Prefazione a Vincenzo Ampolo tra politica e letteratura. Tomo II. Il Poeta e il Letterato

            Il primo periodo, che culmina nelle due raccolte di Macchiette (1891) e di Sogni e tramonti (1891), si distingue per il vivace e appassionato impegno militante, giornalistico e amministrativo di Ampolo che collabora a vari giornali salentini, dal “Don Ortensio” al “Pungiglione” al “Progresso”, e manifesta una precisa scelta ideologica in senso laico e progressista, operata già a Napoli. In campo poetico, in questi anni, egli si ispira a quelli che sono i suoi “numi tutelari”, Carducci, innanzitutto, ma anche Prati, Giusti, Stecchetti e Cavallotti, dai quali riprende motivi e atteggiamenti formali, sempre puntualmente rilevati dall’autore del saggio. La morte della sorella Lucia, avvenuta nel 1890, e problemi di salute lo portano successivamente a un ripiegamento interiore che si riflette nell’intimismo pessimistico della seconda fase. I carmi che scrive in questi ultimi anni, da Sotto un olmo (1899) a Ricordi e pensieri (1900), da Mistero e ragione (1903) a La torre dei Caldei (1904), si possono considerare un unico componimento, una “variazione sullo stesso tema della morte e della vanità del tutto”.

            Dal profilo di Valli insomma esce fuori una figura di poeta non indegna di essere inserita in una antologia della lirica minore del secondo Ottocento italiano, peraltro così folta di nomi da costituire, come è stata definita, una sorta di “nebulosa”. Allo stesso tempo risulta assai acuta l’osservazione di Mario Marti che nel tirare le conclusioni del Convegno accenna all’abisso esistente tra la poesia di Ampolo e quella del giovane Comi, nonostante i pochi anni di distanza tra queste due esperienze. Ma ciò si spiega anche col radicale mutamento di clima e di gusti  culturali che avviene tra la fine dell’800 e il primo ‘900.

            Gli altri saggi presenti nel volume prendono in esame aspetti particolari e più circoscritti dell’opera di Ampolo. Elena Maglio, nel suo contributo dal titolo Tra idealità e realtà. La concezione della donna in Vincenzo Ampolo (1844-1904), analizza l’immagine femminile nella  produzione del poeta surbino e il valore che essa assume, anche in relazione al ruolo che la donna ricopriva nella società italiana del secolo XIX. L’autrice individua così tre diverse figure femminili  corrispondenti ad altrettanti momenti della vita dello scrittore. La prima, legata alla stagione fortemente dissacratrice di Macchiette, è una immagine di donna sensuale, fonte di peccato e di piacere per l’uomo. La seconda, che fa riferimento soprattutto a Sogni e tramonti, è invece una figura misteriosa e inattingibile, secondo una concezione che risente ancora degli schemi tardoromantici. Ma già in questa raccolta emerge un’altra immagine femminile, la figura della sorella morta,  Lucia, che incarna i valori positivi degli affetti familiari. Nell’immaginario del poeta essa diventa la guida ideale con la quale continua il colloquio anche nell’ultima fase della sua produzione lirica, caratterizzata, come s’è detto, da un pessimismo totale.

            Nel suo intervento a metà strada tra saggistica e narrativa, intitolato Un incontro sulle sponde del Lete, Daniele Capone ricostruisce invece un curioso episodio, che ebbe Ampolo come protagonista, inserendolo nel contesto storico-economico di  Surbo e del Salento degli ultimi decenni dell’800. Ebbene, nel 1888, il sindaco-poeta coniò il nome dell’architetto surbino Francesco Colaci, mai effettivamente esistito, come artefice della famosa guglia del campanile di Soleto. Come precisa l’autore, questa non voleva essere una menzogna, bensì una “favola poetica”, un’invenzione di Ampolo, che serviva per nobilitare il suo paesello, a cui dedicava costantemente tutte le sue energie di amministratore.

            Alessandro Laporta ancora,  nel suo articolo dal titolo La Musa in gramaglie di Vincenzo Ampolo (con una nota sulla storia della stampa a Lecce nell’800), partendo dal rinvenimento di una lirica di Ampolo, In memoria di Giuseppe Spacciante, contenuta in un opuscolo apparso nel 1893, tenta una ricognizione nel “canzoniere sepolcrale” della sua poesia, dove è costantemente presente il tema della morte. E a tale proposito  individua un “vocabolarietto minimo del dolore e della disperazione”, che ha come modelli Foscolo, Pascoli e Stecchetti, ma è debitore anche, a suo avviso, del ricordo antichissimo del lamento funebre delle prefiche. L’autore inoltre offre alcune interessanti notizie anche su Giuseppe Spacciante, che era il titolare della Tipografia Editrice Salentina, e sulla storia della stampa a Lecce nell’800.

            L’intervento di Mario Proto infine, Scienza e letteratura nel Mezzogiorno post-unitario, si discosta dall’attenzione specificamente rivolta all’opera di Ampolo e si sofferma invece  sui rapporti tra scienza e letteratura in Terra d’Otranto dopo l’Unità, prendendo come esempio  una figura prestigiosa di scienziato, il naturalista Orazio Gabriele Costa, di Alessano, che alla pari di Ampolo, ma in un settore diverso,  contribuì a dare lustro con la sua opera al Salento.

 [Prefazione a Vincenzo Ampolo tra politica e letteratura. Tomo II. Il Poeta e il Letterato, a cura di A. L. Giannone, Galatina, Edipan, 2006]  

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