Castro protostorica

di Francesco D’Andria

“…Eppure quel mistero agisce, ha il fascino di un’inquietudine senza scampo, popola di fantasmi le contrade accidentate delle ultime serre salentine o le sconfinate pianure donde riaffiorano le bodiniane dentature bianche di cavalli….dove l’aratro continua ad inceppare in massi troppo pesanti per essere rimossi o in lastre tuttora dai segni incomprensibili…” Così, con queste parole, Donato Valli, allora Rettore dell’Università di Lecce, apriva il trentesimo Convegno tarentino del 1990, dedicato ai Messapi, gli unici tra i popoli indigeni dell’Italia meridionale, a cui era stato riservato il privilegio di uno degli incontri annuali promossi dell’Istituto di studi sulla Magna Grecia. Ma quello era il periodo della scoperta della Grotta della Poesia a Roca, con il suo straordinario apparato epigrafico, in gran parte in lingua messapica.

Sin da quando iniziarono le ricerche archeologiche a Castro, a seguito della segnalazione di Luigi Capraro, nel maggio del 2000, sulla presenza di blocchi squadrati di calcarenite, nella zona Capanne, ho pensato a quel testo di Valli, di dieci anni prima, che evocava il fascino e la novità della ricerca in queste “ultime serre salentine” a cui egli, nato a Tricase, era legato da un filo tenace. E “bodiniane dentature bianche”, di tori e di giovenche, non di cavalli, continuano ad affiorare negli scavi nel Santuario di Atena sull’acropoli di Castro: ossa deposte entro l’altare del tempio, nei sacrifici praticati in questo spazio durante il IV secolo prima di Cristo.

E la forma letteraria si rivela capace di esprimere l’emozione che, in questi ultimi quasi vent’anni, ha costantemente motivato il lavoro di ricerca nella parte dell’abitato di Castro rivolta verso Oriente; specie quando le brezze del mattino scacciano la foschia e si rivela lo straordinario spettacolo che la geografia mette in scena al di là del Canale di Otranto, con i monti albanesi dell’Acrocerauno e, a sud, le isole greche di Fanos e di Othoni, di fronte a Butrinto, da dove era partita la flotta troiana di Enea, per raggiungere all’alba, le basse coste salentine dell’Italia. Gli scavi si sono concentrati nei due siti di fondo Capanne, dove abbiamo portato alla luce l’Athenaion del Capo Iapigio, e nel fondo Palombara dove, grazie all’impegno di Luigi Coluccia, l’Amministrazione Comunale ha acquisito, con finanziamenti regionali POIn, l’area in cui gli scavi hanno reso visibili strutture difensive e parte dell’insediamento dell’età del Bronzo. Di queste attività Luigi Coluccia e Marco Merico presentano in questo volume i principali risultati scientifici che permettono, per la prima volta, di identificare a Castro un abitato del secondo millennio a.C., di notevole complessità.

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