Israel. Come un racconto

di Adele Errico

Ti guardo da quassù, sei fra le braccia di tuo padre e stai bene.  Tu ce l’hai fatta. Sei piccolo, piccolissimo, come un guscio di noce, e dormi stringendo forte gli occhi.

Caro Israel, avrei voluto anche io abbracciarti come sta facendo tuo padre, ma devo farmi bastare poterti guardare da quassù.

Israel. Mi piace questo nome, ricorda una promessa lontana, la stessa promessa che ti ho fatto prima di arrivare quassù, la promessa che tu, almeno tu, ti saresti salvato.

Una traversata infernale quella verso il confine. Volevamo raggiungere la Francia, io portando te in grembo e, ormai da mesi, quel male nell’addome, e quella notte, nella neve, quel male mi impediva di respirare. Eravate così vicini, l’uno accanto all’altro, tu e quel male contro cui lottavo perché non diventasse più forte della gioia di farti nascere.

Avevo freddo, Israel, il freddo provocato dalla neve fino alle ginocchia e l’unica cosa che riuscivo a percepire era il braccio di tuo padre che mi sorreggeva. Quel confine sembrava irraggiungibile e me lo aveva detto tuo padre come si chiamava: Bardonecchia, Bardonnèche. Un po’ mi faceva sorridere quel nome, mi ricordava il verso che fa la rana. Nella mia mente Bardonecchia era diventata la speranza, il simbolo del passaggio dall’Italia alla Francia, lo Stato che volevo raggiungere perché è lì che c’è mia sorella: volevo portarti da lei. Sai, quel male all’addome non mi avrebbe permesso di vederti crescere, di ascoltare le tue prime sillabe e di accompagnarti nei primi passi. Lo avrebbe fatto lei al mio posto, lei insieme a tuo padre. Ma ricordo che improvvisamente ho sentito urlare: “Vous ne pouvez pas passer”, non potete passare. Io non li avevo visti, non so se tuo padre se ne fosse accorto e se tentasse di farci passare inosservati. Dal buio avanzavano cinque sagome.

Non potete passare, continuavano a dire, e fioccava, fioccava la neve mentre lo urlavano in francese. E il mio male mi mozzava il respiro e il mio cuore prendeva a battere forte, impazzito arrivava tutt’un tratto fino in gola, lo sentivo pulsare violento. D’istinto mi stringevo il ventre, dove c’eri tu, già protetto, dentro di me, dal freddo e dalle urla, ma sentivo che avevi bisogno che io ti stringessi un po’.

Non potete passare.

Mia moglie sta male e ha mio figlio in grembo.

Non vi faremo passare. Siete clandestini. Diceva uno.

Il nostro compito è vigilare e impedire che gli immigrati clandestini come voi passino il confine. Diceva l’altro.

Sai, Israel, quelle parole mi arrivavano lievi alle orecchie. Ma perché, perché non ci facevano passare? Il mio mondo era ovattato, era come se mi trovassi in una bolla, il sostegno del braccio di tuo padre saldo attorno alle mie spalle, il tuo corpicino nel mio grembo e la neve gelida fino alle ginocchia erano le uniche due cose concrete per me, tutto il resto era un’ombra e le voci di quegli uomini erano un brusio lontano. Poi, il nulla, tutto è scomparso. Il precario equilibrio che tentavo disperatamente di mantenere si è frantumato, nella mia mente il buio. Ecco cosa ricordo: ricordo solo gli occhi di uno dei cinque, ghiaccio, come la neve che cadeva silenziosa su di me, quegli occhi che mi trafiggevano erano azzurri e brillavano nel buio, si posarono su di me un attimo prima che perdessi coscienza.

Quando mi svegliai ero in un ospedale italiano. Sei nato in Italia, mio piccolo Israel. E ho avuto giusto il tempo di vedere il tuo viso ma ce l’avevo fatta: era quello che volevo, fare dono di te a questo mondo, a questo mondo che non è un mondo facile. È

un mondo in cui con la neve fino alle ginocchia e un male all’addome mi sono sentita dire “Vous ne pouvez pas passer”, non potete passare. Un mondo che non ha avuto pietà di una donna che doveva portare suo figlio in salvo, di un uomo che è un eroe perché protegge la sua famiglia, che vuole dare una casa a suo figlio che deve nascere. Un mondo in cui due occhi di ghiaccio ti impediscono di salvarti perché di ghiaccio è anche il cuore. Ma è anche un mondo che ti ha regalato un rifugio, ti ha aiutato a diventare creatura, un mondo che ti ha dato un nome, mio piccolo Israel.

Io da quassù ti guarderò affrontare quel mondo. Ce l’ho fatta, Israel, proprio per questo, perché tu sei al mondo.

 

Il 24 marzo 2018 muore Beauty, donna incinta respinta dalla gendarmeria francese al confine di Bardonecchia. Muore dopo aver dato alla luce Israel.

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Culture, credenze e popoli, I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *