Di mestiere faccio il linguista 5. Gli sciavi, i negri e il politicamente corretto

di Rosario Coluccia

La nostra rubrica riprende, dopo la lunga pausa. Pausa invernale e pausa dovuta al coronavirus, nuovi affanni hanno occupato la nostra mente, allontanandoci da quello a cui eravamo abituati. Finiti (speriamo) i giorni più cupi, rientra nelle nostre vite la normalità del quotidiano, che adesso appare gratificante. Qualcuno afferma, arrischiatamente, che il periodo difficile ci ha reso migliori. Né migliori né peggiori, a mio parere. Ostacoli e complicazioni avranno solo rinforzato in ciascuno di noi le caratteristiche, buone o cattive, che già possedevamo. Molti hanno affrontato difficoltà superiori, lavorando e rischiando la vita durante il periodo del contagio galoppante, consentendo di continuare a vivere a coloro che restavano rinchiusi in casa: infermieri, medici, farmacisti, spazzini, addetti alle vendite, alle consegne e alle pulizie, postini, forze dell’ordine. A loro  va, ben a ragione, la nostra solidarietà. Molti altri, tutti coloro che non beneficiano di un reddito fisso e sicuro, hanno avuto ed hanno serissimi problemi economici. Alcuni (pochi, per fortuna) hanno cercato di speculare sulle disgrazie generali, tentando forme truffaldine di arricchimento. 

Tra mille contraddizioni, lentamente torna la normalità. Noi, di conseguenza, torniamo a  occuparci della lingua italiana, traendo spunto dall’attualità. Ha avuto grande successo l’intervista che Aldo Cazzullo ha fatto a Francesco Guccini in occasione degli ottant’anni di quest’ultimo. Pubblicata il 6 giugno, al mattino del giorno successivo l’intervista aveva totalizzato un numero molto elevato di contatti. Il cantautore modenese racconta delle sue scelte politiche, dei rapporti con altri cantanti di successo, con autoironia parla della sua paura di morire («L’uomo è l’unico animale che sa di dover morire; ma da giovane è convinto di essere immortale. A ottant’anni però comincia ad avere qualche dubbio»). Una parte importante è dedicata ai ricordi d’infanzia, alla povertà estrema, al rapporto con i rigidissimi genitori: «Mio padre non mi ha mai abbracciato in vita sua […] Mia mamma non mi ha mai regalato niente». Alla domanda «Dove ha fatto il militare», Guccini ha risposto «Sono stato sottotenente a Trieste: 90 mila lire al mese, che mandavo per metà a casa, più 5 mila di indennità di frontiera. L’atmosfera era pesante. La notte gli sciavi, gli sloveni, scrivevano il nome di Tito sui muri della caserma».

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