La solitudine nelle storie di questo secolo

di Antonio Errico

Forse non è vero che il tempo che stiamo attraversando sia povero di grandi maestri. Claudio Magris, per esempio, è un grande maestro. La sua narrativa e la sua saggistica costituiscono un fondamentale punto di riferimento per chiunque intenda comprendere i significati essenziali del Novecento. Con quel secolo Magris si è confrontato intensamente, incessantemente: con le sue condizioni storiche e le sue figure umane, con le rappresentazioni dei sentimenti, dei turbamenti, con le instabilità, le sue  contraddizioni, le sue paure. Alla fine di una recente intervista di Antonio Gnoli  per  “Repubblica”, ha detto che tutto confluisce e si sviluppa nel secolo che si è chiuso. “Non è facile tirarne i numerosi fili. Tra gli altri lo hanno fatto con grande maestria personaggi come Musil, Broch, Roth, Joyce e soprattutto Kafka. Tutte le grandi domande sulla vita vera – sogni, utopie, orrori, rivoluzioni – sono contenute in quello spazio temporale che il romanzo ha raccontato in modo esemplare. Siamo distanti dalle due camere e cucina in cui oggi, a quanto pare, abita la narrativa”. Si potrebbe – molto umilmente – annotare che, stranamente, fra i nomi citati da Magris manchi Pirandello e, ancora più stranamente trattandosi di Magris, che manchi Svevo. Ma faceva esempi essenziali e non discutibili, senza dubbio.

Secondo Magris, dunque, in questo secolo nuovo la narrativa si aggira in spazi limitati, ristretti, confinati. Due camere e cucina. Forse è vero. Si potrebbe aggiungere: abitate da solitudini irrimediabili, definitive. Si potrebbe aggiungere ancora: solitudini con il respiro affannoso, che hanno rinunciato al racconto, alla narrazione, rinchiuse nell’espressione disarticolata, nella parola contratta, a volte nel silenzio assoluto. Solitudini senza aspirazione e senza prospettiva, senza desiderio e senza speranza. Senza sogno. Oppresse da un’angoscia trattenuta e da un’ invisibile spossatezza. Accerchiate da un taedium  vitae minaccioso, annichilente. Sì, forse è vero. La narrativa di questo secolo si muove nello spazio di due camere e cucina che non sono neppure di proprietà, che sono state prese in affitto dal Novecento. 

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