Gramsci e dintorni 6. Proiezioni di linguistica leopardiana in Togliatti

di Giuseppe Virgilio

La lingua, secondo Gramsci, è strumento di governo spirituale capace di produrre consenso spontaneo.

“(…) Ecco che il Partito si viene così identificando con la coscienza storica delle masse popolari e ne governa il movimento spontaneo, irresistibile: questo governo è incomporeo, funziona attraverso milioni e milioni di legami spirituali, è una irradiazione di prestigio, che solo in momenti culminanti può diventare un governo effettivo (…)”[62].

Franco Lo Piparo ha dimostrato che Gramsci ha assimilato l’espressione irradiazione di prestigio alla scuola glottologica di Bartoli in relazione agli studi di alcuni linguisti europei, Gilliéron, Meillet, Bartoli medesimo, impegnati a spiegare la diffusione di una lingua oltre i suoi originari confini geografici e sociali mediante il ricorso ai centri geografici e ai gruppi sociali capaci di irradiare prestigio culturale[63]. Perché ciò accada, è necessario che si instauri dapprima una certa parità di linguaggio tra gli scrittori e la nazione, cioè una forma e struttura linguistica corrispondente e adeguata alle condizione socio-culturali di una nazione. Noi possiamo trovare i princìpi teorici, che pongono capo a questo fine, in Leopardi, per il quale la lingua italiana può esprimere assai facilmente e chiaramente mille cose nuove con parole vecchie, nuovamente modificate secondo il preciso gusto della lingua. In Zib. 1334 leggiamo:

“(…) Questa facoltà l’hanno e l’ebbero qual più qual meno tutte le lingue colte, essendo necessaria, ma la nostra lingua  in ciò pure, non cede forse e senza forse, né alla greca né alla latina, e vince tutte le moderne (…)”[64].

Un esempio: il verbo neutro inerpicare o innerpicare, che non ha radice nella nostra lingua né in quella latina, non può che essere derivato, mediante il latino, dal verbo greco érpo (Zib. 984). Va da sé che l’incremento delle cognizioni e il successivo variare degli usi, delle opinioni e delle idee aumentano il tesoro della lingua nell’uso quotidiano, e di qui le parole passano poi nella scrittura.

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