Di mestiere faccio il linguista 15. I pronomi e la giusta distanza

di Rosario Coluccia

Alcuni giorni fa, a Roma, in un negozio di abbigliamento, ho assistito a questa scena. Parlano una cliente e una commessa, entrambe giovani: discutono di taglia, colore e modello di un abito, si danno reciprocamente del “tu”, con grande familiarità. Penso: si conoscono, è normale. Poi entra una signora sui cinquant’anni, fa una richiesta del tipo «Mi può dire dove sono le giacche…», la commessa risponde con un sorriso, si rivolge alla cliente sconosciuta con il “tu”. Mi pare di notare una certa perplessità sul volto della signora ma prontamente si adegua, passa anche lei al “tu”, la conversazione tra le due prosegue in assoluta tranquillità.

Cosa insegna l’episodio? È normale l’uso crescente del “tu” tra persone che non si conoscono? Per capirlo, guardiamo alla storia della nostra lingua. In italiano esistono oggi tre forme principali di pronomi allocutivi. Si definiscono così, con questa parola un po’ difficile,  quelli che regolano i rapporti tra le persone:  “tu”, “voi”, “lei”.  Si usano per rivolgersi a qualcuno, per interloquire con lui e per richiamare la sua attenzione.

Lo sappiamo, la lingua cambia nel tempo. Nel Medioevo l’italiano, come altre lingue romanze, disponeva di un sistema bipartito, imperniato sull’asse “tu”/“voi”. Nella Divina Commedia Dante si rivolge di norma col “tu”  ai personaggi con cui scambia battute di dialogo, riservando il “voi” a interlocutori particolarmente autorevoli. Al suo maestro Brunetto Latini chiede con rispetto: «Siete voi qui, ser Brunetto?».

Poco alla volta, al  “tu” e al  “voi” si aggiunge il “lei”. Le prime attestazioni del “lei” risalgono al Quattrocento; tra Cinquecento e Seicento questo nuovo pronome si diffonde nelle cancellerie e nelle corti, si rafforza probabilmente per l’influsso dello spagnolo usted, fino a diventare preponderante.

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