La Dolce Vita: contro la celebrazione


di Luca Carbone

“Il prossimo 20 maggio ricorre il sessantesimo anniversario dell’assegnazione della Palma d’Oro del Festival di Cannes a La Dolce Vita di Federico Fellini. La giuria, presieduta da George Simenon, fece una buona scelta. Ancora oggi, il film è considerato un affresco inimitabile della Roma anni ’50 e, più in generale, di alcune caratteristiche eccentriche della natura umana. Se infatti l’ambiente è limitato alla Capitale, e soprattutto alla sua fauna decadente e viziosa, alcuni spunti rivelano i segreti di ciascuno di noi: nel che consiste l’universalità di un’opera, tale da renderla, almeno in alcune sue parti, duratura”.

Così Carlo Nordio, dalle pagine culturali de il Messaggero del 16 maggio 2020, inizia una lunga recensione-celebrazione del capolavoro felliniano; il quale già nel febbraio del 1960 fu “oggetto” di una lunga recensione critica per mano di Pier Paolo Pasolini, dal titolo piuttosto, intenzionalmente, controcorrente: “La Dolce Vita: per me si tratta di un film cattolico”. Ma di ciò più avanti.

Nordio, che ne sia consapevole (e come ‘intellettuale’ potrebbe) oppure (come quasi tutti noi) inconsapevole, “utilizza” categorie molto consolidate: la particolarità naturalistico-descrittiva di un dato ambiente socio-culturale – la Roma internazionale e cinematografara degli anni ’50 – e l’universalità della “natura umana”; dalla più o meno stretta e felice interazione tra il particolare e l’universale dipenderebbe la riuscita “atemporale” dell’opera d’arte. Tali categorie “analitiche”, per quanto consolidate ed in certa misura addirittura “naturalizzate” non sono affatto immediatamente date, per noi “esseri viventi-sociali”: sono piuttosto il frutto di lunghissime sedimentazioni culturali, divenute dopo il lavoro di elaborazione e diffusione capillare, durato generazioni – senso comune.

Alla fine il problema col senso comune è che ci dice, infallibilmente magari, come una certa società o un certo gruppo umano, ‘vede’ la realtà, ma molto meno su quello che è, potrebbe essere, quella stessa realtà ‘in sé’, in questo caso la realtà dell’opera filmica.

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