Un’emozione per comprendere l’arte e il mondo

In principio e anche dopo il principio tutto può essere determinato dall’emozione.

Forse l’emozione è la prima forma di comprensione dell’arte, la forma essenziale, quella che consente poi ogni altra forma. L’emozione davanti ad un’opera d’arte è la conseguenza di un coinvolgimento totale. Emozionarsi davanti ad un’opera d’arte probabilmente vuol dire sentirla come parte della propria esistenza, come appartenenza essenziale. L’emozione, lo stupore, la meraviglia, il disorientamento, la confusione, sono un atto di conoscenza, inevitabile, indispensabile, che deriva dall’incontro con l’opera d’arte. Senza questa forma di conoscenza non c’è  ne può essere un’altra. Ma se è questa la prima forma di conoscenza, se si verifica attraverso le sensazioni, allora si deve considerare che la conoscenza dell’arte è unica, irripetibile, imparagonabile.

Perché non c’è emozione che possa essere paragonata ad altra emozione. E’ una conoscenza assoluta, un’energia primordiale, una scoperta della profondità abissale  e dell’altezza vertiginosa che ogni opera d’arte nasconde o manifesta. Tutto il resto viene dopo e può anche non venire. Può bastare soltanto l’emozione. E’ in quella condizione che accade il riconoscimento di se stesso in un particolare dell’opera oppure nel suo complesso. Probabilmente è con emozione che si apprende a cercare, e a trovare, il senso dappertutto: in ogni essere e in ogni luogo, in ogni fenomeno e in ogni circostanza, nel presente e nel passato. E’ nelle dinamiche provocate dall’emozione che si fa sempre più matura la sensibilità nei confronti di ogni forma di conoscenza.

Poi vengono tempi che hanno la necessità di una sensibilità diversa: forse anche di una sensibilità del tutto nuova, compatibile con i fenomeni che accadono, con le circostanze che si verificano. Una sensibilità affiorante, che consente di lasciarsi attrarre dai riflessi delle cose, di comprendere il linguaggio silenzioso, l’energia  di un simbolo, di una figurazione.

Quello che viviamo è un tempo così: di mutazioni epocali, antropologiche, di nuovi codici, nuovi strumenti, nuovi processi di pensiero, nuovi metodi di applicazione del pensiero, di nuove forme di relazione con il mondo. Di conseguenza è un tempo che ha bisogno di un’altra sensibilità.

Sono tempi che hanno anche bisogno di un diverso pensiero,  in grado di  contemperare logiche antiche e nuove,  di provocare il loro incontro, il loro dialogo, la loro convivenza, la loro combinazione, l’interferenza, l’integrazione, l’interazione,  differenti metodi di osservazione, di indagine, di interrogazione della realtà, di rappresentazione dell’immaginario.  

Forse una nuova sensibilità non può che essere l’esito di questa reciprocità di logiche, di una contemperamento  di differenti  visioni del mondo, di convinzioni e di  dubbi che si  propongono e si impongono costantemente, di linguaggi diversi, nuove metafore, coerenze, incoerenze,  contraddizioni, inedite interpretazioni del passato, del presente, del futuro.

Una nuova sensibilità pretende anche un diverso modo di attraversare il tempo che si ha a disposizione, i luoghi che si abitano, un diverso modo di confrontarsi con la natura che ci appartiene, alla quale apparteniamo, un diverso,  nuovo modo  di confrontarsi con le storie di cui ci ritroviamo ad essere a volte protagonisti appassionati e a volte distratti spettatori.

Allora, Leopardi e Vermeer, Bernini e Caravaggio, Beethoven e Garcia Màrquez, e poi Montale, Eliot, e poi tanti altri,  non possono essere più soltanto quello che sono stati fino a questo punto. Devono essere qualcosa di più bello. Soprattutto qualcosa di più emozionante.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 23 ottobre 2022]

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