Rudiae. Storia degli “Epitaffi”

di Francesco D’Andria

In un recente viaggio ad Oxford mi aveva colpito, suscitando anche un legittimo moto di orgoglio salentino, la celebre frase di Quinto Ennio, posta nell’Ashmolean Museum, all’ingresso della sezione dedicata alla civiltà romana: “Nos sumus Romani, qui fuimus ante Rudini” “Noi siamo cittadini di Roma, che prima fummo cittadini di Rudiae”. Questa frase, citata anche da Cicerone, era considerata, dai curatori dell’allestimento, emblematica per indicare la forza di Roma nell’ includere le più diverse culture in un coerente progetto di civilizzazione.

Abbiamo la fortuna che tutta l’area dell’antica città di Ennio si conservi alle porte di Lecce: una enorme risorsa culturale e turistica per una città che, tuttavia, ancora fatica a far propria questa realtà. Eppure il tema della salvaguardia di Rudiae era stato sollevato con forza già dal duca Sigismondo Castromediano, in una lettera pubblicata nel giornale “Il Cittadino Leccese”, il 12 ottobre 1868, dal titolo esplicito “Rovina delle rovine di Rugge”: una denuncia, vibrante di sdegno, dello stato di degrado in cui versava tutta l’area archeologica, abbandonata agli scavi clandestini dei cercatori di tesori. Proprio prendendo atto di quel richiamo e sulla base della relazione presentata dallo stesso Castromediano, il Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto, il 10 dicembre dello stesso anno, con ammirevole senso civico, aveva istituito a Lecce la prima realtà museale in tutta la regione Puglia. Infatti il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, che raccoglieva i tesori della Magna Grecia, fu fondato quasi vent’anni dopo, nel 1887.

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