Il Salento e il senso di identità

Chi abita e vive nel Salento non può fare altro che “cantarlo”, anche quando gli piange il cuore e si vivono tempi grami come questo. Il Salento è un maestro d’arpe e di violini, una terra-mare  di miraggi e di deliri. E’ un’esperienza unica, che ho fatto anch’io, un itinerario che non si dimenticherà mai per tutta la vita e lo ripercorro ogni tanto nei sogni ad occhi aperti, anche grazie ad amici come  te, Maurizio Nocera, Gianluca Virgilio, che mi spronano a essere comunque presente nelle loro iniziative editoriali.

Ti ricordi  quando, tanti anni fa, parlammo del Nobel per la pace che sembrava dovessero assegnare alla popolazione salentina? “Certo, grazie a Dio, non manca ancora oggi la gente vera, autentica, laboriosa, onesta, coraggiosa”, dicesti tu. “Ma che cosa vuoi che  cambi per il Salento che abbia o non abbia il Nobel?,  i problemi non mutano di una virgola. Si continuerà ad avere buona gente che offre un pasto caldo, un tetto, rifugio, aiuto ai disperati e gente tutt’altro che buona che continuerà a sfruttare biecamente questi disperati per i loro sporchi affari. Anche qui da noi, non ci facciamo illusioni, ci sono iene, opportunisti, mascalzoni.  E ci saranno sempre, gli uni e gli altri, quelli che meritano il Nobel e quelli che meritano la galera…”

E pure, – io replicavo, – il Salento, la Puglia, la Basilicata, il Mezzogiorno in genere, hanno un senso di ospitalità innato, è un patrimonio umano e culturale inalienabile, che dovrebbe essere premiato in qualche modo. Vedi i sassi di Matera, i trulli di Alberobello, Castel del Monte, il dolmen di Bisceglie, le due Riviere , la fontana Greca e il centro storico di Gallipoli, la cattedrale di Otranto, i sipari, le quinte, le chiese di Lecce, la più bella città del Sud, parola di Guido Piovene. E’ un patrimonio che appartiene  a tutti,  all’Umanità. E ciò è stato già decretato dall’Unesco che difende queste straordinarie creazioni dell’uomo! E pure questi tesori non sono apprezzati proprio da chi li detiene. “I sassi hanno costituito una vergogna ,- scrisse allora Lino Patruno  sulla Gazzetta del Mezzogiorno –  più che lo stupefacente risultato della capacità di adattamento dell’uomo alla natura; i trulli sono stati considerati un segno di povertà contadina più che il frutto di un genio costruttivo che gli architetti imitano tuttora; Castel del Monte è stato considerato uno spreco di pietra più che un affascinante simbolo del sapere e di misteri universali”. E anche il centro storico di Gallipoli fu  considerato  da alcuni , nel più recente passato,  un labirintico intrico  di case di tufo, cervellotico e maleodorante, più che una delle architetture seicentesche  più originali d’Europa e del mondo. Prima di considerare tutto una ricchezza turistica e quindi anche economica ci sono voluti i tedeschi, sempre   sulle  orme di Federico di Svevia, o gli operatori turistici inglesi, che hanno l’occhio adusato a certe cose,  a vendere vacanze nella valle d’Itria e portandovi  i divi hollywodiani, che hanno esaltato la cucina mediterranea, la cucina da noi considerata così povera da vergognarcene. 

E tu, da giornalista e intellettuale,  aggiungevi:  “Ahimè, sì. E’ vero. Anche i romanzi più belli sul Salento li hanno scritti Maria Corti e Roberto Cotroneo, due nordici. Perché devono essere gli altri a farci scoprire in quale terra viviamo?

Noi dobbiamo recuperare quel senso di identità, quel senso di appartenenza che ci facciano dire con orgoglio: io vengo dalla Puglia, vengo dal Salento, la terra fra due mari, nella quale ci sono alcuni dei luoghi più belli della terra, veri e propri paesaggi edenici, e un patrimonio archeologico, storico e architettonico che riassume tutta la storia dell’uomo, fin dai dolmen e dai menhir, dalle Grotte del neolitico: c’è la grotta della poesia, in cui l’uomo scrisse i primi versi d’amore, i primi sospiri e i primi gridi, la grotta dei cervi, dove i nostri lontanissimi progenitori, diecimila anni fa, eseguirono i primi graffiti, forse furono i primi momenti di pausa della loro esistenza dove crearono quella cosa “inutile” che è l’arte, ma su cui è basata tutta la nostra cultura. E poi la grotta della Zinzulusa, a Castro Marina, Santa Cesarea, Tricase, il Ciolo di Gagliano, fino al santuario di Leuca,  Leuca la bianca, finibus terrae, “dove il mare Jonio e l’Adriatico si abbracciano .Qui , infatti, i due mari s’incontrano regalando al visitatore uno spettacolo che si può ammirare soltanto in pochi altri posti della terra, alle Bahamas, a Skagen (Danimarca), in Nuova Zelanda, a Rodi e nel golfo dell’Alaska. Se le condizioni meteorologiche sono favorevoli, un buon fotografo riesce a distinguere chiaramente una netta separazione tra le acque dei due mari”.

Leuca è  il luogo dell’oltre,  dove è scritto il tuo destino. Qui, i salentini, dopo morti, fanno ritorno col cappello in testa., scrisse Bodini.  E risalendo la costa verso Gallipoli, sotto il suolo di Vereto, o nelle miniere invisibili di a Ugento, fino alla torre di San Gregorio, vedrai rinascere la grandezza dei Messapi che combatterono i romani, alleati degli spartani di Taranto.   Quasi duemila anni di storia , dagli insediamenti dei coloni greci-messapici , alle crociate, tutto il medio evo e le sue guerre hanno come teatro il Salento, ma anche l’arte, romanica e barocca, l’arte delle misteriose geometrie delle cattedrali. Hai ragione, Nicola: l’identità  e il senso di appartenenza sono importanti, danno il benessere psicologico, e da questo si può costruire il benessere economico e il posto di lavoro, da soli.

Ma torniamo al tuo libro, alla cattedrale di Otranto, la città più orientale d’Italia, cantata da Maria Corti (“ All’alba ti sveglieranno i corvi neri con il gelato in mano e ti diranno che è giunta la tua ora, l’ora di tutti, in cui ciascun uomo è chiamato  a dar prova di sé”) . Otranto che sorge come una conchiglia ferita, con il suo splendido pavimento-mosaico di Frate Pantaleone, una Bibbia illustrata per i poveri, e poi la figurina dell’Asino arpista che ci ricorda il nostro indimenticabile amico Florio Santini, salentino d’elezione dal cuore che non brucia, gli ottocento martiri, e le loro ossa a cielo aperto, e quegli inconoscibili echi di silenzio che da quel momento ti verranno inevitabilmente incontro tutte le sere che ha fatto Dio.

E poi parli di Lecce, cuore del  Salento, una città vista di giorno e di notte, con la luna dietro il campanile del Duomo, alto 72 metri, il castello e l’arco di trionfo di Carlo V. Qui avverti la sindrome di Stendhal , come la descrive lui stesso: «Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.»

Scrisse un altro poeta, Marino Moretti: “Quando scende la notte Lecce riluce/  come una rosa d’argento/ Noi credevamo di arrivare in una città / e siamo entrati in un fiore, in una rosa. / Così appare Lecce nel cerchio antico / della mura corrose e violente, / che chiudono morbidi intrighi di strade/  tra case chiare e larghi cerchi intorno al suo cuore di marmo. / A rivederci, città bionda e gentile, / porta d’oriente, rosa d’Italia, / città linda come un salotto, dai palazzi ricamati,/  le chiese come giardini e gli alberi come castelli”.

Nel  tuo ”Salento da Vivere”  ritroviamo anche la parte storica, la terra incantevole  e selvaggia, gli usi, costumi e tradizioni, con quasi una citazione tratta dal grande Hemingway: “ Dobbiamo vivere veramente, non puramente trascorrere i giorni”.  E noi salentini  dobbiamo “vivere il Salento, intensamente, con gioia, vivere andando alla scoperta dei suoi mille tesori culturali e naturali che questa terra offre”. Solo se si conosce la propria terra, la propria  storia, la propria identità si hanno gli strumenti per poter amare compiutamente le proprie origini.

  Roma, 3 gennaio 2021                           

*Nicola Apollonio, direttore di Espresso Sud, autore di “Salento da Vivere”, 2019.

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2 risposte a Il Salento e il senso di identità

  1. Annie Gamet scrive:

    Merci Monsieur Benemeglio pour votre enthousiasme en faveur du Mezzogiorno et plus spécialement du Salento.
    Alors que je suis quasi confinée dans le nord de la France, la lecture de votre belle évocation a le pouvoir de redonner vie tout naturellement aux émotions d’autrefois ressenties au contact, malheureusement trop rare, avec votre terre si particulière.
    Enthousiasme communicatif, puisque je suis près d’admettre avec vous que la violence de l’émotion esthétique décrite par Stendhal aurait pu tout aussi légitimement trouver sa source dans la Santa Croce de la “Florence du Sud” que dans celle de la capitale de la Toscane…
    Écrivez encore, Monsieur Benemeglio, je vous lis toujours avec plaisir. Annie Gamet

  2. Augusto Benemeglio scrive:

    Che dirle, carissima Annie (le rispondo in italiano, non ho il coraggio di scrivere in francese, sono molto carente), la sua è una bella anima che sento in sintonia con la mia (del resto molte anime si sono incontrate e si incontrano grazie alla scrittura): la ringrazio molto del suo intervento, così ricco di sensibilità e entusiasmo, e spero che avremo modo di sentirci ancora. Nel frattempo m vado a rivedere il dizionario francese per non farmi trovare troppo impreparato. Un caro saluto. Augusto Benemeglio

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