Quando l’io attraversa la storia

A quella stagione segue quella del liberalismo, in cui Polito si riconosce. E’, appunto, quella della caduta del Muro, delle rivoluzioni nei paesi dell’Est e del “mito” di Billy Clinton e Tony Blair, dell’intervento contro la Serbia per la liberazione del Kosovo, dove noi partecipammo fattivamente con bombardamenti, essendo capo del governo Massimo D’Alema. Storicismo anche lì.

Ma il liberalismo, per Polito, ha compiuto degli errori, di presunzione soprattutto, dai quali sono scaturiti cfisi economica, populismo, sovranismo e nazionalismo ed oggi c’è una tendenza nei paesi dell’Est, che pure dalla caduta del Muro furono liberati, verso una democrazia illiberale, che in verità è andata diffondendosi in altri paesi, fino a mettere in dubbio che l’Europa stessa sia una democrazia. La destra che ha caratterizzato gli ultimi anni in Europa per Polito è una destra illiberale, che mette a rischio la libertà.

“Quello che sta accadendo nella politica europea – osserva – è uno spostamento a destra più profondo e duraturo di quanto si possa pensare, che sta cambiando in maniera forse irreversibile gli ideali che erano all’origine del progetto di costruzione di una casa comune europea fondata sulla libera circolazione di uomini, di merci e capitali […] Il risultato delle elezioni del maggio del 2019 non ci autorizza più a credere che la nostra civilissima Europa non corra i rischi di una svolta autoritaria e illiberale”. Una visione pessimistica che trova alimento in quanto accade nel mondo dagli stati Uniti d’America di Donald Trump alla Cina di Xi Jinping.

Il vuoto che si è creato dopo i fallimenti dei grandi ideali e dei grandi ottimismi, di comunismo e liberalismo, non lascia grandi speranze e indulge ad obiettivi più modesti e immediati. 

Dismessi i panni del predicatore delle grandi rivoluzioni, Polito, quasi rivolgendosi ai suoi figli per raccomandazioni più terra-terra, dice di non farsi illusioni, di non pensare ai grandi ideali e di vivere secondo le esigenze più immediate. Con Karl Popper avverte: “Non permettere che i sogni di un mondo perfetto ti distolgano dalle rivendicazioni degli uomini che soffrono qui e ora”. E mette in guardia dalla superbia di pensare che “ogni volta che il mondo non si lascia portare nella direzione da noi voluta, è il popolo ad andare fuori strada”. Di non considerare la competizione l’unico modo di vivere. E con Kant suggerisce “Fai ciò che devi, accada quel che può”. Insomma un riflusso su tutta la linea, confidando anche nel provvidenzialismo storico di derivazione cristiana, secondo cui “una potenza superiore è all’opera nelle vicissitudini dell’umanità”. Qualcosa che fa pensare all’aiutati ché Dio t’aiuta e al come viene e come va.

Un’idea, questa, che se per un verso “può indurre ad atteggiamenti quietisti” per un altro è “di grande conforto per chi non condivide l’ossessione dei moderni di sentirsi superiori alla Fortuna, appresa dal Principe di Machiavelli”.Un discorso che si ferma sul bordo di un guicciardinismo alla buona. Su un punto Polito sembra non retrocedere, quello sulla difesa della libertà.

“Dobbiamo perciò agire sull’essenziale, se vogliamo uscire da questa epoca così critica per l’Occidente senza cedere di nuovo il passo al dispotismo, senza perdere una quota di quella libertà così clamorosamente riconquistata dalle rivoluzioni dell’89”. Su queste basi si può fondare un nuovo Umanesimo, prendendo “il buono (che non è poco: l’amore per la libertà)” e buttando “il superfluo (che l’ha corrotto: la presunzione di verità)”. Basta coi profeti, “i nostri figli dovranno diventare i creatori del proprio destino”. Una confessione di fallimento, che è viatico per le future generazioni.

Bene la resipiscenza – ci permettiamo di osservare – ma senza esagerare. La storia insegna che il poco che si ottiene spesso viene da un molto da cui si parte; e se si parte col poco si rischia di ottenere il nulla.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVII n. 9 – ottobre 2019, p. 12]

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