Il sermone di Pino Spagnolo

Si tratta di un romanzo centrifugo, animato da una miriade di personaggi appena tratteggiati dalla penna del loro creatore – l’unica vicenda di più consistente compiutezza è quella di Padre Santino Vantaggiato e del doppio Vescovo –  in una polifonia tragicomica che ricorda La giostra di William Somerset Maugham, che però è un romanzo calato nell’Inghilterra vittoriana del tardo Ottocento, dalle connotazioni tipicamente borghesi, mentre questo di Spagnolo riflette gli umori di ambienti basso proletari e sclerotizzati di una società “gattopardesca”, ferma in una immobilità senza soluzione, divorata da una sorta di inerzia, quasi abulia, nella quale, proprio come nella lezione del famoso romanzo di Tomasi di Lampedusa, tutto cambia perché non cambi nulla.  

In quell’inframondo che è il paesino in cui si tiene il sermone del titolo, in corpore vili, potremmo dire, ecco concatenarsi vicende e situazioni slabbrate, squallide, banali, che si intrecciano, pur mantenendo la propria individualità di nuclei tematici a sé stanti ma tangenti quello del doppio/ falso Vescovo che apre e chiude la fabula.

Una visione certamente non pacificata della realtà, tutt’altro che utopica, informa la trama del romanzo, che ha un forte ancoraggio all’esperienza biografica dell’autore, con una analisi spietata della società odierna, fatta oggetto di descrizione cruda, straniante, in certi punti addirittura disturbante, latamente surreale (come conferma la massima epigrafata in esergo); la realtà, cioè, viene dissezionata anche nei suoi dettagli più prosastici, fino a sconfinare, in rare occasioni, nel grottesco. L’autore si rivela così ottimo osservatore del mondo e degli uomini. E se fa una breve irruzione l’elemento metafisico e fantastico, verso la chiusura del racconto, prima dell’agnizione finale, ciò non toglie che la narrazione si mantenga sempre fedele al dato oggettivo.

Nell’opera, il narratore è extradiegetico, cioè esterno alla storia, si limita a raccontare, disponendo i personaggi e i dialoghi lungo l’asse inclinato della fiction. La sua scrittura è piana e regolare, del tutto godibile.

Come già detto, Spagnolo conosce bene la realtà che racconta, sembra che ne sia partecipe. Il suo potrebbe definirsi un realismo della coscienza, come è stato detto per Grazia Deledda, solo che la materialità del vivere quotidiano non è spiritualizzata, come nella grande scrittrice sarda, non è riscattata da alcuna forza superiore, trascendente, non v’è alcun disegno che possa ordinarla verso un fine di progresso. Rimane la visione sconsolata di un mondo aduggiato, inaridito, in queste pagine di  Spagnolo, che tuttavia ci sanno regalare, attraverso i loro quadretti di genere, momenti di brio e di sana ilarità.

[Prefazione a Pino Spagnolo, Il sermone, Soc. Storia Patria Lecce, Castiglione, Giorgiani Editore, 2020]

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