Di mestiere faccio il linguista 7. La lingua nell’era del calcio al femminile

di Rosario Coluccia

Nelle scorse settimane i giornali si sono occupati a lungo del campionato mondiale di calcio femminile che si è tenuto in Francia. Per la prima volta l’Italia intera (o quasi) si è interessata alle imprese della nostra nazionale femminile, ci siamo esaltati per le vittorie e amareggiati per le sconfitte, conosciamo nomi e volti di molte protagoniste. La squadra è stata ricevuta dal Presidente Mattarella, che ha dichiarato: «Non avete vinto il mondiale, ma il vostro mondiale l’avete vinto qui, in Italia. Avete conquistato la pubblica opinione e acceso i riflettori sul vostro sport in un modo non più revocabile. Non posso fare a meno di sottolineare che è del tutto irrazionale e inaccettabile la differenza tra calcio maschile e femminile».

Il Presidente si riferiva alla diversa considerazione i cui finora sono state tenute le atlete che giocano al calcio rispetto agli uomini che praticano il medesimo sport. Inferiore l’attenzione dei media e degli spettatori, inferiori le retribuzioni. Barbara Bonansea, l’attaccante che nel mondiale ha realizzato una doppietta nella gara d’esordio contro l’Australia, inserita da «France Football» tra le migliori dieci attaccanti, guadagna circa 45-50 mila euro lordi a stagione, che netti fanno poco più della metà. Un’inezia rispetto ai guadagni dei calciatori di buon livello, senza considerare i guadagni stratosferici degli atleti maschi di grande fama.

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