Una bibliografia d’autore e un’intervista (quasi) immaginaria. Lettere di Eugenio Montale a Vittorio Pagano (Parte seconda)

Il CRITONE lo vedo spesso con piacere (esclusa la parte penale). Poesie nuove, inedite non ne ho; frammenti, ritagli da riunire in esiguo volumetto ci saranno, ma chi li ha? Chi li mette insieme? Io non posseggo nemmeno tutte le edizioni dei miei libri. Per questa parte io sono nelle mani del collega Giorgio Zampa al quale Mondadori ha affidato il compito di raccogliere in due volumi le mie prose estranee alla Farfalla di Dinard. Ma sarà post mortem. Il solerte Zampa possiede una cassa di miei lacerti letterari: io però ne ignoro il contenuto.

Ma, al di là di queste annotazioni che riguardano il rapporto tra i due, quando ho letto questa lettera sono stato colpito da un brano che si riferisce invece a un’altra singolare, e per certi aspetti stupefacente, vicenda relativa invece al rapporto tra Montale e un giornalista-letterato, anche questa rimasta completamente in ombra. Qui infatti, subito prima del brano citato, quasi all’inizio quindi, è scritto così: «Il cazzone di GENTE venne a casa mia con un fotografo. Non osai metterlo alla porta, ma non vi fu intervista né le mie mani furono bruciate da alcun libro quasimodeo». Incuriosito da questa (fino ad allora) enigmatica allusione, mi sono messo allora sulle tracce di colui al quale era stato affibbiato un epiteto così greve, andando quindi alla ricerca del pezzo giornalistico a cui Montale fa riferimento. Ebbene nel numero 3 del 1961 di “Gente”, il settimanale milanese fondato e diretto da Edilio Rusconi, che porta la data del 20 gennaio (ma evidentemente uscito qualche giorno prima, perché la lettera di Montale è datata 19 gennaio), ho trovato una lunga intervista dal titolo (dove è evidente l’allusione a Dora Markus), Rimpiange da trent’anni un topolino d’avorio. Ritratto biografico di Enzo Fabiani, intervista che non è citata né nella sezione Conferenze, interviste e interventi della Bibliografia montaliana di Laura Barile[2] né nella corposa Bibliografia degli scritti su Eugenio Montale (1925-2008)[3], né figura nei due tomi della sterminata raccolta di Interviste a Eugenio Montale (1931-1981), da poco pubblicata[4]. Leggendola, si capisce il motivo della forte irritazione del poeta che è evidente da quell’appellativo ingiurioso nonché dell’accenno a Quasimodo. Ma andiamo con ordine.

L’intervistatore, Enzo Fabiani, era nato nel 1924 a Torre di Fucecchio, in provincia di Firenze, dove frequentò l’ambiente letterario delle Giubbe Rosse, poi nel secondo dopoguerra si trasferì a Milano. Qui, con l’aiuto di Salvatore Quasimodo (ecco una prima spia di questo rapporto), trovò un lavoro come cronista presso “Gente”, dove si occupò anche di critica d’arte. Nel capoluogo lombardo visse fino alla morte avvenuta nel 2013, pubblicando alcune raccolte di versi e numerose presentazioni in cataloghi d’arte.

Ma perché ho parlato di un’intervista (quasi) immaginaria? In primo luogo, perché Montale, nella lettera a Pagano, sostiene che «non vi fu intervista», ma anche perché per ben quattro volte, in effetti, Fabiani riporta lunghi brani di quello scritto. Però, chiariamolo subito, questa intervista non fu soltanto immaginaria. Fabiani infatti si recò a casa di Montale esattamente il 6 gennaio del 1961 e vi rimase dalla 16,00 alle 18,00, come precisa egli stesso, in compagnia di un fotografo,  e infatti nelle pagine del settimanale figurano anche tre foto con didascalie: una del poeta a tutta pagina, un’altra seduto nel soggiorno della sua abitazione e un’altra ancora mentre gioca col suo cane nella terrazza. E possiamo aggiungere anche che questa intervista appartiene a un periodo in cui la fortuna di Montale intervistato non aveva assunto ancora quelle «connotazioni torrenziali» che avrà invece soprattutto «a partire dal 1966, in coincidenza con il suo settantesimo compleanno e poi, con la sua consacrazione a personaggio pubblico»[5]. Infatti, se fosse presente in quella raccolta figurerebbe al quarantaseiesimo  posto su 272 pezzi complessivi, tenendo presente però che quelle che la precedono non sono solo interviste ma anche risposte a inchieste o a domande (a volte anche a una sola domanda) e testimonianze autobiografiche. Insomma, se non proprio tra le primissime, questa potrebbe essere considerata tra le prime interviste, una delle poche fatte fino a quell’anno al poeta.

Ma in questo caso non è tanto il contenuto  che conta, anche se qualcosa di nuovo c’è, come vedremo, quanto l’atteggiamento dell’intervistatore, un atteggiamento che si rivela fin dall’inizio quanto meno strano e un po’ sospetto. Come descrive infatti il poeta all’inizio? Apparentemente in maniera elogiativa, ma in realtà con sottile perfidia anche se con esiti involontariamente comici, in quanto non esalta tanto la qualità, il valore della sua poesia quanto altri (improbabili) aspetti della sua personalità, come il «misterioso fascino che emana». Scrive infatti che [il poeta] non appena esce da casa e volta l’angolo della via Bigli «che è quasi sempre deserta» viene  colpito da «un dardeggiar di teneri sguardi di fanciulle che lo fissano come fosse un divo, una selva d’occhi di signore bellissime che sembrano implorare da lui chissà quali lumi e conforti». Anche perché – sostiene – la sua fama «dipende, diciamolo subito, oltre che dalle indiscutibili qualità di letterato, dal sottile, tenebroso e anche a volte misterioso fascino che emana dalla sua persona, capace di suscitare, anche perché così teneramente disarmata, l’istinto materno in ogni donna»[6].

Dopo questo “memorabile” incipit, Fabiani, una volta entrato in casa del poeta, comincia a chiedergli qualcosa, partendo dall’origine della sua famiglia: «Lei è nato a Genova, ma ho sentito dire che la sua famiglia viene da Monterosso nelle Cinque Terre, è vero?».  E Montale risponde così:

Sì, in parte è vero, dato che mio padre nacque a Monterosso dove avevamo una casa. Ma abitò sempre a Genova, dove aveva l’ufficio. Credo però che la mia famiglia sia di origine parmense e che anticamente il mio cognome fosse Montali. Fu un mio antinonno, generale napoleonico a cambiare la ‘i’ in ‘e’ per francesizzare il cognome ed essere chiamato così Montàl. È una mia ipotesi che credo giusta. Altri letterati col mio cognome non ne conosco, ad eccezione di un certo Bruto Montale, di cui trovai un libriccino di versi in una biblioteca[7].

 Ebbene, questa risposta, che io sappia, insieme a qualche altra data dal poeta, si può ritenere un contributo originale dell’intervista di Fabiani, tanto è  vero che venne ripresa letteralmente da Giulio Nascimbeni nella sua biografia[8]. In quattro  momenti dell’articolo, invece, relativi agli inizi della sua attività e alle raccolte di Montale (Ossi, Occasioni e Finisterre), Fabiani si rifà, come s’è detto, all’Intervista immaginaria, che peraltro la prima volta cita esplicitamente.

Un altro punto originale dell’intervista è la domanda sull’influenza che le prose di Farfalla di Dinard, apparse sui giornali tra il 1946 e il ’50, prima di essere raccolte in volume nel ‘56, avrebbero avuto su Tomasi di Lampedusa il cui Gattopardo, uscito due anni prima, nel 1958, era ancora di grande attualità. Montale, rimettendo nella giusta direzione la domanda, come era solito fare in certe occasioni, risponde così:

Non so se sia possibile affermare una cosa del genere. So di certo che Lampedusa, che si teneva al corrente di tutto, conosceva le mie poesie (alcuni critici anzi rilevarono una specie di relazione tra i miei versi e il romanzo quando questo uscì), ma non so se abbia letto mai le mie prose. Non so quindi cosa dire in proposito[9].

Ancora più improbabile la successiva domanda che gli pone Fabiani, cioè se Montale stesse scrivendo un romanzo, ma molto suggestiva la risposta in cui il poeta offre, anche qui, uno spunto di riflessione che si potrebbe sviluppare: «No. Non ne ho il tempo. Sono giornalista ormai, e i miei impegni di critico musicale mi prendono gran parte della giornata. Nell’ultimo libro comunque, che comprende circa la metà delle prose da me scritte, c’è in nuce il romanzo che non scriverò mai»[10].

Ma veniamo ora al curioso episodio che fece letteralmente infuriare il poeta. A un certo punto, Fabiani scrive che il fotografo invita Montale a prendere un volume dalla sua libreria per scattargli una foto, cosa che egli fece anche se subito dopo rimise a posto il libro borbottando «come se si fosse scottato». «Io allora mentre si faceva fotografare con un altro – commenta Fabiani – mi avvicinai alla libreria e vidi che il volume “scottante” erano le poesie di Salvatore Quasimodo, premio Nobel»[11]. Ora, questa, per Montale, è una pura invenzione del giornalista che soprattutto per questo motivo, penso, gratifica di quell’appellativo poco elegante (diciamo così) già citato. D’altra parte, sono ben note le polemiche spesso vivaci scoppiate al momento dell’attribuzione del Nobel a Quasimodo al quale, come s’è detto, Fabiani era legato al punto che si può considerare una sorta di quinta colonna quasimodiana (anzi “quasimodea”) all’interno del fortilizio montaliano, come si confermerà in seguito.

Poi l’intervista si conclude perché Montale deve recarsi, come ogni giorno, alla redazione del “Corriere” e Fabiani esce da casa con lui e fa una diecina di metri insieme. E a questo punto, anche nell’explicit, aggiunge quel sorprendente tocco di colore che era nell’incipit: «Volli lasciarlo a sostenere da solo gli sguardi ardenti delle fanciulle che lo fissano come se fosse un divo e quelli imploranti delle signore che sembrano aspettare da lui chi sa quali consolazioni e conforti»[12].

[in “R-EM. Rivista internazionale di studi su Eugenio Montale”, n. 2-3/ 2021-2022, pp. 3-29]


[1] In Macrì–Pagano, cit., p. 103.

[2] Cfr. Laura Barile, Bibliografia montaliana, Milano, Mondadori, 1977.

[3] Cfr. Bibliografia degli scritti su Eugenio Montale (1925-2008), a c. di F. Castellano e S. D’Andrea, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013.

[4] Cfr. Interviste a Eugenio Montale (1931-1981), a c. di F. Castellano, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2019.

[5] Francesca Castellano, Introduzione a Interviste a Eugenio Montale (1931-1981), cit., p. XXIV.

[6] Enzo Fabiani,  Rimpiange da trent’anni un topolino d’avorio,  “Gente”, 20 gennaio 1961, p. 51.

[7] Ibid., p. 52.

[8] Cfr. Giulio Nascimbeni, Eugenio Montale, Milano, Longanesi, 1969, p. 23.

[9] Fabiani,  Rimpiange da trent’anni un topolino d’avorio, cit.,  p, 52. Sul rapporto tra Montale e Tomasi di Lampedusa cfr. Alberto Fraccacreta, La donna “Immortale” nel Gattopardo e in Lighea di Tomasi di Lampedusa, “Studium”, settembre-ottobre 2020, pp. 195-212.

[10] Fabiani,  Rimpiange da trent’anni un topolino d’avorio, cit.,  p.52.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

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