanno riconvertiti alla luce della sostenibilità, sviluppando tecnologie innovative che rimpiazzino le attuali, se inadeguate: un’evoluzione che è quasi una rivoluzione.

5 – Il patrimonio naturale deve essere risanato e conservato. Abbiamo dedicato moltissima attenzione alla sanità e la vita media si è allungata, ma non la vita “sana”. Non ci possono essere umani sani in un ambiente malato.

6 – Il patrimonio culturale italiano è unico al mondo, assieme a quello naturale. La bellezza deve essere un obiettivo strategico.

Per realizzare questi sei punti ci vogliono due cose: competenza e onestà. Due valori che devono diventare componenti essenziali dei sistemi educativi, dalle elementari all’università. Ah, per me sostenibilità significa che ogni iniziativa che miri alla crescita del capitale economico deve basarsi su un’analisi costi benefici che consideri l’eventuale erosione del capitale naturale: non c’è crescita economica se si ottiene distruggendo il capitale naturale. Non dimentichiamo mai che ci dicevano che avremmo dovuto fare la scelta nucleare! Se mi spiegano dove si metteranno le scorie e come si dismetteranno le centrali, allora ci posso pensare. Se questi problemi sono rimandati a dopo allora: no grazie.

Il momento di questo cambio di paradigma è ora. La massa di incompetenti immessa nei sistemi produttivi con le politiche del passato sta per uscire di scena. I giovani devono esigere che il ricambio non avvenga con i principi del passato. Le nuove occasioni di lavoro devono essere basate sulla competenza. Se i nostri laureati emigrano e trovano lavoro all’estero significa che sono competenti. Il capitale umano c’è ma il sistema-paese lo rinnega e lo regala all’estero.

Le cose non si rimetteranno a posto in due o tre anni, si deve innescare una tendenza. Ora pare che la ricetta sia: diminuiamo le tasse e blocchiamo gli immigrati. Come ciliegina sulla torta c’è: meno Europa e meno regole. Dimenticavo: diamo un reddito a chi non ce l’ha. Le cause dei problemi non vengono affrontate e si propone di curare i sintomi. Le vecchie ricette hanno fallito, le nuove mirano al facile consenso, e non è difficile capire che non reggeranno alla prova dei fatti.

 

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