Inchiostri 14. Per Vittorio Bodini

di Antonio Devicienti

Sulle soglie, in ascolto, antiche donne sedute

– o macchie che la luna ripercuote nell’aria –

socchiudono pupille d’una astratta durezza

dai palmi delle mani, aperte pietre sui grembi.

Ineludibile Bodini per chi, Salentino, si dedichi alla scrittura; moltissimi i versi dalla Luna dei Borboni ricordati a memoria (se scrivessi in francese direi “par coeur”, ché ho sempre giudicato quest’espressione luminosa nella sua capacità di rendere perfettamente l’amore e lo slancio del cuore che, spesso, sottintendono l’aver voluto imparare a memoria passaggi della scrittura d’altri); Foglie di tabacco sequenza di testi che dicono di una Salentinità dolente e consapevole, amata nelle sue possibilità e anche nei suoi limiti.

Qui ci sono soglie e c’è una postura di ascolto e quasi ancestrali sacerdotesse siedono presso le porte delle proprie case (dentro o poco fuori di esse non importa, importa però quel loro stare sedute simili a numinose presenze millenarie o a dee mediterranee assise in trono) – il legame con la propria filiazione da un’antichità remota e sapiente non va reciso e, infatti, ecco emergere l’ambiguità della visione, ecco l’esplicito richiamo lunare, ecco il femminile proporsi anche nei versi bodiniani come custode dei cicli naturali e come sapienza di quella stessa visione; si vedono le antiche donne o le indistinte forme che la luna accende nell’aria (con fine sinestesia Bodini scrive ripercuote) e si è visti da esse, pupille dure perché antichissime e perché capaci di fissare senza cedimenti il guardato, ma anche perché esse hanno sede nei palmi-pietre indurite dal lavoro e dalla vita com’è proprio di un antico popolo contadino.

E, come le soglie che sono luogo del passaggio (dell’attraversare) e del doppio sostare (dentro e fuori), anche le mani-pietre sono aperte e posano sui grembi, probabile sineddoche anche questa del femminile.

Ripetendo a sé stessi questi versi bodiniani ecco sorgere nel cielo della memoria le numerose Amalasunte di Osvaldo Licini oppure le ieratiche figure femminili di Massimo Campigli – forse si ode la voce di Guido Piovene: il Salento è una terra di miraggi…

Questa voce è stata pubblicata in Arte, Inchiostri di Antonio Devicienti, Letteratura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *