Caporetto

di Salvatore Carachino

[Presentiamo di seguito un capitolo dal romanzo a sfondo storico di Salvatore Carachino, Clara Weber QuiEdit, Verona 2017. Una compagnia teatrale veronese è impegnata nella scelta e nell’adattamento di fonti italiane e tedesche per uno spettacolo sulla Grande Guerra.]

La mente di tutto il grandioso piano stava nello Stato Maggiore della 14ª armata tedesca che accorreva in aiuto dell’esercito austroungarico. La cosa più importante per le armate che si preparavano a sfondare a Caporetto era superare le difficoltà del terreno nella marcia di avvicinamento, aver vittoria sulla montagna ancor prima che sugli italiani. L’esperienza su altri fronti di guerra aveva dimostrato che per disciplinare l’aumento eccezionale del traffico bisognava utilizzare le strade come fossero delle ferrovie ad unico binario. Divise in tronchi, vi vennero costituiti dei punti di sosta e di incrocio con delle stazioni radio dalle quali erano diramati gli ordini di partenza. Le marce avvenivano di notte. I reparti avevano orari di trasferimento e di riposo rigidissimi e trasportavano in spalla armi leggere, munizioni e vettovagliamento. Al traffico intensissimo corrispondeva un immenso incrociarsi di ordini. Per ogni divisione muovevano prima i reparti di assalto, seguiva quindi la massa delle truppe combattenti e per ultimi avanzavano i carriaggi leggeri e pesanti.

   Per mantenere il segreto lo schieramento delle artiglierie avvenne in un tempo finale ristretto poiché esso si effettuava in aree vicine al campo di osservazione nemico. I pesanti pezzi a volte trascinati dagli uomini su strade impervie con notevoli dislivelli dovevano essere posizionati contro l’intero settore della seconda armata italiana secondo le due direttrici di attacco sull’Isonzo, da Plezzo a Tolmino, con il centro dello sfondamento a Caporetto e sui monti che in quel tratto si levano sul fianco destro della valle.

   Nelle settimane di preparazione e di avvicinamento al fronte continuò a imperversare il maltempo che diede poche pause, sicché gli uomini cominciarono a soffrire già nella fase addestrativa. Il persistere di piogge e temporali, giunti con notevole anticipo sulle previsioni, facevano dubitare sull’esito stesso dell’offensiva. Pur tuttavia il cattivo tempo aiutava impedendo ricognizioni aeree avversarie e consentendo, causa i ritardi, lo spostamento della data al 24 ottobre. Benché molti disertori dei paesi soggetti alla monarchia danubiana avessero rivelato con sufficienti particolari i piani dell’offensiva, gli italiani sapevano tutto tranne il giorno dell’attacco, cosicché non bersagliarono con l’artiglieria le vie dei rifornimenti retrostanti il fronte. Le notti peraltro, durante le quali si svolgeva il traffico, si erano ormai allungate.

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