Rime e prose di Renzo Giannoccolo

Alessandra Kersevan ha fermato in Prefazione le corde più vere della poetica di Renzo Giannoccolo. Significativamente ha scritto che la Poesia c’è per una ineludibile necessità interiore, quasi toccasana e calmante, a mio avviso, di emozioni e insonnia. Quest’ultima non solo fisica e temporale, legata alla notte ossia, ma probabilmente, anzitutto, insonnia esistenziale, metafora metabolizzata del dolore che scaturisce dalla tensione civica e dalla sensibilità umana del nostro autore. Spesso, sul piano dell’esistenza, prendono consistenza atomi di scetticismo se non di vero pessimismo che cercano e trovano redenzione nell’amicizia, nell’amore per la compagna e per la figlia, e di volta in volta in altri granelli di vissuto amoroso.

Qui, nei capitoli intrisi di poesia, più denso è al paragone l’impeto poetico affidato in gran parte a versi sciolti di differente misura; altre volte ad alcune rime, cercate e volute; e ancora a qualche sinestesia, allitterazione, anafora, polittoto o altre figure retoriche e altro ancora, come assonanze e occasionali rime al mezzo, che incidono e offrono ritmo e musicalità alle stanze.

La poesia di Giannoccolo dice di amori, di nostalgie, di meste sensazioni [affrancate però da carichi di disperazione], di intimi affetti, familiari e amicali: <<Unica la tua età/come un fiore già sbocciato>> (p.16); <<Due note lente/una camera triste/due amici vicini>> [p.18]; <<luci e ombre/siamo noi/fantasmi di fine millennio>> (p.20)

Componimenti brevi, mossi spesso da capoversi che si replicano in giochi anaforici o da rime che non interessano ogni verso, bensì – a mo’ d’esempio – come succede in Come un puledro (p.16), soltanto il quarto e l’ottavo, dove si può supporre che una strofa di quattro versi sia in realtà il risultato della spezzatura in due parti di una coppia di versi; di conseguenza i versi dispari sono privi di rima, mentre il secondo e il quarto, pari, conservano quella del probabile originario distico. E, pure in Arcobaleno [p.17], le due quartine possono essere lette come un distico a rima baciata. Anzi, in quest’occasione il verso si presenta più rarefatto, appena sussurrato, quasi declamato sillaba per sillaba, perché quattro versi su otto sono realizzati con un unico fonema: <<Arcobaleno>>, <<che>>, <<questo>>, <<è>>. Tale scelta compositiva, comunque, non è stata dettata da casualità. Piuttosto appare cercata e ricercata, quasi che nel poeta si sia insinuata per spinta naturale, è possibile !, una volontà di superamento della metrica della tradizione, una volontà di approdo a forme non ancora definite di ritmo, di sonorità. E forse a questo elemento va attribuita la coniugazione di tante allitterazioni e anafore, e finanche di alcune assonanze e accostamenti sillabici come <<amici vicini>>, e di fonemi come <<sogna un viaggio/viaggia nel sogno>>. Potrebbe sembrare che nel poeta ci sia ricerca di modalità neobarocche che puntino alla meraviglia, allo stupimento, invece no. Molto più semplicemente mi sembra che si tratti di uno stratagemma, di un accorgimento che permette al lettore di soffermarsi e gustare la sensazione interiore che la parola evoca. Altri aspetti della forma sono rilevabili a sostegno della comunicazione poetica, in particolare quella allegorica. Alcune allegorie emergono e si rivelano preziose al fine del disvelamento dei significati dei tanti brani. Ne segnalo soltanto due: << i viali dell’anima>>, <<il parco dei sogni>>. Ma carica di suggestioni si affaccia anche qualche sinestesia e sineddoche, come la seguente: << L’aria della sera si colora/ col profumo dei tuoi occhi>> (p.117).

Il caleidoscopio delle emozioni non è neanche privo di richiami alla poesia visiva. Un chiaro tentativo di sperimentazione appare L’allegria del tuo sorriso, un divertissement intriso di sorriso di donna e vino, che va a materializzarsi nella forma del punto esclamativo. E, non di meno, appare sguarnito di momenti di denuncia individuabili con facilità in Oltre la porta il vuoto (p.83): <<Egoismo e ipocrisia sono i barbari dell’era moderna>>. Rintracciamo finanche tentativi ermetici, come nel componimento Sentire l’odore del mare (p.81) con i verbi <<volare>>, <<aprire>>, <<capire>>, oltre a <<sentire>> del primo verso, che vengono utilizzati al modo infinito; dove il volo è forse gioia, la notte è forse dolore, mentre l’alba diventa speranza, attesa di un’esperienza nuova.

Tra i tanti pigli formali e segmenti di sentimento si possono anche ascoltare le varie pulsazioni prepotentemente generate da amore e morte [insonnie, il tempo che trascorre repentino e trascolora], da amicizia e impegno civile. Come in un diario, le sezioni della raccolta narrano di Amore per la donna o le donne amate; di Impegno civile, che è anzitutto preoccupazione per la tenuta democratica del paese; di Amicizia per un singolo amico, per gli amici in generale o persino per l’umanità, per cui in questo caso la tematica tracima in impegno civile; di Morte, che è il trascorrere inesorabile di Chrònos e al contempo di Kairòs, è l’angoscia micidiale che scandisce i rintocchi della notte.

Tutti questi aspetti o elementi della poetica sono introdotti o attorcigliati attorno a fonemi come: occhi, sorrisi, abbracci, carezze, fremiti, voci, lacrime, estasi, sogni espressi molte volte con l’ausilio di metafore e altre forme del linguaggio figurato.

La raccolta, che potremmo altrimenti sottotitolare Il Parco dei Sogni, topos di ben tre composizioni (pp. 65, 85, 121), va immaginata come un campo a forma di quadrilatero ai cui vertici si erigono le dimensioni dell’Amore, dell’Amicizia, della Morte e dell’Impegno civile, le quali raccontano la vita vissuta, intima nei sogni ed evidente nelle azioni.

Ma è proprio la dimensione più intima, più latomica che, rivelandosi passo passo, fotogramma dopo fotogramma, colpisce maggiormente. Perché a me sembra che  sia proprio in questo spazio che l’uomo si invera, appartato, lontano dalle masse, lontano dagli sguardi analizzanti: per il nostro poeta bisogna vivere con il cuore, perché l’amore vince su tutto come in Era l’alba, mi sono svegliato (p.72) e una carezza o un sorriso aiutano a vivere come in Il deserto intorno a noi (p.74); e si confessa nella sua finita interezza, con le sue umane precarietà, le nudità, i palpiti, le aspirazioni declamate e disilluse: <<oggi è andato l’ultimo ricordo>> (p.19); <<Vivere è difficile, è uno strazio quotidiano>> come ci ricorda in Fuori le stelle (p.71);<<la morte è solo un bacio/ un po’ più forte>> (p.23); <<gli amici veri sono strani:/e lo saranno anche domani>>[p,36];  <<La realtà è cinica>> come in Ti guardo (p.70); <<quel ragazzo è morto/per una strana malattia/quel ragazzo ero io/e la vita era mia>> (p.46); <<non ho medaglie da mostrare … e oggi vi chiedo … il diritto di urlare>> (p.62); <<nel velluto dei tuoi occhi … ho cercato la tua musica>> (p.80). In sintesi, la vita fugge veloce, come ci suggerisce in <<Che senso ha>> (p.69) e sogni, desideri si rivelano inconsistenti. Tutto con immediatezza trascorre e si invola come apprendiamo in <<Il sole scivola dietro l’orizzonte>> (p.73).

Siamo dinanzi a una ‘prima’ poetica che raduna tanti e tanti pezzi del puzzle di una esistenza umana consumata in molti decenni. Si tratta di lacerti di vita evocata su uno spartito le cui note sono versi. Abbiamo di fronte brani connotati da lievi note, morbide come piume; note che alla maniera di una reale sinfonia abbisognano di ascolti e riascolti, perché ci riferiamo a parole che, per carpirne il messaggio polimorfo, vanno lette e rilette con gli occhi dell’intelligenza e con la rispondenza propria del cuore.

Questa voce è stata pubblicata in Recensione e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *