Oreste Macrì e «L’Albero»

di Antonio Lucio Giannone

            Uno dei contributi più significativi offerti da Oreste Macrì alla cultura letteraria (ma non solo) della sua terra e del resto della nazione è rappresentato dalla rivista «L’Albero», da lui curata, insieme a Donato Valli, dal 1970 al 1985. Si tratta, com’è noto, della seconda serie di questa rivista, perché «L’Albero» era stata fondata da Girolamo Comi nel 1949 a Lucugnano, il paese in provincia di Lecce, dove il poeta risiedeva dopo il rientro definitivo da Roma. Fino al 1954 essa è stata il bollettino dell’Accademia salentina, creata sempre da Comi nel 1948, della quale fecero parte personaggi insigni della cultura letteraria, filosofica e artistica italiana, dallo stesso Macrì a Luciano Anceschi, da Maria Corti a Mario Marti, da Enrico Falqui a Michele Pierri, ai pittori Ferruccio Ferrazzi e Vincenzo Ciardo e ad altri ancora[1]. Ma «L’Albero» continuò ad uscire fino al 1966, anche dopo l’estinzione dell’Accademia, per complessivi tredici fascicoli.

            Fu, questa, una rivista che andò decisamente controcorrente, preferendo occuparsi nei primi anni di vita, ancora in piena stagione neorealista, di problemi esistenziali e latamente religiosi, oltre che specificamente letterari e artistici, piuttosto che di quelli politico-sociali, come era consuetudine di quasi tutti i periodici del tempo. Tra i collaboratori poté contare,  oltre che sui citati membri dell’Accademia, su  figure di primo piano della nostra letteratura come Giuseppe Ungaretti, Mario Luzi, Carlo Betocchi, Giorgio Caproni, Gianna Manzini, Luigi Fallacara e altri. Tra i salentini spiccano i nomi di Vittorio Bodini, presente un’unica volta ma con il suo racconto più noto, Il Sei-Dita, Vittorio Pagano, che collabora spesso con poesie, traduzioni, recensioni e note, Luciano De Rosa e Nicola G. De Donno.

            Anche se è la letteratura ad avere sempre il maggior peso, sulla prima serie dell’«Albero» trovano  spazio anche altri argomenti come  l’estetica, la religione, la musica e le arti figurative, queste ultime grazie soprattutto  all’assidua presenza di un maestro della pittura meridionale del Novecento, Vincenzo Ciardo, che con Comi stabilisce un sodalizio destinato a restare emblematico per la cultura salentina[2]. Sull’«Albero» comiano Macrì è presente assiduamente fin dal primo numero con interventi sul dibattito religioso del tempo, su Vico, sull’avanguardia fiorentina, su Nerval, ma soprattutto ovviamente con studi e traduzioni di alcuni classici, antichi e moderni, della letteratura spagnola (Fray Luis de León, Fernando de Herrera, Antonio Machado, Jorge Guillén), con saggi su poeti e critici italiani del Novecento (Arturo Onofri, Renato Serra) e anche su artisti salentini di livello nazionale (Antonio D’Andrea, Aldo Calò).

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