Lettera della dea Atena ai Sallentini

di Francesco D’Andria



Sandro Botticelli, Pallade che doma il centauro, particolare di Minerva
1482 ca., tempera su tela. © De Agostini Picture Library.

Da quattromila anni amo la vostra terra rossa, nei campi definiti dai muretti di pietre, tra sporgenze di roccia, dove crescono gli alberi di ulivo; terra di mezzo, la Messapia, posta tra due mari. L’ulivo, a me sacro dal tempo della contesa con Poseidon, per il possesso dell’Attica; egli aveva fatto sgorgare dalla roccia dell’Acropoli una sorgente salmastra ad indicare il predominio sui mari. Ma gli Ateniesi avevano scelto me dopo il miracolo dell’ulivo, simbolo di pace e della ricchezza che deriva dal lavoro nei campi. E intorno a quell’albero essi avevano costruito, in marmo, l’Eretteo, uno dei monumenti più belli di tutta l’Arte.

Nella vostra terra tutto il Promontorio Iapigio era a me consacrato e Greci e Messapi, uniti da un patto, avevano costruito l’Athenaion, il mio Santuario, nel luogo dove oggi sorge Castro. Intorno avevano piantato alberi di ulivo, per assicurarne la ricchezza, e quei semi avevano fecondato tutto il Salento, dando ai suoi paesaggi quel colore verde argentato che di tanta gioia riempiva il mio animo. Ma già mille anni prima, nell’età del Bronzo, intorno a Roca avevate imparato a coltivare l’albero, a molire le bacche preziose, ed a conservare l’olio in giganteschi vasi di argilla, dentro magazzini che potevano competere per ricchezza con quelli della Grecia e della stessa Creta.

Era stata una lunga stagione felice in cui il mio sguardo, dall’alto del promontorio, seguiva le navi lungo il Canale che univa due mari, suggeriva ai marinai la giusta rotta ed essi salivano al tempio a portare i loro doni.

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