LA TARANTA: la morte o l’estasi e la salute

di Luca Carbone

 Carissimo Gianluca,

ti affido, tra la canicola, questo mio esiguo contributo alla gran mole di discorsi che accompagnano la ‘pizzica-pizzica’ salentina, in forma di lettera, poiché alcuni discorsi hanno come bisogno che si materializzi un interlocutore, sia pure immaginario, nell’atto di scrivere.

Stimo ed ammiro, come ho avuto modo di dirti più volte, il tuo lavoro ‘editoriale’, sin dagli anni in cui ne sei stato presidente ed hai rilanciato l’Università Popolare ed il suo sito. Selezionare, raccogliere, divulgare i lavori di professori universitari, operatori culturali, scrittori, quasi sempre legati a dinamiche territoriali, ma quasi mai viste in ottica localistica, è un lavoro necessario, per certi aspetti persino più necessario che non il puro ‘creare’.

Già Leopardi lamentava che in Italia ci fossero troppi scrittori e troppo pochi lettori! Leggere – e soprattutto assimilare – non è meno importante che scrivere. Ed avere un sito che raccoglie e accoglie ‘certosinamente’ i contributi di così tanti e così validi autori, evitandoci lunghe ricerche e non ammorbandoci di pubblicità, è un ‘servizio culturale’ che tu offri alla città ed al territorio, di grande rilevanza.

Per questi motivi, ed altri su cui non mi soffermo, sono contento di affidarti la ripubblicazione di due testi antichi, nei quali mi sono imbattuto nelle lunghe ricerche che ho dedicato, come tu sai, al libretto dei Problemi di Marcantonio Zimara, ed alla ‘ricognizione’ di quello che mi sono permesso di definire il ‘grande mosaico culturale salentino’. I due testi riguardano la ‘tarantola’.

Uno è contenuto in un libro di ‘problemi’ di poco successivo a quello dello Zimara – NON è dello Zimara, e non ho ancora stabilito quanto ne sia stato comunque influenzato – scritto da Ieronimo Garimberto, intorno alla metà del 1500, come recita il frontespizio. L’altro è una testimonianza quasi diretta del fenomeno del tarantismo, per la penna di uno dei grandi medici e filosofi di Terra d’Otranto, Lucio Scarano da Brindisi, attivo però nella culla editoriale della civiltà ‘scientifica’ dell’epoca, la grande Venezia.

Da una rapida scorsa alle bibliografie non mi pare che siano tra i testi ‘storici’ più citati, e siccome mi appaiono, per motivi diversi, degni di una qualche attenzione, presumo sia interessante, almeno per i soliti 3-4 lettori cui possiamo aspirare (per mantenere le debite proporzioni col Manzoni), riproporli.  E mi auguro tu ne convenga e accolga anche stavolta in Iuncturae, questo modesto contributo.

Il primo testo in volgare lo riproduco in versione quasi diplomatica, con pochissimi interventi, segnalati dal ricorso alle parentesi quadre, e a delle barre per separare le parti del lunghissimo periodo: i ‘nostri’ antichi, come sappiamo, scrivevano ben diversamente da noi, e questa differenza creerà qualche difficoltà di lettura, ma ritengo sia utile mantenerla, per rendere appunto quasi tangibile il lavoro di ‘perfezionamento’, ad esempio, ortografico, o di ‘liberazione’ dal latino (t invece che z, la h all’inizio di parole come uomo) che come collettività nazionale abbiamo portato avanti per ormai mezzo millennio.

Scriverò qualcosa, dopo ognuno dei due brevi testi.

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