L’oro del Salento

di Francesco D’Andria

Dopo che il batterio della xylella fastidiosa (un nome apparentemente scherzoso, ma in latino fastidiosus significa nauseante, ripugnante, disgustoso) ha praticamente assassinato tutti gli alberi di ulivo del Salento eliminando l’oro liquido della sua economia, e dopo che il virus cinese sarà scomparso dal nostro orizzonte, bisognerà ripartire con nuove energie, da cercare nel campo della Scienza e della Cultura. Sarà, ma è già arrivato, il momento di rilanciare, seriamente e con investimenti reali, non solo economia e sistema sanitario, ma Università e centri della ricerca, alcuni di rilevante valore, già presenti sul nostro territorio, in modo che diventino attrattivi di giovani ricercatori, da altre parti d’Italia e del mondo, per far fronte al progressivo impoverimento demografico e culturale che attanaglia il Meridione d’Italia. Sarà anche il momento di ri-conoscere, noi, prima dei turisti che verranno, le tante realtà culturali che, sinora, abbiamo trascurato.

Non molti sanno che il Salento possiede un tesoro straordinario, che non trova confronti in altre zone dell’Italia antica, secondo soltanto a quello della Magna Grecia e dell’Etruria: un vero giacimento aureo formato da più di 500 iscrizioni nella lingua dei Messapi, comprese tra il VI ed il II sec. a.C., quando la conquista romana del Salento portò alla sostituzione della lingua locale con il latino. Praticamente tutti i documenti della scrittura messapica sono conservati presso i Musei pugliesi.

I nostri antenati parlavano una lingua di tipo balcanico, diversa sia dal greco che dalle altre lingue italiche (latino, osco, umbro); per la scrittura essi tuttavia adottarono l’alfabeto greco, introducendo soltanto il segno a tridente, con valore di t aspirata. Nella storia degli studi linguistici e glottologici, queste iscrizioni hanno posto il tema delle origini delle lingue illiriche e dell’albanese parlato oggi (studi di Hans Krahe, Francesco Ribezzo, Ciro Santoro, Carlo De Simone, Oronzo Parlangeli, Simona Marchesini, Paolo Poccetti, Mario Lombardo per gli aspetti storico-epigrafici). Una particolarità linguistica che dipende dalle migrazioni di popoli provenienti dall’attuale Albania, tra le due sponde del Canale tra IX ed VIII sec. a.C.; ad Otranto ho trovato negli scavi le prove archeologiche di questo fenomeno: ceramiche albanesi (provenienti dalla valle del Devoll) che poi furono imitate in tutto il Salento.

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