“Dḍa (m)mera”, ovvero della lontananza

di Antonio Devicienti

Ad Antonio Prete, con un rinnovato “grazie” [A. D.]

Il 15 marzo Antonio Prete conversa, a Fahrenheit di Radio 3, sul suo libro più recente, Carte d’amore(Bollati Boringhieri, Torino 2022); in fase di congedo la conduttrice gli chiede quale sia, nel suo dialetto, la parola da lui più amata e la risposta è l’espressione ḍḍa (m)mera (con il suono cacuminale ḍ tipico dei dialetti salentini e di quelli meridionali a essi affini, con il raddoppiamento della consonante più o meno marcato) – si può tradurre “da quella parte”, “verso quella parte” un’espressione che contiene e fa giungere fino a noi la parola greca μέρος che significa, appunto, “parte”. 

È l’espressione che dice la lontananza, l’orizzonte (per i Salentini l’orizzonte è, spesso, quello marino dello Ionio e dell’Adriatico, la linea oltre la quale ci sono l’Albania e la Grecia oppure le Calabrie), l’oltre rispetto alla vita domestica e consueta; in una terra che dopo la caduta di Bisanzio vede chiudersi per secoli i suoi mari o ne teme le minacce (l’eccidio degli Otrantini è già del 1480, appena 27 anni dopo la presa di Costantinopoli da parte degli Ottomani), l’altra parte, le coste di fronte e anche quelle più lontane (Santa Maria di Leuca diventa il capo de Finibus Terrae – dai confini della terra) paiono irraggiungibili, transitano definitivamente nel sogno e nel mito.

Ma anche guardando i binari che si avviano verso nord la distanza sembra incolmabile, neanche l’emigrazione la riduce (forse, anzi, la accresce) e il turismo di massa che ha fatto negli ultimi anni del Salento una regione alla moda ha caratteristiche predatorie e resta caratterizzato da una sua superficialità che molto intristisce – ma ḍḍa mera c’è la Francia con la sua splendida cultura e ḍḍa mera guardavano Vittorio Pagano e Girolamo Comi, ḍḍa mera c’è la Norvegia, terra d’elezione di Eugenio Barba, ḍḍa mera c’è la Spagna, specchio poetico di Vittorio Bodini…

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