LA TARANTA: la morte o l’estasi e la salute

 ***

PERCHE CAUSA GLI HUOMINI MORSICATI DALLA TARANTOLA NON GUARISCONO SE NON CON SUONI MUSICALI, & PERCHE PIU CON UNO CHE CON UN ALTRO [S]UONO.                                                              Prob. 89.

 La TARANTOLA è una piccola sorte di aragne in Puglia, che nella state ha così velenoso morso, che gli huomini morsicati da lei la maggior parte perdono la vita, et tutti restano privi di sentimento; se prima non sono soccorsi con qualche suono musicale, come di cornamusa, piffero, flauto, viola, & d’altri stromenti simili; trovati dall’isperienza per tanto appropriato rimedio di così strano male, che’l morsica[t]o mosso da una qualità di stromento, e da un tuono piu che da un altro, incontinente si mette à ballare; & ballando senza intermissione alcuna, non cessa mai, fin à tanto che non è guarito; & che i suonatori che suonano à vicenda, per non stancarsi, non si fermano;/ imperoche nel mancar del suono, mancano le forze all’ammalato, onde cade subito in terra à guisa d’huomo morto, & di nuovo suonandosi, di nuovo anchor esso ricuperati i spiriti, e le perdute forze, ricomincia à ballare, tanto che risolvendo in sudor il veleno guarisce mediante il continuo, e violente moto, causato dalla musica; la quale è tanto amica della natura, che nissuno è, a chi non le arrecchi qualche dilettatione; percioche l’animo nostro, come perfettamente creato non puo esser senza gran proportione; & la proportione non è altro che armonia;/ dal che si puo far argumento, che sì come il corpo composto d’elementi, si diletta delle cose elementari; così l’anima nostra composta di proportione prende diletto dell’armonia; la quale (sì come dimostra Boetio) è tanto naturale all’huomo, che ogni età diletta; & [è] di tanta forza, che ogni huomo muta; curando etiandio qualche infirmità, e principalmente quella della tarantola; il cui veleno, come caldo, assottiglia i spiriti, & quegli assottigliati, sentendo il suono, si mettono in moto; col quale risolvendosi in gran parte [cfr. gli spiriti], risolve in tutto con essi il veleno;/ il quale ha questa proprietà piu in questo animaletto solo, che negli altri tutti insieme; per non essere troppo potente e subito [cfr. =istantaneo l’effetto, del veleno]; ne molto debile & tardo come è in essi [cfr. altri animali]; cagione pertanto che gli attarantol[at]i habbiano una certa proportione con la musica; imperò che la parte passibile dell’anima si espone variamente à queste cose sensibili; dalle quali non altrimenti è sculpita, che sta la cera dall’anello, rendendo tali le impressioni, quale sarà la qualità dell’anima atta à riceverla; nel che non sono per[ci]ò tutte le cose sensibili, ma quelle solamente, che essendo proprie à lei [cfr. all’anima] le danno la sua perfettione;/ perche corrispondendo le attioni di loro, con le passioni di lei, ne sequita quella dilettatione, che si è detta di sopra; e per consequente quel giovamento, che puo ricevere un’attarantolato dalla musica;/ la quale è quella cosa attiva appropriata alla passione dell’anima d’esso attarantolato, & che è varia per rispetto alla varia compositione de corpi; imperoche tutti gli attarantolati non sono per[ci]ò tirati da tutti i suoni à ballare; ma chi da una qualità di stromento & di tuono, e chi da un’altra; secondo è piu o meno appropriata alla sua passione: pertanto quando egli sente sonare, incontinente s’imprime in esso quel suono, che è più suo proprio; a tal/che incontinente anchora incomincia à ballare tanto gagliardamente, & con tanta misura del tempo, che egli avanza quegli che ne sono maestri, quantunque per l’adietro non habbia havuto mai cognitione alcuna di suono musicale, ne de balli; dal qual [cfr. ballo] non cessa fin’à tanto, che risoluto resta libero e sano; per esser la musica molto atta a risolvere.

Per questo anticamente i gran Principi andavano in letto accompagnati da suoni e canti; da quali erano addormentati; percioche la musica come risolutiva causava vapori, che ascendendo al cervelllo inducevano al sonno. Et Teofrasto scrive d’alcuni morsicati dalla vipera; che sono guariti col suono de flauti, ò d’alcuni altri stromenti accompagnati dal canto: altri scrivono d’alcune altre sorti d’infirmità; & chi di frenesia; & chi di sciatica, e gotta.

Empedocle con la musica mitigò, e spense l’ira d’un giovane, che voleva uccidere l’accusatore: & Aristotile dice, che à gli addolorati, & a gli allegri giova la musica, & à questi per accrescer l’allegrezza; tanta è la proportione dell’armonia sua con l’anima nostra.

Problemi naturali e morali di Hieronimo Garimberto in Vinegia nella bottega d’Erasmo di Vincenzo Valgrisi M.D.L. pp. 154-156.

 Molte cose si potrebbero dire di questo breve problema e della sua ‘soluzione’; a cominciare dall’evidente tentativo di conciliare teorie di matrice pitagorico-platonica ed aristotelica, ma a questo penseranno gli agguerriti storici della filosofia del fortunato e tormentato periodo, a noi basterà, anche per giustificare il titolo di questa breve nota, osservare come la ‘tarantola’ possa dare, col veleno del suo morso, la morte – nel convincimento di Garimberto e dei suoi contemporanei – ed al tempo stesso, attraverso il medium della musica – far accedere ad uno stato d’estasi, per così dire, cosmica – di partecipazione all’armonia superiore della creazione. Questo invalida la ricerca di De Martino, basata, come tutti sappiamo, sull’assunto che non può essere il solo morso del ragno a provocare lo stato di trance? Non entro nel merito del lungo dibattito, sia per non avere le competenze necessarie, e non volendo quindi aggiungere chiacchiere alle chiacchiere, sia perché non so quanto sia utile. Di certo si può anche notare come, ad ogni modo, anche Garimberto sia tratto a cercare la ‘spiegazione’ della guarigione degli attarantolati (non della ‘patologia’) in una dimensione che oggi definiremmo ‘spirituale’. Un’altra osservazione è che il fenomeno sembrerebbe riguardare anche gli ‘huomini’, se non solo gli uomini; e non colpire esclusivamente le donne.

Naturalmente temo che noi non saremo mai in grado di stabilire se Garimberto scriva per ‘sentito dire’ o per esperienza diretta, o almeno per aver raccolto i racconti dei testimoni diretti del fenomeno, tuttavia è interessante che lui scriva che il ‘rimedio’, la musica appropriata, sia stata trovata per ‘esperienza’, che sia eseguita prevalentemente da strumenti a corda o a fiato (non menziona le percussioni), e che debba adattarsi all’anima di ogni ‘malato’ per essere efficace come cura, poiché nessun’anima è armonizzata e armonizzabile come un’altra. Questo mi pare assai rilevante. Ancora mi colpisce che, sia pure in abbozzo, vediamo qui ‘teorizzata’ quella che in musicoterapia viene definita ‘identità sonora’, che sarebbe formata appunto dal nostro, di ognuno e per ognuno diverso, singolarissimo corrispondere alle ‘impressioni’ sonore; sin dalla fase pre-natale; aggiungiamo oggi. Attraverso il rituale musicale non solo si guarisce dal veleno del morso, e qui Garimberto propone comunque una teoria strettamente ‘fisiologica’, ma si accede all’armonia universale.

Certo, potrebbe trattarsi di un puro romanzo filosofico, ma non vedo niente di male nell’indagare la possibilità che – in tempi di situazione pandemica, in cui oltre che i nostri corpi sono state e sono messe a dura prova anche le nostre ‘anime’ – la musica che guariva gli attarantolati possa restituirci, magari per qualche attimo, quell’armonia col mondo che sentiamo certamente tutti piuttosto incrinata.

 ***

Il secondo testo è invece in latino, e ne fornisco una parziale parafrasi nel commento:

 “Est autem tam hominis proprium, tamque sensibus nostris, coniuncta musica, ut Plato censuerit, nihil facilius in teneras puerorum mentes ingredi, quam varios canendi modos.

Nec vero solum homines ipsi, sed etiam bruta, ratione carentia, cantu, musicisque concentibus delectantur.

etenim cervi, Plinio auctore, fistularum sono mulcentur; & elephantos ait Strabo, mirum in modum cantu delectari. quid? avium illa tam varius, tamque multiplex concentus, aut qui vagantibus in agris, & silvis, aut qui in ornithonibus detinentur inclusi, non ne declarant aperte, musicam, & harmoniam ipsi etiam avibus ingenitam, & innatam? quod musicum instrumentum aequare cantu lusciniam potest?

SUNT IN QUIBUSDAM APULIARUM PARTIBUS (NE FABULA ESSE CREDAS, IPSE VIDI, QUOD DICAM; & TU VIDERE POTUISTI SCARANE) verum sunt ibi animalcula quaedam, non multo maiora musca, quorum venenatis morsibus, qui maximum plerunque solent vitam in discrimine adducere, praeter musicam, mederi nulla res alia potest.

Iacent homines illi, quos impurus ille pupugit ictus, sic affecti, ut quasi demortui, se se movere, aut aliquid intelligere, nequeant.

audito vero sono, moventur statim, exurgunt, saltant totis vijs, idque tamdiu faciunt, faciunt autem per plures dies, dum virus exolvitur. Verum interea, saltantibus, & furentibus illis, si musica cesset aliquantulum, concidunt iterum, & languent immoti, illud, quod verum est, nos docentes, animalia non solum in se ipsi natura quasdam informantes habere musicae notiones, sed etiam in aliorum corpora posse vim eandem levissimo contactu transferre”.

 Da Lucii Scarani Philosophi medici Academici Veneti Scenophylax.

Dialogus, in quo Tragaedijs, & Comaedijs antiquus Carminum usus restituitur, recentiorum quorundam iniuria interceptus.

Et de vi, ac natura Carminis agitur.

Venetiis M.DCI.

Apud Ioan. Baptistam Ciottum Senensem 

 La parte del dialogo riportata è la voce dell’interlocutore che apostrofa l’autore (Scarane), e sostiene che la musica è così congiunta all’animo dell’essere umano, che secondo Platone, niente è più facile che insegnare ai bambini i modi del canto. Ma non solo gli uomini sono ‘incantati’ dal canto e dalla musica, lo sono anche gli animali, sebbene privi di ‘ragione’; e ne porta degli esempi, tratti da autori ‘autorevoli’, ed elogiando (leopardiano avanti lettera) il canto degli uccelli – “quale strumento musicale può eguagliare il canto dell’usignolo?” (il quale canto ispirerà poi anche un celebre frammento poetico di Keats) sino ad arrivare a raccontare quella che non è una favola, che lui stesso ha visto, e che anche tu Scarano avresti potuto vedere! E poiché Scarano è l’autore del dialogo, potrebbe darsi che egli stesso abbia visto… come per il morso velenoso di un animaletto, non molto più grande di una mosca, gli uomini possano giungere al limite tra la vita e la morte, immoti ed instupiditi; e nulla possa curarli se non la musica, al suono della quale saltano e ballano anche per giorni; come sappiamo accadeva ancora sino a pochi decenni fa.

Un ‘fenomeno’ durato almeno mezzo millennio, e la cui intensità ‘psichica’ si spingeva sino alle soglie della morte e della follia, certamente merita la nostra attenzione, sebbene ormai ‘postuma’.

Naturalmente non ignoro, non fosse altro per il dubbio privilegio dell’età, le discussioni e le polemiche, più e meno tacite, che hanno accompagnato la, tutto sommato, recente ‘mediatizzazione’ della ‘taranta’, con le sue enormi ricadute economiche e soprattutto d’immagine sull’intero Salento. C’è stato chi ha rifiutato e criticato il fenomeno in blocco, c’è stato chi, al contrario, s’è lanciato in un’adesione acritica ed entusiasta, c’è stata la ‘classica’ migrazione di posizioni, per cui i ‘contestatori’ di ieri, e di ieri l’altro, sono diventati i direttori di oggi, mentre figure di artisti ‘apicali’ all’inizio degli anni Novanta del Novecento si sono ritirate dalle scene, ed altre hanno continuato coerentemente sulle loro traiettorie. Purtroppo nel Salento, che in questo offre un’immagine dell’Italia forse persino caricaturale, le posizioni si estremizzano sino quasi alla ‘tifoseria’: così i ‘pizzicati’ non s’interessano di nient’altro, e chi li avversa ignora un fenomeno di portata enorme per il territorio. L’estremizzazione è insieme l’effetto e la causa della mancanza di un tessuto civile e culturale diffuso e relativamente omogeneo – obiettivo che rimane un sogno nella terra dei cento e passa campanili; ma questo non ci esime, come troppo spesso avviene, dall’assumere una propria posizione ‘pubblica’. Per quanto mi riguarda non posso che respingere e deprecare fermamente l’appiattimento del Salento sulla Taranta, nonché su ‘lu sule lu mare lu ientu’; questo tuttavia non mi impedisce di riconoscere che il Salento, o, penso meglio, la Terra d’Otranto sia abbastanza ‘grande’, anzi, mi spingo ad affermare, spiritualmente talmente vasta, nel passato certo ma anche nel presente, da poter comprendere anche il can-can mediatico della taranta; e solo mi dispiace che della ‘idruntinità’ spirituale i primi ad essere pressoché totalmente inconsapevoli siamo proprio noi, suoi abitatori immemori.

 Terra d’Otranto – nei giorni dei santi con gli stivali.

 

          

Questa voce è stata pubblicata in Antropologia, Culture, credenze e popoli, Letteratura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *