Mario Draghi ovvero un liberista classico al potere

di Guglielmo Forges Davanzati

La nomina di Mario Draghi a Presidente del Consiglio cade in un momento estremamente difficile nella storia repubblicana. Un momento nel quale si combina la crisi politica con una crisi economica che, amplificata dalla pandemia, appare di proporzioni notevoli.

Sono in molti a chiedersi quale sarà l’orientamento di politica economica che assumerà il nascente governo e – basandosi su un’interpretazione discutibile dell’operato di Draghi alla BCE (ovvero la convinzione che le politiche monetarie espansive siano keynesiane) – che sono orientate a ritenere che queste saranno di segno espansivo: l’opposto, cioè, di quanto l’Italia ha sperimentato con gli ultimi Goveni tecnici (Ciampi e Monti). E’ tuttavia lo stesso Draghi a smentire queste previsioni nella sua ultima pubblicazione. Si tratta del recente rapporto sulle politiche post-COVID redatto dal G30 (un think thank fondato dalla Rockefeller Foundation nel 1978 che fornisce consulenze su questioni di economia monetaria e internazionale). In questo Rapporto, firmato con l’ex Governatore della Banca d’India Ryan, si sostiene che i governi dovrebbero esentarsi dal salvare imprese in difficoltà – qui definite ‘imprese zombie’ – giacché naturalmente destinate al fallimento e dovrebbero piuttosto concentrarsi sull’attuazione di misure che assecondino la ‘distruzione creatrice’ del libero mercato. L’intervento pubblico è giustificato solo per l’esistenza di fallimenti del mercato, ovvero solo per l’esistenza di fenomeni per i quali il mercato spontaneamente non genera la migliore allocazione delle risorse. Per il resto si assume che sia lo Stato a fallire, perché più inefficiente del privato e che per questa ragione un impianto liberista delle politiche economiche sia quello da preferire. Il documento del G30 si occupa anche di regolazione del mercato del lavoro e lo fa con le medesime coordinate teoriche. Lo Stato dovrebbe occuparsi di creare maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, soprattutto con riferimento all’esigenza dei lavoratori di spostarsi da un settore a un altro in caso di crisi aziendali. Tali transizioni devono avvenire – si legge – con “adeguati percorsi di riqualificazione e assistenza economica”.

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