Itali-e-ni 42. Renzianerie

Il punto in assoluto più contestato è la modifica del bicameralismo perfetto, poiché la riforma introduce un “bicameralismo differenziato”. La Camera dei deputati rimane l’unica ad esercitare pienamente la funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo e i deputati i soli “rappresentanti della Nazione”. Il Senato diventa rappresentante delle istituzioni territoriali, esercitando funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica, e tra questi e l’Unione europea, partecipando quindi alla formazione e all’attuazione delle politiche comunitarie, verificandone l’impatto diretto sui territori. Anche a mio avviso, è questa la modifica più stupida e sbagliata. Chi scrive è sempre stato contrario ad una revisione del bicameralismo perfetto poiché esso caratterizza ab origine la nostra impalcatura costituzionale ed è connaturato con la nostra tradizione. E se la doppia camera ha favorito solo la “palude”, come lamenta chi sostiene le ragioni del sì, se ciò ha determinato dei tempi lunghissimi nell’approvazione delle leggi, questo è dovuto solo all’inerzia dei rappresentanti politici e alle loro becere diatribe, che portano ad un estenuante ping pong da una camera all’altra. Ben venga, in questo senso, la riforma elettorale Italicum, al netto di piccoli correttivi che vi saranno, perché permette al partito che vince le elezioni di governare con maggiore tranquillità. Ma modificare il Senato, ridurlo, senza decapitarlo del tutto, a cosa serve? Renzi dimostra di non essere pratico con le cesoie. Pota, tagliuzza, spunta, ma non recide.  Per ridurre i costi sarebbe stato sufficiente tagliare il numero di deputati e senatori, dimezzarlo, mantenendo inalterato l’assetto bicamerale. Invece, dalla riforma viene fuori un senato dimidiato, un “senaticchio”, i cui esponenti non sono nemmeno eletti direttamente. Novantacinque senatori rappresenteranno le istituzioni territoriali e saranno eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano; di questi 95, 74 sono eletti tra i membri dei medesimi consigli e 21 tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori, nella misura di un sindaco per ogni territorio. L’elezione popolare diretta viene sostituita da un’elezione di secondo grado. Ma in questo modo andranno ad occupare gli scranni senatoriali proprio quegli esponenti degli enti locali, ossia la feccia della rappresentanza politica italiana, in particolare i consiglieri regionali, che tanta prova hanno dato in passato di corruzione e ignominia. Allora, con una mano si ridimensiona il potere delle Regioni, alla luce della loro dimostrata incapacità e inettitudine, specie a gestire i fondi europei, e con l’altra le si fa entrare in Parlamento? Addirittura dalla porta principale? Un alto tasso di incoerenza. Ci sarebbero poi 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica e resterebbero come Senatori a Vita gli ex-Presidenti della Repubblica. I senatori inoltre resterebbero in carica per tutta la durata del loro mandato, ma le durate dei mandati fra i vari enti locali sono differenziate, quindi ci sarebbe un continuo avvicendamento di facce da culo fra i banchi senatoriali. Insomma, un vero pasticcio. Più che apprezzabile invece il fatto che finalmente vengano spazzate via le Provincie. Ma la diminuzione dei costi sbandierata dal Governo sarà soltanto un modesto risparmio, come i numeri forniti dagli esperti dimostrano. Ogni riduzione è ben venuta, ma sarebbe stato molto meglio dimezzare tutti gli stipendi, intervenendo su privilegi e prebende di cui i politici usufruiscono fra la vergogna e lo schifo generali.

Ottima è l’abolizione del Cnel  (Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro),  un carrozzone che da sempre tira avanti a spese e a danno dei contribuenti. Molti dubbi invece sull’innalzamento del numero di firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare (dalle attuali 50.000 a 150.000), e sull’utilità di introdurre il referendum propositivo o di indirizzo che permette ai cittadini di chiedere un intervento del Parlamento su una determinata legge. Se il fine ultimo è quello di scoraggiare le tante associazioni in cerca di legittimazione, politici extra parlamentari e arruffapopolo vari, pronti ad assaltare lo strumento referendario, ciò mi troverebbe d’accordo, perché in Italia si è sempre abusato di questo strumento. Se però il risultato nei fatti sarà quello di allontanare la cittadinanza attiva dalla politica, ciò sarebbe dannoso.

Tutti i giornali e i mezzi di informazione hanno trasformato il referendum in un voto politico, pro o contro Renzi. Sono davvero disgustato. La scena che si offre ai nostri occhi è desolante. Già le premesse da cui si è partiti sono sbagliate. Su temi come quelli affrontati dal referendum ci dovrebbe essere la massima coesione fra le varie forze politiche. I partiti dovrebbero mettere da parte diatribe e beghe interne e collaborare insieme nell’esclusivo e superiore interesse del Paese. Invece,  a parte la maggioranza del Partito Democratico, con i gruppuscoli di Area Popolare (Nuovo Centro Destra, Udc e Ala), tutto il resto dell’arco costituzionale, compresa la stessa minoranza del Pd, è per il no, da destra a sinistra. Si è cementato un fronte compatto che va da Sel al Movimento Cinque Stelle, alla Lega Nord. Tutti pregiudizialmente contrari, con motivazioni diverse a suffragio della propria tesi, a seconda della brillantezza e della creatività dei guru dei vari partiti. Il no al referendum si è trasformato in una battaglia politica contro il Governo Renzi.  Quasi tutti i leaders politici avversi a Renzi dichiarano di votare no per mandare a casa il Premier. Quasi nessuno della cosiddetta “prima fila” entra però nel merito dei quesiti referendari, nelle trasmissioni politiche più seguite e nei tg, lasciandolo magari fare ai gregari, i politici di “seconda fila”, nelle trasmissioni di approfondimento, quelle che vanno la mattina o a tarda notte, quindi con meno audience. Ma se non sorprende la contrarietà del Movimento Cinque Stelle, che dell’opposizione fa la propria ragione di vita politica, e non sorprende nemmeno il no della Lega Nord, che supera quasi i grillini quanto a furore antigovernativo e odio per Renzi, lascia allibiti invece il no dei Sel e di Sinistra Italiana, che per ragioni di contiguità politica dovrebbero, se non appoggiare, almeno non avversare il Pd, e allibiti pure restiamo di fronte alla minoranza del Pd.  I tromboni sfiatati, da D’alema a Bersani, osteggiano il leader solo per motivazioni personali, per vendetta, per vili e stupide ripicche. Ma la posizione più ridicola è quella di Forza Italia, che dall’iniziale collaborazione nazarena ha fatto una inversione a u, osteggiando ora il referendum senza se e senza ma. E questo è il meno. A rendere i forzitalioti i campioni dell’incoerenza e il loro leader il più grottesco pagliaccio della storia della repubblica italiana è il fatto che il centro-destra si è battuto per anni per queste stesse riforme. Berluscazz ha fatto delle riforme istituzionali il cavallo di battaglia della propria sciagurata esperienza politica. Ed ora? Niente! Si vota no, per raccattare una manciata di voti che salvino il partito dall’oblio cui è destinato.  E poi, quanto è sconfortante vedere i giudici costituzionali dichiarare qualsiasi fesseria a sostegno del no. Ma dove è la serietà dei professori universitari che scendono nell’agone politico facendo propaganda elettorale?  In conclusione, probabilmente vincerà il no come è giusto, di fronte a tanta stolida e pasticciata riforma, ma quanta confusione, quanta incoerenza.

NOVEMBRE 2016

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RENZOPOLI

Il suo contratto scade / e scadono le sue opinioni.

E’ pronta già la lettera / con scritte le sue dimissioni.

E’ stato un grande amico, /prezioso collaboratore.

Adesso c’è bisogno / di un esperto del settore.

E’ il turnover!

E’ il turnover!

Il turnover!

E’ un gesto di uguaglianza, /di mobile alternanza,

di complice attenzione /a tutto il mondo che avanza.

Il turnover!

( “Turnover” – Enrico Ruggeri )

Un governo a scadenza, come lo yogurt, quello Gentiloni, in dipendenza del tempo necessario al Parlamento a confezionare una nuova legge elettorale e a Renzi a confezionare un nuovo progetto credibile agli occhi degli elettori. Ché Renzi rimonterà in sella, è noto a tutti; anzi non vi è mai sceso, perché se ha mollato le redini del Governo, tuttavia tiene saldamente in mano quelle del principale partito italiano. E poi, si può dire che abbia lasciato il Governo? Quello di Gentiloni, teleguidato dal segretario del Pd, è un copia- incolla del governo Renzi. La sete di potere del Matteo nazionale è inestinguibile, come la brama di apparire, la smania di protagonismo. Infatti, Lotti, Boschi, Martina, Delrio, insomma gli uomini forti del renzismo, continuano a sedere sugli scranni governativi, addirittura si è stretto ancor di più il cerchio intorno al cosiddetto “Giglio magico”, mentre quelli che potevano costituire dei piccoli fastidi (i nani che si credono giganti), come Scelta Civica e Area Popolare, sono stati ancor più marginalizzati. E’ certo che all’interno del Pd si scatenerà ora una resa dei conti che vedrà le minoranze calpestate (Bersani in primis) tornare all’attacco,  e se nessuno, nemmeno Speranza (perduta), finora ha chiesto la testa del segretario, ci sono vieppiù avvisaglie di una battaglia asperrima che si combatterà fra le mura del Nazareno. Cuperlo, Fassino and company cercheranno in tutti i modi di detronizzare il Re Sole, se ne inventeranno di ogni per scalzare il cowboy Matteo, il quale dovrà difendersi tirando fuori tutta la proverbiale cattiveria per vincere la sfida nel suo “mezzogiorno di fuoco”, che si consumerà in occasione del congresso Pd. Ma fino ad allora (è infatti interesse di Renzi procrastinare sine die l’appuntamento fatale), il Giglio magico si sarà riorganizzato e l’invincibile armata degli ex rottamatori avrà tirato il fiato, riarmato l’artiglieria e regolato i conti con tanti nemici. In questo interregno, spetterà al gentleman Gentiloni governicchiare, cioè guidare senza infamia né lode il Paese, in attesa del ritorno di colui al quale il Premier dimidiato non è degno nemmeno di slacciare i sandali, vale a dire il celeste “Matteo secondo ( Vangelo)”. Gentiloni il felpato, politico di lungo corso e uomo onesto, anzi integerrimo, stando a tutte le fonti di stampa, potrà contare su una squadra di governo ben rodata, dal momento che quasi in blocco è stata riconfermata, a partire dal Ministro dell’Economia PierCarlone Padoan (quello che non sa quanto costa un litro di latte o un chilo di rape perché, dice, la spesa la fa la moglie), e dal Ministro del Lavoro “Voucher”Poletti ( quello che dice che certi giovani che vanno all’estero per lavorare in fondo fanno bene a levarsi dalle palle). Passando dalla “donna invisibile” Marianna Madia (c’è, c’è, non si vede ma c’è), dalla pasionaria ex Cgil, la rossa Fedeli, al sempre ritornante Angelino “eterno secondo” Alfano, e fino alla Maria Elena nazionale, la “bonazza” Boschi (quella che aveva promesso di harakirizzarsi insieme a Matteo in caso di sconfitta). Gentiloni, ovvero Paolo il freddo, un “premier pattina” come lo definisce Il Fatto Quotidiano, avrà il suo bel da fare in tutto questo bailamme di crisi politica e disordine sociale, emergenze lavorative e pericolo sicurezza, a far finta di fare cercando di non fare (o a fare facendo finta di non fare?); insomma a far di necessità virtù. Il nuovo esecutivo dovrà recare meno danni possibile fino a quando non spirerà il suo giorno e verrà il momento di riconsegnare baracca e burattini all’uomo della fortuna, messere Matteo da Firenze. Al momento del passaggio delle consegne, Renzi, insieme alla campanella che agitava giulivo come un bambino all’ultimo giorno di scuola ma che sa che a settembre si ritorna sui banchi, ha consegnato a Paolo il felpato anche la felpa di Amatrice (sennò che felpato sarebbe?):  come dire, un avviso di sfratto, un messaggio occulto, ma neanche tanto, per fargli capire che il suo potere è precario come i terremotati. Quindi poche chiacchiere, Paolo il freddo, non ci montiamo la testa, e ricordiamo sempre la lezione dei lirici greci, i quali sostenevano che siamo come le foglie, al minimo soffio di vento cadiamo giù. Insomma, caro Paolo yogurtato, come t’ho creato ti distruggo, capito? Questo il messaggio fra le righe.  Quindi, il Premier moquette ha poco da scialare, nei mesi di vita che il Pd gli concederà. Potrà cantare una mesta canzone, come l’orchestra del Titanic mentre la nave affonda. Paolo il freddo è come i turnover, come i gruppi spalla ai concerti, quelli che scaldano il pubblico in attesa della star. Il primattore è,  e resta lui, Renzi forever, è lui il cantante che il pubblico aspetta e per il quale ha pagato il biglietto. Al cantante il pubblico chiede sempre il bis. E Renzi è pronto a concederlo.

DICEMBRE 2016

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I DOLORI DEL GIOVANE MATTEO

Quali dubbi devono aver agitato la mente di Matteo Renzi dopo la sonora sconfitta al referendum? “Mi ritiro o non mi ritiro? Lascio o raddoppio? Mi si nota di più se resto oppure se me ne vado?” Un piccolo sussulto di dignità prontamente scacciato come mosca fastidiosa lo avrebbe portato a dimettersi anche dal Pd e a lasciare la politica. “Che figura di merda ci faccio? Ho gridato a tutto il mondo che mi sarei ritirato a vita privata in caso di sconfitta!”. Questa risoluzione lo avrebbe certamente reso simpatico anche ai più accaniti avversari. E poi chissà? I corsi e ricorsi storici. Magari, dalla quiete di Pontassieve lo avrebbero richiamato a viva forza nel traffico romano i suoi compagni di partito. E lui, novello Cincinnato, avrebbe lasciato i campi e la vanga e si sarebbe rivestito della giubba di rappresentanza. Dal negletto otium ad un rinnovato negotium.  Sì, ma ad avercela la dignità, che è merce rara, non è roba da un Renzi qualsiasi. Altrimenti pure la Ministra delle riforme fallite Boschi, per essere consequenziale ai proclami fatti, si sarebbe dovuta ritirare dalla politica (“con Matteo, nella buona e nella cattiva sorte”, aveva, l’eroica pulzella, romanticamente annunziato all’Annunziata Lucia dagli schermi di Raitre). Invece, ecco la Maria Elena nazionale cambiare seggiola ed andare ad occupare quella di sottosegretario del neonato Governo Gentiloni, lasciando quella di Ministro delle “schiforme” alla Finocchiaro, quella che faceva portare i carrelli della spesa all’Ikea dagli agenti di scorta, la quale, da nemica della prima ora di Renzi, per le mutevoli sorti della politica, ne è diventata aficionada e adesso è stata premiata con l’entrata nel governo. Del resto, quasi tutta la squadra renziana è stata riconfermata nel nuovo esecutivo Gentiloni, con poche eccezioni, come la Ministra Giannini, bocciata da professori e studenti per la sua sciagurata riforma scolastica. Un capro espiatorio del resto s’ha da trovare, e l’ex ministra di Scelta Civica dovrebbe pure essere fiera di incarnare una figura di così nobile tradizione. Unica concessione al campo nemico è stato l’ingresso nel Governo di Marco Minniti come Ministro dell’Interno. Minniti è un ex fedelissimo di D’Alema, ora in quota bersaniana, ma anche questa di dare un contentino agli avversari è una prassi vecchissima e ormai logora (far melina). Così lo storytelling del renzismo può continuare sia pure in versione dimessa, leggermente corretta dall’incalzare degli eventi. Renzi si fa da parte e mette il suo scudiero Gentiloni Paolo, fa finta di aver accettato la sconfitta al referendum del 4 dicembre ma lavora sottobanco per punire i traditori, ostenta fair play ma cova rancore e vendetta e aspetta il momento opportuno per attuarla. Gentiloni ha rivendicato, nel suo discorso di insediamento, quanto di buono è stato fatto dal governo Renzi e ha affermato che vi è continuità nella discontinuità con chi l’ha preceduto ( “le convergenze parallele” ogni tanto tornano nelle fumose alchimie verbali dei politici di oggi). E ’ come se il governo Gentiloni fosse lo spin off della serie madre, ammannito ai telespettatori in attesa che l’ “House of cards” renziano riprenda con nuove puntate. Dunque, tornando ai tormenti del giovane Matteo, l’ex Premier ha deciso di rilanciare. Ha nominato (sì, lo so, le nomine le fa il Presidente della Repubblica) il suo Ministro degli Esteri nuovo Presidente del Consiglio e riconfermato i suoi boys e le sue girls. Sic stantibus rebus, nessuna tensione al passaggio delle consegne fra vecchio e nuovo Premier; anzi, la campanellina che l’ex Primo Ministro Enrico Letta aveva fatto rintoccare a lutto (ricordate il gelo di Letta defenestrato dalla canaglia Renzi dopo mitico tweet “Enricostaisereno”?), quella stessa campanellina ora Renzi ha fatto dindondare a festa. Infatti, mentre “Allegria” Letta gli era stato sempre indigesto, Gentiloni è un parto della sua diabolica fantasia, una sua ipostasi, ed è chiaro che “Nightmare” Matteo giubilasse nel passargli le consegne, già pregustando il momento in cui sarà di nuovo Paolo gentleman a restituirgliele.

Molte le grane per il governo Gentiloni, a iniziare da Monte dei Paschi. E poi l’inchiesta Consip, che lambisce il Giglio Magico, se porterà a risultati degni di nota, avrà certamente delle ripercussioni sul Governo nel momento in cui uno dei suoi uomini più rappresentativi, il Ministro Lotti, dovesse risultare coinvolto. E poi la minaccia del terrorismo internazionale, con quella spada di Damocle di attentati dell’Isis che pende sulla nostra testa; il problema immigrazione; quello della mancanza di lavoro e dell’enorme crescita di povertà e disoccupazione. Queste, solo le emergenze. E poi ci sono i tanti problemi ormai cronici del Paese ma non per questo da sottovalutare. E poi il fiato del manovratore Renzi sul collo per Gentiloni non deve essere proprio un bel venticello. Il manovrato infatti sa che Renzi, alla sua prima mossa sbagliata, è pronto a staccargli la spina. E poi, e poi, e poi… sono tanti i problemi sul tappeto e numerose le incognite per il governo di Paolo gentleman. Riuscirà il felpato Gentile a mantenersi in equilibrio fra chi lo tira da una parte e chi dall’altra? Conserverà il suo proverbiale aplomb da romano sornione e scafato anche in mezzo alle tensioni contrapposte?

E Mentre il Premier Gentiloni teneva il discorso inaugurale davanti al Parlamento, presentando il suo governo modello Giuditta, il giovane Matteo faceva sapere da Pontassieve che lui è ancora della partita, che non molla ma anzi rilancia. Appena qualche giorno di relax per ritemprarsi dalle fatiche governative al calore degli affetti famigliari e fra le nevi dell’Alto Adige, e poi sarebbe ritornato alla carica, pronto a calare di nuovo su Roma e ristabilire il proprio potere, riverniciare la propria immagine sbiadita dalla disfatta elettorale. Renzi infatti è determinato a guidare il Pd fino alla delicata fase del nuovo congresso, senza rassegnare le dimissioni prima, ma presentandosi da segretario in carica.  E così anche per quanto riguarda il governo, il tempo di varare la nuova legge elettorale, dopo il parere della Consulta, e la breve traversata nel deserto del Matteo primo terminerà, e inizierà la fulgida fase del Matteo secondo (Vangelo). Così il gentile Gentiloni potrà tirare un sospiro di sollievo e prendere congedo da un incarico per lui francamente pesante, ché quella del Premier è una fatica immane, una patata troppo bollente per Paolo il freddo.

DICEMBRE 2016

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