Piazza Italia 9. Cronache politiche italiane (2018-2019)

Ora i pentastellati dovranno mediare, chissà cosa faranno una volta dentro le stanze del potere, quanto si democristianizzeranno e quanto resteranno incorrotti, duri e puri, ovvero puzzoni come sempre.

Marzo 2018

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SATURA 9

Il paradosso. Nessuna delle due forze risultate più votate alle recenti elezioni ha interesse a formare un governo e la forza che è risultata sconfitta è centrale per la formazione del governo stesso. Amenità della legge elettorale. Infatti, sia l’M5s che il centro-destra dovranno chiedere l’appoggio del PD, appoggio che il partito ha negato per bocca del suo segretario dimissionario. Ma quelle dell’M5s e della Lega sono tattiche; infatti, come detto, queste forze politiche, in mancanza di una maggioranza assoluta, non hanno interesse ad andare al governo. Prima di tutto perché dovrebbero farlo chiedendo i voti del PD o peggio, alleandosi fra loro. In secondo luogo perché, molto probabilmente, questa sarà una legislatura brevissima e lo spettro di nuove elezioni non fa dormire sonni tranquilli a nessuno. Ma soprattutto perché un governicchio, M5s o Lega che sia, sarebbe un fallimento totale, non potrebbe portare allo sperato cambiamento da queste forze promesso in campagna elettorale, nessuna delle riforme sbandierate sarebbe realizzata, alcun risultato raggiunto, da un esecutivo raffazzonato e posticcio. La conseguenza sarebbe che la forza di governo alle prossime elezioni verrebbe bocciata dagli elettori e così si spegnerebbero per sempre i bi-sogni di gloria di Matteo il lumbard e Giggino “o presidente”.  Come i Cinque Stelle potrebbero giustificare alla massa di scrocconi e derelitti che li hanno votati il mancato conseguimento dei risultati? Forse potrebbero capire quegli elettori più maturi che magari hanno votato Cinque Stelle solo per disperazione, per evitare l’astensionismo. Ma il novero di potenziali beneficiati, di nuovi cortigiani, la massa informe del pueblo meridionale di giovani scansafatiche e tamarri scioperati in cerca di assistenza, non gli si rivolterebbero contro, una volta viste deluse le tapine aspettative? E mutatis mutandis, come potrebbe la Lega di Salvini spiegare ai tanti razzisti ed incazzati bauscia del nord i mancati risultati?  Non imbraccerebbero essi i forconi contro il board leghista? Dunque cui prodest, si chiedono i giornalisti, di fronte alla ricerca delle due forze in campo di accordi e intese per formare un governo. La loro è una ricerca vana, anzi una finta, imposta solo dal dovere istituzionale di dare stabilità al Paese. Ma i meschini calcoli politici li porteranno ad evitare una simile congiuntura ed essi costringeranno il Presidente Mattarella a sciogliere le camere e farci tornare a votare. Di Maio in peio, si Salvi(ni) chi può!

Gerontocrazia. Ma Albano non doveva ritirarsi nel 2018? Invece è più attivo che mai (cuore permettendo). Eccolo ancora che sgambetta da una trasmissione all’altra, in tv è onnipresente, e programma concerti in tutto il mondo come nemmeno le più grandi rockstar americane. Yes, Salento is magic! Potere dei peperoncini, dell’olio, del vino e dell’aria buona di Puglia. Però Albano esagera, l’anagrafe in qualche conto bisognerà pure tenerla. Niente di strano, certo, perché in questo patto con il diavolo il cellinese è in buona compagnia. La storia della musica è piena di finti annunci di finti ritiri, da Renato Zero a Vasco Rossi. Felicità!

Morte per autocombustione. Con la sonora sconfitta del Pd, la sinistra ha neutralizzato sé stessa, perdendo l’ultima possibilità che aveva di agganciare il treno della credibilità e della coerenza.  Con la sberla presa alle elezioni del 4 marzo infatti, il Pd ha polverizzato non solo il Giglio tragico renziano, ma tutto ciò che era alla sua sinistra, in primis Liberi e uguali. L’operazione Leu, velleitaria già nelle premesse, risultante di una tradizione ingloriosa che va da Sinistra Ecologia e Libertà a Sinistra italiana, da Sinistra Arcobaleno a Comunisti Italiani, da Rivoluzione Civile a Lista Tsipras, si è dimostrata ancora più becera di quante l’hanno preceduta, perché frutto di invidie e vendette personali, di odi e ripicche, tutti interni al Pd, ma di cui agli elettori non poteva importare un piffero. Nonostante i pifferi abbiano cercato di suonarli, lo “smacchiatore di giaguari” Bersani e Massimo “antipatia” D’Alema, Civati chi? e Roberto Speranza “perduta”, e rendendosi poi conto di non essere versati per questo tipo di musica, abbiano cercato un pifferaio magico pronto a risolvere la situazione. Ma hanno sbagliato suonatore, a quanto pare, o spartito. Pensavano di trovare nel Presidente del Senato Grasso “che cola”, invece i topi in fuga gli hanno fatto capire che non c’è trippa per gatti. La sconfitta si è mangiata anche “Potere al popolo”, l’ultima listarella elettorale assiepata intorno alla falce e martello che furono.  Ora la sinistra in gramaglie piange sé stessa e gli elettori che un tempo erano rossi sono diventati bianchi, come la scheda elettorale che hanno lasciato intonsa, o peggio incolori, come il Movimento Cinque Stelle che in gran parte hanno votato.

Luca era gay. È triste l’inviata di “Quinta Colonna” Nausicaa Della Valle, martire insieme a Roberto Poletti dei cazziatoni di Paolo Del Debbio, che li tratta a pezza di piedi nei loro surreali collegamenti dai campi rom o dalle principali piazze di spaccio italiane. Del Debbio gli intima di spostarsi più a destra o a sinistra nell’inquadratura, di dare o togliere il microfono a qualche intervistato in base alle sue simpatie del momento, gli toglie la parola e chiude il collegamento se stanno dicendo qualche corbelleria oppure li costringe a continuare a parlare del nulla per interminabili minuti se magari non è ancora pronto il collegamento successivo. Della Valle incassa e va avanti, fedele soldatina delle truppe deldebbiane.  Ma la Nausicaa, dicevamo, è triste perché è stata massacrata in rete da insulti e ironie. Infatti, qualche tempo fa, ha rilasciato un’intervista ad una tv cristiana, Tci, in cui dichiarava di essere stata gay e che ora è guarita grazie all’intervento del buon Dio. Dopo aver sbandierato la liberazione dall’omosessualità e dalle lobby gay, sostiene la giornalista, è stata fatta oggetto di una campagna di odio soprattutto da parte delle comunità lesbo e omo. Ma Gesù mio, come si fa a sostenere una cosa del genere e poi non aspettarsi di essere insultata dal popolo della rete? Allora, o la Della Valle non era lesbica prima, ma solo sessualmente aperta, ed ora ha perso l’interesse, oppure non lo è mai stata o lo è ancora e cerca pubblicità inventando una storia risibile.

Marzo 2018   

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ITALIENI FOREVER –SATURA 10

“Porca miseria qui la barca non va più/ la cosa è seria la tua barca non va più/ o capitano se non fai qualcosa tu/ andiamo giù”

(“La barca non va più” -Orietta Berti)

La sindrome di San Matteo. Il Pd ha subito una sonora sconfitta. Il brutto the day after del partito lo vede ridotto ai minimi termini. “Renzi uccide un Pd morto”, scrive “Il Fatto Quotidiano” del 6 marzo 2018, alludendo alle dimissioni farsa del segretario, che hanno aperto, ancor più della sconfitta, la notte dei lunghi coltelli all’interno del partito. Fra i più critici in assoluto, il Governatore della Puglia Michele Emiliano, uno dei principali avversari e papabili alla carica di segretario. Renzi poi, le dimissioni, è stato proprio costretto a darle. Ma il partito è ancora saldamente guidato da lui, perché tutta la dirigenza è renziana. Vero che quando si andrà a rinnovare le cariche, molto probabilmente dovrà consegnare il potere e avviarsi suo malgrado lungo il viale del tramonto. Quella che lascia il Pd, dopo cinque anni di governo, è un’Italia certamente non migliore di quella che ha preso in consegna. Il debito pubblico è ancora enorme, abbiamo subito una ondata massiccia e incontrollata di immigrazione e se anche pare sia calata la criminalità nelle nostre strade, la percezione della gente è che anzi essa sia aumentata. La produzione industriale continua a precipitare fin dal 2007, gli investimenti sono crollati, la povertà assoluta raddoppiata, e se queste piaghe non sono attribuibili al Governo Renzi, è però anche certo che non sia riuscito a sanarle, vedi il fallimentare Job Act. Mancanza di lavoro e precarietà hanno creato un malcontento diffuso che ha portato la gente a votare alle recenti elezioni i partiti ritenuti anti-sistema, ossia i populisti. Il problema è che in Italia si è creato un divario sempre più netto fra poveri e ricchi, una sperequazione enorme fra chi è debole, che lo diventa sempre più, e chi è forte, che va maggiormente rafforzandosi. Il fenomeno si chiama “Effetto San Matteo”, come indica il sociologo Franco Cassano sulle pagine della “Gazzetta del Mezzogiorno” (8 marzo 2018). Il nome deriva dal versetto 25, 29 del Vangelo di Matteo che recita: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.”  Si è aperta ancora di più la frattura fra il nord e il sud. E’ curioso e fa pensare il fatto che questo divario che vive il Paese sia anche il portato delle politiche messe in campo da un Matteo (Renzi), e che da più parti ad un altro Matteo (Salvini)  ora ci si affidi per colmarlo; ancora più bizzarro è che il primo Matteo, che ha diviso il Paese, sia, almeno in teoria, un centralista e unionista, mentre il Matteo che ora dovrebbe unire fosse, fino a poco tempo fa, indipendentista e secessionista.

Italieni forever. Che bel popolo gli Italieni. Un popolo di truffatori, professionisti del raggiro, dell’imbroglio, fuoriclasse della menzogna, campioni del fotti fotti. Italieni sono i nostri rappresentati politici.  Abili mentitori, puttanieri, ignoranti, ciurmatori, falsari. Populismo e becera demagogia sono la loro caratteristica. Certo, Italieni sono anche gli elettori che votano questi bagatellieri. Ed ecco allora che fra i candidati degli Italiani all’estero all’ultima campagna elettorale è spuntato Giuseppe Macario, leader di una fantomatica lista “Free flights to Italy”, che prometteva voli gratis per tutti. La lista era in lizza nella circoscrizione del Nord e Centro America. Ha raccolto 500 firme regolarmente depositate e il suo leader candidato ha presentato un curriculum invidiabile. Piccolo dettaglio trascurabile, si trattava di un fake, una lista fantasma. Cioè la lista esisteva davvero, ma il Macario  è un cialtrone, uno psicolabile, già denunciato per cyberstalking. Macario non si è mai mosso da Fiano Romano, il paesino dove vive insieme all’anziana madre e dove è da tutti considerato un soggetto pericoloso. Ma nessuno aveva controllato? Tutto ciò è stato scoperto da Selvaggia Lucarelli, giornalista del Fatto Quotidiano, mentre Macario prometteva voli gratis per tutti dagli Stati Uniti all’Italia, prendendo anche molti voti dai boccaloni pronti a correre fra le braccia del filantropo pataccaro.

B. come Basta! Andrea Scanzi sta portando in giro per i teatri il suo spettacolo “Renzusconi”, tratto dal suo fortunatissimo libro omonimo (Paper First, 2017). Questo animale mitologico sembra sia stato neutralizzato definitivamente dalla recenti elezioni politiche (mai dire mai). Infatti nel centro-destra, risultato vincente in termini di maggioranza relativa, il partito più forte è diventato la Lega salviniana.  Più che positivo il fatto che Forza Italia abbia perso molti consensi nonostante una campagna elettorale da delirio dell’ex premier Silvio “bunga bunga” Berlusconi, il quale scalmanava da una tv all’altra a ritmi indiavolati.  Ora il Cavaliere dimezzato (che sembra il titolo di un libro di Calvino) dovrà accontentarsi del misero 14 % raccattato, una percentuale auspicabilmente destinata a decrescere ancora. Certo, la campagna di odio allestita nei suoi confronti deve aver fatto la sua parte, e viva Dio, perché “B. come basta!”, potremmo dire, citando il fortunato libro di Marco Travaglio (Fatti e misfatti, disastri e bugie, leggi vergogna e delitti (senza castighi) dell’ometto di Stato che vuole ricomprarsi l’Italia per la quarta volta, Paper First 2018)

La barca. La disfatta del centro-sinistra italiano passa per un piccolo paese dell’Emilia Romagna. Se la grassa Emilia, prima delle elezioni del 4 marzo, era la regione rossa per eccellenza, infatti, Cavriago, minuscolo borgo in provincia di Reggio Emilia, era il comune più rosso, considerato la Pietroburgo d’Italia. Qui il Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd, ha sempre ottenuto la maggioranza assoluta e bandiera rossa la ha sempre trionfato. Ora è stato superato dal Movimento Cinque Stelle che ha ottenuto una piccola percentuale in più. L’ultima roccaforte del cattocomunismo italiano dunque ha ceduto sotto i colpi del populismo grillino. Anche Cavriago, dove al centro della piazza troneggia una colossale statua di Lenin, dono negli anni Settanta dell’ex Urss alla cittadina, che ha sempre fatto professione di fede bolscevica alla madre Russia, ora si è adeguata ai tempi e al nuovo vento nazional populista. Non a caso, Cavriago è la patria di Orietta Berti, la quale, da sempre donna di sinistra, è passata a votare Cinque Stelle, facendo endorsement nella trasmissione di Fazio: dopo “Finchè la barca va”, “La barca non va più”.

Marzo 2018

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GAME OVER

È un piacere meschino ma irrinunciabile quello di infierire sui perdenti (ma a mia difesa potrei allegare un link con le decine di pezzi in cui me la prendo con i vincitori). Ci si riferisce ai trombati alle recenti elezioni politiche. E per essere ancora più meschini, ce la prenderemo solo con alcuni, non con quelli, pur sconfitti, delle forze che hanno vinto, ma con quelli dei partiti che hanno perso, dunque doppiamente trombati. E iniziamo col Pd.  Trombato il sottosegretario Sandro Gozi. Trombato Ernesto Carbone. “Era fatale che quel ciaone un giorno sarebbe tornato indietro” scrive “Il Fatto Quotidiano”, con riferimento alla facile ironia fatta dal deputato renziano all’indomani del referendum sulle trivelle del 2016. Trombati Cesare Damiano, ex nome grosso del Pds, e Giuseppe Fioroni, ex nome grosso della Margherita. Trombato Stefano Esposito, che annuncia il suo addio alla politica (non ci mancherà). Perdono Gianni Pittella, eurodeputato socialista, in Lucania, e la giornalista Francesca Barra, che proprio nella sua regione ha raggranellato un misero 14%, addirittura nella sua città, Bernalda. La Barra, una delle giornaliste più belle del panorama televisivo, moglie dell’attore Claudio Santamaria, è stata fatta oggetto nelle settimane precedenti al voto dell’ironia corrosiva di un’altra avvenente penna, Selvaggia Lucarelli, che forse non perdona alla Barra di essere più bbona di lei. In un editoriale al veleno sul “Fatto Quotidiano” del 28 febbraio, “Francesca Barra la candidata-selfie strappata all’Isola”, la Lucarelli accusa la collega di “narcisismo, goffaggine e inadeguatezza” e di essere arrivata alla candidatura solo per la sua amicizia personale con Renzi; “non è conscia dei suoi limiti ed ambisce a tutto afferma la Lucarelli, “ha una goffaggine da Fantozzi”, e accusa la Barra di essere una giornalista tappabuchi alla quale si affidano solo ospitate o trasmissioni di seconda fascia, perché sarebbe più attenta a mostrarsi in pose languide e sexi sulla rete che a lavorare seriamente. E la conferma di ciò, rincara la dose, sempre sul “Fatto” del 7 marzo, è il tonfo elettorale. “Nella sua carriera politica” scrive il Fatto Quotidiano, “c’è tutta l’essenza, che è poi il vuoto, del renzismo”. Sconfitto ma ripescato nel proporzionale anche il Rettore dell’Università di Messina Pietro Navarra, nipote di un capoclan corleonese, Michele Navarra, potentissimo boss mafioso fatto fuori dal clan di Luciano Liggio negli anni Cinquanta. Non si vuole far passare la tragica teoria delle colpe dei padri, ma è lo stesso Navarra ad essere da sempre al centro delle polemiche per una gestione ritenuta in odor di mafia della sua Università. E da un capo all’altro della Penisola: sconfitto Riccardo Illy a Trieste. E in Friuli, di cui è stata Presidente della Regione, perde anche Debora Serracchiani. Clamorosa la sconfitta di tutti i Ministri del Governo Gentiloni.  Franceschini è stato sconfitto a Ferrara dal centrodestra. Marco Minniti addirittura stracciato a Pesaro dal grillino Andrea Cecconi. Valeria Fedeli perde nella sua Pisa, Roberta Pinotti sconfitta a Genova dal candidato pentastellato. Claudio De Vincenti a Sassuolo, Andrea Orlando in Toscana. Sebbene i ministri paraculi siano paracadutati, è innegabile la colossale figura di merda. Perde la Lorenzin, la sua lista “Civica Popolare” si ferma all’1,3. La Beatrice poteva fare come il suo compagno di merende Alfano, che ha avuto la decenza di non ricandidarsi. Presi a sberle anche Matteo Orfini, l’uomo ombra di Renzi, e Andrea Marcucci. Bocciata l’avvocato Lucia Annibali, sfregiata con l’acido dal suo fidanzato, a conferma che spettacolarizzare una tragedia per fini politici non sia molto elegante.  Per quanto riguarda Liberi e Uguali, l’esercito dei trombati è guidato da D’Alema: ultimo nel suo collegio di Nardò-Casarano-Gallipoli. Doppia vittoria per il Salento: non solo si è liberato dell’odioso“Conte Max”, ma anche, in un sol colpo, dei vari notabili che da decenni ne infestavano le contrade. Gaudeamus igitur.  Per Leu, trombati eccellenti il Presidente Grasso, che perde nella sua Palermo, e la Presidenta Boldrini, Bersani, Fratoianni, Fassina. Sebbene paraculati, clamorosa la loro disfatta nei collegi uninominali. A sinistra, inaspettatamente trombata (ma salva) anche Emma Bonino, della lista Più Europa (il bacio della morte col democristiano Tabacci l’ha condannata) e tutta la lista “Insieme”, nonostante la benedizione di Romano Prodi (bacio della morte, anche il suo). Sparito, terminato, speriamo per sempre, anche Ingroia con la sua lista (della spesa). Non soddisfatto del misero risultato ottenuto alle politiche del 2013 con Rivoluzione Civile, il pessimo magistrato si è ripresentato con “La mossa del cavallo”, insieme al fanatico Giulietto Chiesa, con un programma immemorabile, stilato niente di meno che da Stefano Sylos Labini.

Altre forze politiche sono fuori dal Parlamento. Parliamo delle estreme, iniziando dai fascisti. Non ce l’ha fatta Casa Pound, ed è così rimasto a terra Simone Di Stefano, che nella diretta della notte elettorale su La7 adduceva a motivo della mancata elezione il fatto di essere stato poco in televisione, di fronte ad un Mentana “Zatopek” (come lo definisce Francesco Specchia su “Libero” 7 marzo 2018) a metà fra l’incredulo e l’indispettito. È stato un attimo di smarrimento e appena Mitraglia si è reso conto delle farneticazioni del leaderino fascista ha iniziato a sommergerlo di battute al vetriolo. Scrive Selvaggia Lucarelli in un suo acido corsivo del 7 marzo 2018: “Lui che voleva invadere la Libia, si lamentava di non essere stato invitato abbastanza in tv. Peccato davvero per l’insuccesso di Casa Pound, perché invece i risultati dell’altra coalizione di estrema destra, Forza Nuova, sono stati proprio incoraggianti: 0,37%. Se si mettessero insieme, se unissero le forze, altro che Libia. Potrebbero invadere almeno il giardino pensile di casa Boldrini. Potrebbero lanciare gavettoni al prossimo Gay Pride. Potrebbero radere al suolo tutte le sculture alla gara nazionale di castelli di sabbia a Cervia. Potrebbero sfidare Fassino a braccio di ferro. E invece di queste elezioni ci resterà il ricordo del piccolo Simone con la sua aria bastonata, che il giorno dopo la sconfitta, in un moto d’orgoglio, dice: ‘è ora di mettersi al lavoro!’. Ecco, bravo, il tornio con turni da 12 ore festivi compresi, sarebbe un buon inizio”. Povero Di Stefano, perculato da Mentana in diretta tv, perculato da Selvaggia sul “Fatto Quotidiano”, rischia addirittura di farci tenerezza. Non si può sparare sulla Croce Rossa. Infatti, bisognerebbe proprio farla saltare in aria con le granate! E così per Forza Nuova, del pari bocciata dagli elettori. Anche Roberto Fiore non è stato votato neppure dai suoi parenti.  Verrebbe proprio di condire di sarcasmo un articolo di satira sui nipotini del Duce, camerata 2.0. Ma poi uno pensa alle irruzioni dei Forza Nuova alla messa di Don Biancalani (che pure è un personaggio disgustoso) a Vicofaro, Pistoia, a quella degli skineahds alla riunione del Pd a Como, a quella negli studi di La7 per interrompere la trasmissione dell’insulso Floris, oppure, che è la stessa cosa, all’aggressione degli antifascisti al balordo leader di Forza Nuova a Palermo Massimo Ursino, imbavagliato e picchiato, o ancora alle svastiche disegnate sulla lapide della scorta di Moro a Roma, e allora non c’è nessuna satira che tenga. Bisogna chiamare le cose col proprio nome: questi sono peggio della merda.

E sull’altra estrema, quella dei reduci comunisti? Anche Potere al popolo è rimasta al palo. Sebbene nobilitati dall’adesione di sigle come l’Anpi, l’associazione dei partigiani, e di molti rispettabili intellettuali, tuttavia come obliare il fatto che la loro base siano i centri sociali, come quello di Mario Pasquino, “Je so’ pazzo”, di Napoli?  Quelli delle molotv e delle spranghe, delle vetrine spaccate e dei muri imbrattati, degli scontri di Bologna, quelli dell’antifascismo ancora più cruento e forcaiolo del fascismo?  Povera Italia.

Marzo 2018

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SATURA 11

“Coi 5 stelle noi lo statuto insieme al blog rispettavamo

coi 5 stelle noi l’ onorevole” lo rifiutavamo  

al rimborso elettorale abbiamo dovuto rinunciare, mangiavamo in pizzeria

Noi fuori col kebab quelli ostriche e champagne, seduti con tre squillo, fanculo Beppe Grillo!

Noi siamo gli ex 5 stelle, lo stipendio prendo intero senza storno

Noi siamo gli ex 5 stelle, alla D’urso ce sto a andà na vorta al giorno

Noi siamo gli ex 5 stelle, gioco a scopa sull’ipad in Parlamento

Noi siamo gli ex 5 stelle, sto per prendere un tapiro me lo sento”

( “5 stelle”  – Dado)

Il Grillo sparlante. Il giacobinismo di Grillo, che ha avuto una dimostrazione plastica l’anno scorso nella richiesta di instaurare un tribunale del popolo, si esplica in rete con il suo famigerato blog attraverso una gogna mediatica alla quale vengono condannati tutti coloro – politici, giornalisti, commentatori-, che non la pensano come lui. Il nuovo Terrore si puntella su due cardini: quello mediatico, per i suoi avversari politici, la stampa e le tv che gli sono avversi, e quello economico, per gli stessi grillini, che rischiano espulsione dal movimento e salata multa nel caso sgarrino, come abbiamo constatato poco prima delle elezioni in occasione dei mancati rimborsi di alcuni parlamentari 5 stelle.  La giuria popolare invocata da Grillo contro le bufale on line avrebbe potere di stabilire cosa è vero e cosa è falso, secondo la farisaica dicotomia fra bene e male utilizzata come grimaldello nella scalata al potere e nel suo consolidamento da tutti i dittatori della storia. Grillo aspirante Stalin o Hitler? Beh, questo accostamento risulta francamente eccessivo. A Beppe mancano un po’ di letture e alcune di quelle psicosi che tormentavano la mente del Fuhrer. Soprattutto, gli manca il complesso di inferiorità (ha avuto una carriera fortunata, ha successo e soldi, è telegenico) che negli psicopatici criminali si associa a quell’ ebbrezza di onnipotenza, a quell’ esaltazione fanatica che porta poi distruzione e morte, come la storia ci insegna. Tuttavia, il Robespierre di Genova deve aver letto almeno “1984” di George Orwell, libro che dopo l ‘elezione di Trump ha conosciuto un boom di vendite nel mondo.  L’opera di Orwell riporta alla trasmissione televisiva “Il grande fratello” da cui proviene Rocco Casalino, il responsabile della comunicazione 5 stelle. Tutto torna. E dunque, Grillo cerca di impostare il movimento come la casa mediasettiana del GF, in modo tale che lui abbia il controllo totale sui tele-ospiti e addirittura potere di vita e di morte su di loro. Quello che stupisce è che, mentre le sue bordate dovrebbero destare ilarità nelle persone intelligenti, semmai essere accompagnate da un coro di fischi e pernacchie, invece inducono reazioni scomposte e durissime, cioè molti se la prendono davvero con il Grillo sparlante. Come se appunto non stesse (s)parlando un grillo. Ed è così che il suo pensiero, come per esteso il Movimento, legittimato dall’opposizione stizzita dell’establishment, ha continuato a proliferare.

Da Russoe a Machiavelli.  Ora che tanti si affrettano a salire sul carro grillino del vincitore, dalla Confindustria di Boccia, alla Fiat di Marchionne, da Scalfari forse anche alla Cisl della Furlan, a me torna in mente la famosa fiaba di Andersen “I vestiti nuovi dell’Imperatore” (Il re è nudo).

I Cinque stelle sono del tutto inaffidabili, pronti a dire una cosa e il suo contrario in base alle convenienze. Da forcaioli a ipergarantisti. Ricordate il nuovo codice etico fatto approvare apposta per blindare la imbarazzante (ma per nulla imbarazzata) Sindaca di Roma Raggi, travolta dai guai giudiziari?  Da grilli a camaleonti, insomma, senza far tanti complimenti.

Hanno dato pessima prova nelle amministrazioni comunali in cui stanno governando: oltre che a Roma anche a Torino. Si sono presentati agli elettori, mostrando un libro dei sogni che loro stessi non sanno leggere.  Hanno puntato tutto sulla pancia della gente, stufa della politica politicante, ma non sul cervello, sul ragionamento, sull’analisi seria e dettagliata. Con un programma copiato dalla rete, con una squadra sghemba e con due veri padroni quali Grillo e Casaleggio cui rendere conto, che intanto fanno soldi a palate, come appena dimostrato dalle dichiarazioni dei redditi rese note dalla stampa, che certezze possono offrire i nuovi capiparte? Non c’è nuovo che tenga. I grillini sputavano su Forza Italia, il partito azienda. Ma che cos’è il Movimento Cinque Stelle, se non una versione aggiornata del partito berlusconiano? La differenza è che qui i padroni sono due, Grillo e Casaleggio, tutto deve essere vagliato e concordato con loro. Fra (Raggi)ri e congiure, dunque, doppiopesismi, purghe grilline, bavagli alla stampa, liste di proscrizione, (Diba)ttiti oscurati, e foglie di (Fico) cadute, la tragicommedia a Cinque Stelle ormai ci è nota.  L’impressione, vicina a diventare certezza, è che questo innamoramento della gente per le forze populiste e sovraniste passerà presto. Il Paese purtroppo non ha anticorpi per difendersi dai virus che ciclicamente lo attaccano. Non ha saputo rispondere all’infezione berlusconiana, non ha sviluppato immunodifese per il renzismo ed ora sembra vittima del grillismo. Ma i Cinque Stelle stanno dando ampia dimostrazione di poter divenire peggio di quel peggio che all’inizio denunciavano. Essi hanno mollato tutta l’artiglieria pesante che avevano messo in campo agli esordi, e sembrano vecchi democristiani, falsi e ipocriti. Del resto la corruzione è endemica nel nostro Paese, come conferma il bel libro La corruzione. Una storia culturale, di Carlo Alberto Brioschi (Guanda 2018), un excursus sulla disonestà dall’Antico Testamento fino ad arrivare ai giorni nostri, ed è sconfortante constatare come i corrotti siano sempre stati presenti nella politica, da Tacito e Seneca a Richelieu. I nuovi caporioni, che hanno già dimostrato incompetenza, temo dimostreranno presto corruttela. Il Movimento Cinque Stelle è come lo Yomo, al quale faceva pubblicità negli anni Ottanta Beppe Grillo: uno yogurt scaduto.

Donne e belve. Grande risalto è stato dato quest’anno all’anniversario del rapimento di Moro e della strage di Via Fani. Ne hanno parlato tutti i tg, “Unomattina” e “La vita in diretta”, su Rai 1, poi la trasmissione “Il condannato. Cronaca di un sequestro”, di Ezio Mauro, su Rai3, la trasmissione di La7 “Aldo Moro storia di un delitto”, di Andrea Purgatori, quella di Francesca Fagnani, “Belve” su Nove,  e diversi spazi di approfondimento nei vari canali all news. Naturalmente è stato un profluvio di ex brigatisti rossi, tirati fuori dalla naftalina con cadenza annuale per farli farneticare urbi et orbi. Premetto che a me non importa proprio nulla di ascoltare questi indecenti (e ne ho le tasche piene anche del caso Moro, dopo tanti anni di solfa mediatica e retorica politica), e infatti non ho seguito alcuna trasmissione. Però, vuoi o non vuoi, a meno di più piacevoli sollazzi sul proverbiale atollo tropicale, le notizie qui ti piovono addosso e non puoi evitare di essere informato. Dunque, alla trasmissione di La7 sono stati invitati i terroristi Prospero Gallinari, Valerio Morucci, Raffaele Fiore e Mario Moretti. Su Nove, la Fagnani ha intervistato Adriana Faranda, quasi fosse una superstar, e così ha fatto anche Ezio Mauro su Rai3.  Orbene, se doveroso è il ricordo e comprensibile anche la spettacolarizzazione dell’evento che ne fa la tv, appare francamente inammissibile l’ondata di generale accettazione soporifera, se non di buonismo, che si è riversata sui suoi beceri protagonisti, ossia i Brigatisti Rossi. Questi dilagano nei salotti televisivi con la loro assurda “versione di Barney”. Inoltre, pontificano dagli schermi senza avere alcun contraddittorio, favoriti dal gioco di luci della sapiente fotografia televisiva che conferisce loro più fascino e sintomatico mistero. Ma se non stupisce più di tanto la glorificazione della Faranda, fatta nella trasmissione “Belve” da Francesca Fagnani (le si riconosce almeno l’onesta del titolo), io rimango disarmato di fronte all’incontro fra la Faranda e Agnese Moro, figlia del leader democristiano ucciso nel 1978, tenutosi alla chiesa di San Gregorio al Celio a Roma il 15 marzo. L’ex brigatista e la figlia di Moro, faccia a faccia a colloquiare come due vecchie amiche e l’Agnese che addirittura incoraggia l’Adriana, tradita dalla forte emozione, e la accarezza e la abbraccia. Che scene disgustose. Per l’amor di Dio, il perdono ha un valore evangelico e va praticato da un buon cristiano. Ma da perdonare a condonare… Arrivare ad un simile gesto, entrare non dico in empatia ma addirittura in amicizia con uno che ti ha massacrato il padre, non è da cristiane, e nemmeno da belve, è da coglione.

Marzo 2018

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SATURA 12

“ È il mio corpo che cambia nella forma e nel colore

è In trasformazione, è una strana sensazione, in un bagno di sudore

È il mio corpo che cambia… e cambia”

( “Il mio corpo che cambia” – Litfiba)

Liberate Capalbio! “Oddio, gli immigrati a Capalbio! Questi indesiderabili puzzolenti negroni vengono ad inquinare l’aria di una delle più esclusive località turistiche d’Italia?  Via, pezzenti, tornatevene da dove siete venuti! Qui non vi vogliamo!” Ha fatto discutere l’estate scorsa la sortita del Sindaco di Capalbio, Luigi Bellumori, che si rifiutava di dare accoglienza a 50 immigrati destinati proprio al comune toscano. In barba a tutta la trita e ritrita retorica sull’accoglienza, ammannita per cinque anni dal governo Pd. Capalbio, in provincia di Grosseto, nella splendida Maremma, è da lungo tempo località privilegiata di vacanza per vip e intellettuali di sinistra, i cosiddetti “radical chic”. Spesso è stata oggetto di ironia e dileggio, perché i cervelloni che sceglievano come buen ritiro la marina maremmana sostenevano di isolarsi dal mondo, durante il loro soggiorno di relax, e di non leggere i giornali né di possedere il televisore. Questo loro atteggiamento snobistico ha creato l’espressione “intellettuali di Capalbio”, per indicare una categoria di persone che vive lontano dalle noie e dagli affanni della contemporaneità. A Capalbio, non si sapeva dove alloggiare gli ospiti indesiderati. Oltre al Sindaco, tanti operatori commerciali, ristoratori e albergatori si lamentavano della situazione venutasi a creare perché essa avrebbe potuto scoraggiare il turismo e determinare un calo delle prenotazioni. Effettivamente, quello era già un segno che il vento stesse cambiando pure a Capalbio. I giornali e le forze politiche di centro-destra si sono scatenati nel tacciare di ipocrisia la sinistra che a parole è favorevole all’accoglienza e all’integrazione, ma poi nei fatti si rivela intollerante proprio come un qualsiasi leghista.  Cioè, sostenevano Lega e Fratelli d’Italia, quando si tratta di accogliere gli extra comunitari nelle zone degradate delle città, va tutto bene, ma quando invece il fenomeno interessa i luoghi di ristoro o di residenza della “sinistra al caviale”, allora sorgono problemi di ordine pubblico e spuntano tanti distinguo. E sì che il vento stava cambiando, e se ne è avuta conferma alle recenti elezioni politiche del 4 marzo, quando, nella storica roccaforte della sinistra, ha trionfato la Lega Nord. Tornando agli intellettuali di Capalbio, qualche anno fa, quand’ero più giovane, credevo che questi scrittori, giornalisti, docenti si rinchiudessero nella loro turris eburnea, sdegnosi del mondo e delle sue trame, a filosofeggiare e snobbare. Essi cioè aspirassero a costituire una sorta di “Platonopoli”, come quella vagheggiata da Plotino, ossia una città ideale, non già governata da filosofi, come nella Repubblica di Platone, ma composta di soli filosofi, i quali colà si segregassero isolandosi dal quotidiano. Oggi, l’arrivo dei “mau mau” africani e la stizzita reazione dei capalbiesi hanno fatto crollare miseramente il Pensatoio, per dirla con Aristofane, o Neffalococcugia.

Così le cose cambiano. È sempre un piacere perverso vedere ex forcaioli passare dall’altra parte della barricata e scendere a patti col sistema, ex giustizialisti diventare garantisti, attraverso mutazione genetica post riflusso. Così l’ex arrabbiato Beppe Grillo, maitre à penser del “vaffanculo” e dell’ “arrestiamoli tutti”, profeta della web revolution, diventa democristiano fuori tempo massimo e predica mediazione, adattabilità, ci manca poco che parli di “convergenze parallele” e “politica dei due forni”. E i grillini, che all’inizio della loro avventura politica, si facevano chiamare “cittadini”, ora apprezzano di essere chiamati “onorevoli”, e mentre prima avevano il divieto assoluto di parlare ai giornalisti, ormai sono i più assidui ospiti dei talk show televisivi. Hanno cambiato il loro codice etico per parare il culo prima alla Sindaca di Roma Raggi, raggiunta dai guai giudiziari, e poi a quella di Torino Appendino. Eh sì, è sempre curioso assistere a certe impennate dell’incoerenza, seguire le inversioni a u dei protagonisti della scena pubblica italiana; arreca quasi una gioia commossa sentire un manettaro difendere il principio della presunzione di innocenza costituzionalmente sancito, un po’ come sentire Tony Iommi, il chitarrista dei Black Sabbath, suonare musica sacra.

Così le cose cambiano per la Lega Nord, che attraverso mutazione genetica è diventata semplicemente Lega. Se agli inizi un arrabbiatissimo Bossi invocava la secessione e si scagliava contro Roma ladrona, oggi i leghisti fanno pendant con la tappezzeria dei salotti buoni romani. E se lo stesso Salvini (“Il trasformista” in salsa padana) un tempo si scagliava contro i puzzoni meridionali  (curioso il video in cui il leader leghista canta una oscena canzone contro i napoletani colerosi ), oggi invece predica unità nazionale e addirittura si candida in Calabria.

Piero Sansonetti (ovvero “qualcuno era comunista”) che detiene il non invidiabile record di aver fatto fallire tutti i giornali che ha diretto, da “Liberazione” a “Il garantista”, dalle pagine della sua nuova creatura, “Il dubbio”, si batte per la scarcerazione di Marcello Dell’Utri.  “Che fantastica storia è la vita” canta Antonello Venditti (“qualcuno era comunista” 2): quando pensi di averle viste tutte, ti devi ricredere. Non c’ è mai fine al peggio (“qualcuno era comunista” 3).

Ferrara, l’uomo dai mille volti. Giuliano Ferrara è ormai convintamente renziano. Dalle “Metamorfosi” di Ovidio alle “Metamorfosi” di Kafka, applicate alla politica. Giuliano Ferrara è uno che è passato dalle lotte comuniste di gioventù al berlusconismo più duro e puro (quello dei cosiddetti falchi), dalla militanza nel Psi di Bettino Craxi a quella in Forza Italia, divenendo addirittura Ministro per i Rapporti col Parlamento nel primo Governo Berlusconi (1994). Più volte parlamentare, è uno dei più noti giornalisti italiani. È stato un formidabile anchor man televisivo, ha inventato, con la trasmissione “Il testimone”, il genere dell’infoteinment, alcune sue trasmissioni (come “Radio Londra”, “L’istruttoria”, “Otto e mezzo”) fanno parte della storia della televisione italiana. È passato dalla battaglia per la grazia ad Adriano Sofri, leader di Lotta Continua, alla battaglia sulla difesa della vita contro l’aborto. Da comunista figlio di comunisti, a difensore della Chiesa cattolica, contro l’estremismo islamico, contro i matrimoni gay e a difesa delle radici cristiane dell’Europa. Dunque, dalle posizioni di totale laicismo degli inizi, alla posizione del più smaccato conservatorismo di oggi. Questo, per dire che certo Ferrara non ha fatto della coerenza il proprio vessillo. Ma tant’è. È tipico delle grandi personalità (in questo molto novecentesco) contraddirsi, cambiare idea, spesso anche con incredibili piroette, cioè nella maniera più plateale e marchiana. Il massimo è che Ferrara continua a professarsi ateo (un “ateo devoto”, lo ha definito Eugenio Scalfari), dunque vicino alle posizioni della chiesa, per motivazioni di carattere ideologico e filosofico, niente affatto spirituali. E le contraddizioni continuano.

Attraverso “Il Foglio”, giornale da lui fondato, ha portato avanti molte battaglie che hanno incontrato l’ostilità dei suoi colleghi-avversari politici e l’indifferenza degli elettori-lettori. Scrive Antonello Piroso, su “La Verità” del 2 marzo 2018, “Prima comunista, poi craxiano. Papista ratzingeriano ma non credente, bushiano ma non trumpiano. Renziano entusiasta ma, da antiabortista, al Senato voterà la Bonino. Protagonista di liti epiche, ammise un passato da informatore della Cia.” Infatti, Ferrara ha fatto l’ennesima piroetta. Era ritornato vicino a Forza Italia. Dalle pagine di “Panorama”(22 giugno 2016),  faceva una disamina della situazione attuale del centro-destra in Italia e affermava che occorresse ripartire proprio dal Cavaliere Berlusconi, ricreare le condizioni che vi furono nel 1994, cioè di quella grande rivoluzione liberale che, se non è più ripetibile tel quel, nella forma, nei modi di allora, deve essere però almeno fonte di ispirazione per i partiti moderati di centro-destra e che riconosca in Berlusconi il suo padre nobile. Toh, nel giro di pochi mesi, è passato al Pd, professandosi convinto renziano, proprio nell’ora del suo tramonto. E alle recenti politiche ha votato per il Pd e per Più Europa.  “La nemesi è completa”, scrive ancora Piroso, “La preferenza alla radicale pro aborto a 10 anni di distanza dalle elezioni del 2008 cui Ferrara partecipò con la sua lista prolife contro l’aborto e rimediò uno 0,4%. Più che una sconfitta, una catastrofe”. Ora Giuliano, che nel frattempo ha lasciato la direzione del Foglio al giovane Claudio Cerasa, continua a fare il maitre a penser della sconfitta.  Infatti sappiamo che fine ha fatto il Pd renziano a queste elezioni. Ma Ferrara è uomo di grandi slanci, furiose invettive, per lui il giornalismo è e deve essere fazioso, pervicacemente di parte. Gli va dato atto di avere quello che si dice il coraggio delle idee. Ma le sue folgorazioni sulla via di Damasco sono pari alle sue scazzate e le sue trasformazioni alle sue cantonate.

Marzo 2018

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IL RENZACCIO MONELLO E LE VARIABILI DI PERCORSO

La disfatta del Pd alle recenti elezioni politiche certo è frutto di una serie di errori la cui responsabilità è collettiva. Ma non si può negare che essa abbia prima di tutto un padre, che è Matteo Renzi da Firenze. La brama di potere, l’ubriacamento del successo, la smania di consenso, gli hanno fatto perdere la barra (non nel senso della giornalista Francesca, supergnocca candidata col Pd in Basilicata, ma della misura). Avrebbe certo potuto lasciare la politica, almeno per un breve periodo, dopo lo schiaffone ricevuto dagli italiani al referendum costituzionale del dicembre 2016. Invece il Renzaccio monello ha deciso di continuare a stare al centro dell’attenzione, sia pure da una posizione un po’ meno esposta rispetto a quella del Premier, ma non certo meno importante. Anzi, come Segretario del Pd, ha continuato a tirare le file del teatro dei burattini che è la scena politica italiana. Forse, per un attimo è balenata nella sua mente l’idea di mollare tutto e ritirarsi nel calduccio della vita privata. Ma solo per un attimo, quando quella famosa sera del post risultato elettorale e del post su Fb, dicembre 2016, ha rimboccato le coperte ai suoi figlioletti tornando a tarda notte a casa a Pontassieve. Ma già le prime luci dell’alba gli hanno infuso nuova baldanza; dopo che sono disparse le angosciose tenebre romane, i primi raggi di un bischero sole fiorentino lo hanno ringalluzzito. Ha riposto i domestici lari, salutato la moglie e i frugoletti, ed è tornato di gran lena verso gli dei della patria. E dire che, se avesse tenuto fede alle promesse fatte agli elettori, e avesse lasciato le cariche, non avrebbe probabilmente dovuto attendere troppo, nel suo personale Aventino, prima di venir richiamato ad alti uffici. Perché il Partito Democratico, tirando aria di nuove elezioni, e mancando di un nome forte da proporre, avendo finito tutto l’olio per consacrare nuovi unti del Signore, avrebbe mandato emissari a cercarlo nel suo sdegnato ritiro. E il Matteo nazionale allora, scorciando senso del dovere e spirito di sacrificio, avrebbe certamente risposto alla chiamata e lasciato brioches e detersivi nella Coop di Pontassieve dove stava facendo la spesa, avrebbe dismesso Hogan e piumini Moncler,  indossato il più inamidato ed elegante completo Armani e i più lucidi mocassini Sergio Rossi di cui disponeva. Sarebbe salito sul primo jet presidenziale che lo attendeva in aeroporto e volato a Roma, non prima di aver salutato il borgo natio affacciato al suo finestrino, con un ispirato gesto dell’ombrello. Invece, niente di tutto questo. Renzi ha voluto giocarsela fino in fondo, trionfare o morire sul campo. Ha voluto continuare a fare il manovratore e ha fatto un patto con Berlusconi per confezionarsi una legge elettorale su misura. Peccato che nel frattempo il vento è cambiato e quella stessa legge, parto del “Renzusconi”, li ha penalizzati.  Inoltre, la gente si rendeva perfettamente conto che il Governo Gentiloni non fosse che una fotocopia di quello Renzi.

Le inchieste giudiziarie hanno gettato ancora maggiore discredito su una classe dirigente pesantemente compromessa. Pensiamo all’inchiesta Consip e all’inchiesta su Eni e le tangenti milionarie, alle tre inchieste sul Sindaco di Milano Beppe Sala per l’affair Expo, a quella sul Presidente della Campania Vincenzo De Luca per voto di scambio, a quella a Roma per Mafia Capitale che vede coinvolti diversi esponenti locali del Pd, ecc. ecc. Oltre a questo, a portare il Pd alla terribile disfatta è stato lo scollamento fra il partito ed il Paese, come ormai unanimemente riconosciuto dagli analisti politici. La classe dirigente del partito è apparsa lontana dalla base sociale, dai suoi problemi, dalla sua disperazione. Ha fatto una politica di annunci e slides, false promesse, che hanno irritato il Paese reale, quello che versa in condizioni critiche, con un tasso di disoccupazione giovanile vicino al 40% al Sud, con la paura fottuta della criminalità, con l’insofferenza nei confronti delle ondate massicce di immigrati che si sono riversati nelle nostre città. Il Job Act, spacciato per una misura altamente provvidenziale, quasi miracolistica, in realtà ha soltanto precarizzato il lavoro e non sono servite a risollevare il morale della gente le misure propagandistiche come gli 80 euro. Anzi è aumentato lo sconforto, il pessimismo, che ha portato gli elettori a dare forza ai partiti anti-sistema come Movimento Cinque Stelle e Lega Nord. Il Renzaccio ha voluto insistere con la sua politica elitaria, appannaggio di pochi, delle lobbies, ossia dei potentati che hanno appoggiato la sua ascesa, trascurando la classe media e soprattutto le classi sociali più basse alle quali del resto nemmeno la finta sinistra di Liberi e Uguali ha saputo fornire delle risposte adeguate. Così le variabili di percorso hanno portato il bischero Matteo alla rovinosa sconfitta del 4 marzo.

Marzo 2018

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FAKE NEWS

Non c’è un antidoto alle fake news che non sia la corretta informazione; la resistenza alle bufale on line passa attraverso la verifica delle fonti, l’attenta analisi basata su serietà e competenza degli organi di informazione.  Poi, le bufale sono sempre esistite. E lo ribadisce lo stesso Pontefice, Francesco I, parlando dell’“astuto serpente” che ingannò Adamo ed Eva.  Nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, pubblicato in occasione della memoria liturgica di San Francesco di Sales (protettore dei giornalisti), Papa Bergoglio riprende appunto la strategia del serpente astuto riferendosi al Libro della Genesi (Gen. 3,1 – 15): “Miglior antidoto contro la falsità sono le persone che attraverso l’ascolto e la fatica del dialogo vero fanno emergere la verità. Occorre un giornalismo di persone con le persone, impegnato, che dia voce a chi non l’ha, che cerchi le cause reali dei conflitti”. Oggi è un dilagare di notizie false e tendenziose a causa del social network che propala disinformazione in maniera incontrollata. La storia è piena di fake news, come sostiene il giornale “Avvenire”, del 25 gennaio 2018, “Da Costantino al pianeta web. Quando l’informazione è falsa”, facendo una lunga carrellata di falsi storici e proponendo una strategia di evitamento dell’odio e della disinformazione che generano le falsificazioni. Certo, non è facile, se si pensa che lo stesso Don Dario Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione Vaticana – che dice “cercare e diffondere la verità senza arrendersi” su “Avvenire” del 25 gennaio 2018 -, si è dovuto dimettere per avere costruito un falso omettendo un passaggio della lettera di auguri di Papa Ratzinger indirizzata a Papa Bergoglio in occasione dei cinque anni del suo pontificato. Difficile per molta gente riuscire a districarsi, specie per chi ha un grado di scolarizzazione più basso, la dinamica del male che porta alle bufale è sottile, ma ci si può difendere, verificando sempre le fonti da cui provengono le notizie e cecando di evitare i social e affidandosi a siti e testate giornalistiche ufficiali. E poi un aiutino dall’alto, San Francesco di Sales non ce lo farà mancare.

Aprile 2018

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TU CHIAMALE, SE VUOI, CONNESSIONI SENTIMENTALI

“Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico per il vangelo secondo Lenin.
Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sé la classe operaia. O cazzo.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande partito comunista.
Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il grande partito comunista…                                                 Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio…”

(“Qualcuno era comunista”  – Giorgio Gaber)

L’elettorato in fuga dalla sinistra ha scelto in massima parte il Movimento Cinque Stelle. Ciò perché gli elettori, orfani di rappresentanza, hanno riconosciuto nel partito grillino quel baluardo contro le ingiustizie sociali che un tempo, a costituire, erano il Pds-Ds-Pd e Rifondazione Comunista-Sel, cioè il centro-sinistra e la sinistra. Oggi che il Pd è divenuto sostanzialmente il partito dell’establishment, delle grandi concentrazioni di potere, e Rifondazione prima e poi Si, Sel, Sinistra Arcobaleno, e via dicendo, si sono disgregate, ecco che l’M5s è divenuto il grande collettore delle istanze inespresse e deluse di una vasta parte dell’elettorato italiano. Anche l’esperimento Liberi e Uguali, ossia il tentativo di costruire un’offerta di sinistra, più a sinistra del Pd, è fallito. Il partito di Grasso infatti si è rivelato velleitario, un coacervo di personalità diverse e con sensibilità differenti ma accomunate solo dall’antirenzismo. A differenza dell’antiberlusconismo però, che è riuscito a coagulare le forze di opposizione al centro-destra e al Cavalier B. per almeno un ventennio, il sentimento di rivalsa nei confronti di Matteo Renzi, di odio e invidia personali, è durato l’espace d’un matin, il tempo di una legislatura, finendo con il travolgere sia l’ ispiratore del fenomeno, il leader rottamatore, che i suoi miserabili nemici, in una finale ecatombe politica. E così a sinistra si è creato un vuoto, un’assenza di rappresentanza che a partire dalle elezioni del 4 marzo è stato colmato dall’M5s.  Le cause della disfatta sono state a lungo analizzate dai commentatori politici.

Il Pd ha perso negli anni il contatto con la realtà, le connessioni sentimentali con quella base sociale che costituiva il suo bacino elettorale, vale a dire la piccola e media impresa, la classe operaia, i poveri, i disagiati. È invece divenuto il partito dei poteri forti, della grande industria e della finanza, degli intellettuali opinion leaders, i cosiddetti  “radical chic”, delle categorie privilegiate, delle banche e soprattutto delle lobbies, ossia i gruppi di potere che ne hanno fortemente influenzato le scelte governative. Renzi, amico di Marchionne e di Cordero di Montezemolo, apprezzato dalla Confindustria, odiato dai sindacati Cgil Cisl e Uil, ha puntato tutto sul culto della personalità, osannato dalla lunga corte degli yesmen, ha prestato attenzione agli applausi di Cernobbio piuttosto che ai fischi degli operai della Fiat di Termini Imerese o del Sulcis e dell’Alcoa sarde. Le masse popolari, i ceti agricoli, bassamente scolarizzati, i moderni sanculotti, presenti specie al Sud, si sono sentiti traditi, hanno visto nel Pd una trasformazione che lo ha portato a diventare casta, e così si sono rivolti all’anticasta. Il Partito Democratico non ha saputo intercettare questo vasto malcontento, elaborare una proposta di governo che venisse incontro alle reali esigenze del Paese, ma si è perduto nelle inutili riforme di facciata, quelle dei diritti civili, che se possono interessare gli intellettuali e le micro categorie beneficiate, tuttavia non vengono apprezzate dalle fasce popolari. I cittadini chiedono risposte su problemi molto più concreti, come la sicurezza, l’immigrazione incontrollata, la mancanza di lavoro. A questo bisogno di protezione delle masse il Pd non ha saputo fornire adeguata considerazione, sdilinquendosi in battaglie di principio, in un cavilloso riformismo, peggio, in alleanze ibride per assicurarsi la continuità, in pateracchi per potere contare, in retoriche e fumose  formule politiche a giustificazione della propria vocazione elitaria,  in un europeismo spesso indigesto, in un modernismo esasperato e incomprensibile ai più, e insomma in rivendicazioni che non scaldano il cuore della gente. Le iniziative messe in campo sono state quasi tutte fallimentari, dal Job Act che ha contribuito solo ad una maggiore precarizzazione del mercato del lavoro, alla Buona Scuola che ha creato torme di insegnanti incazzati contro il governo.Iniziative come quella degli 80 euro sono apparse operazioni propagandistiche, così come la finta spallata data con la riforma del credito cooperativo alle banche che invece sono state la vera spina dorsale del passato governo. Anche nell’ambito dell’agricoltura, il Ministro Martina, ora segretario reggente del partito, si è rivelato del tutto inconcludente, basti pensare alla piaga della xylella che ha colpito gli ulivi salentini per cui Martina non ha mosso un dito. E così pure nelle politiche sull’immigrazione: la sensazione della gente è stata quella di una vera e propria invasione che ha avuto la conseguenza di un innalzamento della percezione di insicurezza. Più il Pd si dimostrava vicino alla Ue, partecipe del processo di globalizzazione in corso, tanto più il popolo ha preso ad odiare l’Europa, i potentati economici,  più si dimostrava evangelicamente aperto all’accoglienza e più la gente ha iniziato ad odiare gli immigrati, più esso ha operato a favore dei diritti Lgbt, tanto più la gente è diventata omofobica, intollerante, più il Pd ha inseguito la Spagna e le altre progressiste democrazie europee sul cammino dei diritti civili, e più il popolo si è arroccato nel nazionalismo, nel sovranismo, più è diventato complesso ed elevato il dibattito culturale sui mezzi di comunicazione, più la gente ha cercato chiarezza, semplicità di contenuti, punti fermi, più il Pd ha puntato sulla presunta superiorità della propria nobile e secolare tradizione, tanto più la gente si è sentita vicina ai tamarri e agli incolti, più l’intellighenzia piddina si è estrinsecata in contorte formule sociologiche e filosofiche per dare base ai valori fondazionali del pensiero unico, più il popolo ha tributato consenso ai politici che esprimevano una visione diversa rispetto a quella mainstream ammannita dagli organi di potere. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Marzo 2018

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COSE DA ITALIANI

“Chi è stato truffaldino, chi il voto scambia, già chi ha fatto associazione con la ‘ndrangheta…

Questo dice la Procura, questo dice l’Antimafia, non lo candidar, è impresentabile…”

(“Gli impresentabili” –  Dado)

Cose da Italiani 1. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Di fatto, il sistema politico italiano si è diviso in due poli, il Movimento Cinque Stelle e il Centro-destra, con decisa prevalenza del polo grillino. Ai margini resta il Pd, alle prese con le faide interne fra maggioranza renziana e minoranza antirenziana. Ma è il sistema politico come inteso nella Seconda Repubblica ad essere proprio andato in crisi, cioè è imploso, si è autodistrutto. Il 4 marzo, gli elettori hanno deciso che sia meglio la mala gestione dei populisti che la sicura impasse dell’ultimo governicchio Gentiloni, ostaggio delle banche e delle lobbies e degli impuniti come Renzi, Boschi, Guerini, Serracchiani, pervicacemente attaccati al potere. Renzi e Boschi avevano promesso urbi et orbi che si sarebbero dimessi in caso di sconfitta del referendum costituzionale del dicembre 2016 e invece il bullo Renzi è rimasto a maramaldeggiare al centro della scena politica e “occhi dolci” Boschi a bamboleggiare dallo scranno governativo più alto dopo quello del Premier. Il governo “Genticloni”, come spregiativamente ribattezzato da certa stampa, era un papocchio, appoggiato dall’alfaniano Nuovo Centro Destra, poi frantumato in diverse sigle immemorabili già allora, da quel che restava di Scelta Civica e da Area Popolare, infine dagli impresentabili di Ala. Con questa gentaglia, come Verdini, Barani, Romano and co., è chiaro che i movimenti populisti come i 5 Stelle guadagnassero sempre terreno. Fino a quando sui banchi del governo si sono seduti la Ministra Fedeli (quella del curriculum taroccato), il Ministro “Voucher”Poletti ( quello che dice che certi giovani che vanno all’estero per lavorare in fondo fanno bene a levarsi dalle palle), il Ministro dell’Economia PierCarlone Padoan (quello che non sa quanto costa un litro di latte o un chilo di rape perché, dice, la spesa la fa la moglie), la Ministra Madia (con la benedizione di Napolitano figlio), la Lorenzin (quella del Fertility day), il sempre ritornante Angelino “eterno secondo” Alfano, fino alla Maria Elena nazionale, la “Lady Etruria”Boschi, la gente, stufa di essere imbecherata da simili pagliacci, ha rafforzato il proprio consenso ai partiti di opposizione. Certo, si fa presto a parlare di impresentabili; ma cos’erano, per esempio, la deputata Pd Micaela Campana, indagata per Roma Capitale, il sottosegretario Vito De Filippo, indagato in Basilicata per concussione, il sottosegretario Giuseppe Castiglione, indagato in Sicilia per turbativa d’asta, e via furfanteggiando? Gli elettori si sono rivolti alle forze populiste e sovraniste come Lega Nord e  Movimento Cinque Stelle, poco o punto considerando la loro scarsa attitudine a governare. Sempre meglio gli inetti, hanno pensato, del governo delle lobbies finanziarie e imprenditoriali, della burocrazia corrotta e genuflesso all’Unione Europea.

Cose da Italiani 2. Mentre in tv spopolano le trasmissioni dedicate a miracoli e guarigioni, quasi sempre fasulli, e fa ottimi ascolti Tv2000, la rete della Cei, una piccola notizia confinata fra le ultime pagine dei giornali, prima che se ne impossessassero Le Iene, ci conferma che tutti questi presunti maghi, guaritori e guariti, non sono che dei pataccari. Paolo Catanzaro, un mistico di un paesino in provincia di Brindisi, che vedeva la Madonna ogni 24 del mese, viene indagato per truffa, abbandona le visioni mariane, si fa operare e diventa donna e gira pure un film, “Un nuovo giorno”, che deve essere un vero capolavoro del trash. Ma a lasciare sgomenti, ancora una volta, non sono questi lestofanti che vedono Padre Pio o Sant’Antonio, ma i decerebrati che li seguono.

Cose da italiani 3. Ma se davvero i politici posseggono tracce di coglionaggine nel loro dna, mi domando: c’è un politico più coglione di quello che si autodefinisce tale? Mi riferisco a Gianfranco Fini, ex leader di Alleanza nazionale, ex plenipotenziario del fantomatico Popolo delle Libertà, ex Presidente della Camera, e ora pensionato di lusso. L’ultimo atto della telenovela sulla casa di Montecarlo che ha stroncato la carriera di Fini lo hanno scritto i giudici. La casa fu venduta ad una società riconducibile alla moglie di Fini, Elisabetta Tulliani. E a pagare la casa fu Francesco Corallo, re delle slot machines di Roma e arrestato perché a capo di un’organizzazione criminale internazionale che riciclava denaro sporco. Insieme a Corallo, arrestato anche l’ex parlamentare di Forza Italia Laboccetta. Praticamente tutto ebbe inizio nel 2008, quando An, di cui Fini era Presidente, vendette una casa a Montecarlo a 300.000 euro ad una società caraibica riconducibile a Giancarlo Tulliani, genero di Fini. La casa era stata un lascito personale fatto nel 1999 ad Alleanza Nazionale dalla contessa con simpatie fasciste Anna Maria Colleoni. La casa, da Giancarlo Tulliani venne rivenduta ad un’altra società facente capo alla sorella Elisabetta, e qui interviene l’imprenditore Corallo. Insomma, un giro di soldi e di truffe nel quale sarebbe coinvolto anche il padre di Elisabetta, Sergio Tulliani. Infatti, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Corallo avrebbe versato ai Tulliani svariati milioni di euro in cambio di un decreto del Governo Berlusconi, di cui Fini era colonna portante, che favorisse le concessionarie delle slot machines di cui Corallo era il ras. La fonte è “Il fatto quotidiano”, che sostiene che anche Fini avrebbe avuto un ruolo importante in questa sporca faccenda, tanto vero che la Procura di Roma, allora guidata da Giovanni Ferrara, avrebbe aperto un’inchiesta su Fini, poi archiviata, e ciò perché Ferrara sarebbe stato chiamato ad entrare nel Governo Monti, come sottosegretario, governo sostenuto proprio da “Futuro e Libertà”, il nuovo partito fondato dal “coglione” prima della debacle. Ma al di là di queste ricostruzioni e dietrologie, resta il fatto che la famiglia Tulliani controllava un business davvero milionario, nonostante Fini all’epoca in cui lo scandalo venne fuori si affrettasse a smentirlo. Egli attaccò duramente gli organi di stampa e in particolare “Il Giornale”, allora diretto da Vittorio Feltri, denunciando come la cosiddetta “macchina del fango” fosse stata orchestrata da Berlusconi, di cui era diventato nemico, per farlo fuori dalla scena politica. I fatti ora dimostrano che non era così.  Ricordiamo che Gianfranco Fini, dopo lo scioglimento di Alleanza Nazionale, confluita insieme a Forza Italia nel Pdl, divenne il numero due di Berlusconi, ricoprendo importanti incarichi quale quello di Ministro degli Esteri. Gianfrà era il candidato naturale alla successione di Berlusconi stesso alla guida del centro- destra, se ad un certo punto non si fosse messo contro il leader, nella malcelata speranza di recuperare consenso a destra e simpatie a sinistra. Berlusconi gliela fece pagare, Fini fu espulso dal Pdl e fondò un piccolo partito, “Futuro e Libertà”, asfaltato alle elezioni politiche del 2013. Come dire che le miserie umane, la meschinità, l’ambizione, il rancore, le invidie personali, possono prendere il sopravvento sulla carriera politica. Ora il “coglione” vaga per i talk show pomeridiani che ogni tanto lo ospitano come opinionista. Quisque faber est suae fortunae. Davvero ciascuno si scrive da sé il proprio destino.

Aprile 2018

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LE MOLTE RAGIONI DI UNA SCONFITTA

Il grave errore della classe dirigente piddina è stato quello di ritenere che, nel nuovo ordine postindustriale e informatizzato, i desideri dei ceti medio-alti potessero diventare il motore del cambiamento, anche se effimeri, a volte velleitari. Li hanno voluti inglobare a costituire valori di riferimento, diventare norme.  Attraverso un mash up dei vecchi valori, centrifugati nel frullatore ideologico, complici gli opinion leaders, hanno partorito il pensiero nuovo, una nuova estetica che impone il punto di vista kaloskagathos agli sprovveduti, porta il verbo ai cercatori di senso, la salvezza ai naviganti nel mare magnum della transizione. E questo pensiero nuovo, che è il pensiero unico modernista riformista laicista, è in realtà un non pensiero, che passa attraverso il potentissimo canale dei social media.  Al non pensiero fa seguito il non fare, ovvero lo scalmanarsi per fare fare fare. Ma rottamare per rottamare, a vantaggio di un nuovismo di facciata, che non ha supporto ontologico, è un’operazione sbagliata nelle sue stesse premesse e alla fine suicida. Infatti, quello che abbiamo visto era allestimento, una disarmante messa in scena, la finzione del fare, vellicando solo la pancia del pueblo, un acciapinare per portare a casa un risultato purchessia, dare solo per dare, riforme di difficile attuazione, incomplete, se non impossibili da realizzare. La classe dirigente piddina si è espressa solo attraverso numeri e percentuali taroccati, slides, slogan vuoti di senso profondo. La narrazione ammannita dal Governo Renzi-Gentiloni era poco veritiera, addomesticata, truccata. Ma per l’eterogenesi dei fini, la loro propaganda miracolistica ha accresciuto il malumore e il pessimismo dei cittadini che hanno visto peggiorare quotidianamente le proprie condizioni di vita.

Del tutto trascurata poi, negletta, la questione morale, richiamata dal Presidente Emerito Giorgio Napoletano nel suo ultimo discorso a Palazzo Madama, in occasione dell’elezione del Presidente del Senato. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, a quanto pare, perché la dirigenza Pd ha dato comunque l’impressione che, nonostante la scoppola presa il 4 marzo, non si stia occupando di analizzare le ragioni della sconfitta ma soltanto di pianificare le mosse in vista del futuro congresso di partito. Invece di aprire un serio dibattito interno, una fascia minoritaria del partito pensa a come posizionarsi nello scacchiere politico di questa fase di transizione, lasciandosi addirittura irretire dalle offerte del Movimento Cinque Stelle, che vorrebbe governare col Pd, dopo averne detto peste e corna.  Mentre la parte maggioritaria, la cosiddetta ala renzista, invece di cospargersi il capo di cenere e cercare di non ripetere gli sbagli del passato, pare attratta solo dal desiderio di vendetta nei confronti del Movimento Cinque Stelle, a cui vorrebbe negare qualsiasi appoggio. Tattiche, insomma, ripicche, odio e vendette personali, in un assurdo teatrino della politica politicante che resta ancora il Pd nell’ “indietro tutta” del suo inesorabile declino.

Aprile 2018

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IL MESTIERE DEL TERRORISTA

“Sai quante torte 
con la lima che ho inghiottito 
per capire se 
Il nostro amore imbavagliato 
era piu’ forte di uno sparo 
eh….. 
Ma il nosto covo 
adesso non c’e’ piu’ 
ci han fatto sotto 
la fermata del bus”

(“Renato Curcio” – Francesco Baccini)

Ora anche l’oltraggio da parte dei Brigatisti Rossi, protagonisti di una stagione sanguinaria e terribile della storia d’Italia del Novecento. Mi riferisco alle dichiarazioni di Barbara Balzerani sul “mestiere della vittima”. L’ex Br, in occasione del quarantesimo anniversario della strage di Via Fani, ospitata presso il Centro Sociale Cpa di Firenze, ha pronunciato delle frasi deliranti riportate da tutti i media. Con estremo cinismo e in spregio ad ogni opportunità, la Balzerani ha farneticato che ormai quello della vittima delle stragi è diventato un mestiere. Anche quest’anno tutti gli ex Brigatisti Rossi sono stati invitati in tv ad esporre la loro versione dei fatti, oppure sono stati intervistati dai siti on line senza alcun contraddittorio. La Balzerani non si è mai pentita né dissociata da quella militanza. Nei suoi post su Facebook è irridente, sprezzante, lascia intendere non soltanto di essere fiera del proprio passato ma pure che rifarebbe tutto. Leggete in rete lo scambio di battute fra lei ed un altro ex Br, Raimondo Etro, il quale, essendosi invece pentito, redarguisce pesantemente la terrorista per le sue affermazioni poco rispettose. Ma non tutti gli ex Br purtroppo sono come lui, anzi Etro è un’eccezione. La Balzerani, ex “Primula Rossa”, rivendica, al pari di tanti colleghi, la scelta di campo. Ora, io dico, uno può rivendicare quello che vuole, ma trovo semplicemente vergognoso che a questi criminali venga offerta tanta visibilità e che essi siano ospitati ai convegni dove presentano anche i loro libri, come ha fatto la Balzerani al centro sociale di Firenze. È vero semmai il contrario di quanto affermato dalla terrorista,  perché sono stati gli ex Br che in tutti questi anni hanno tratto beneficio dalla loro posizione per costruirsi fortunate carriere. Pur scontando la loro pena, essi hanno ricavato grande vantaggio da quella esperienza di gioventù. Pensiamo solo a Renato Curcio, osannato e riverito da certa sinistra come grande intellettuale. “Vite riciclate che puzzano ancora di morte”, scrive “Libero” del 21 marzo 2018, “Dopo aver commesso tante ignominie con le mani, dovrebbero avere almeno la decenza di chiudere le bocche. E invece ce li ritroviamo ancora qui a blaterare”. A conferma di quanto affermato sopra, “Il Secolo D’Italia” on line, a proposito degli ex Br, nell’articolo intitolato Via Fani, la bella vita dei brigatisti rossi mai pentiti: spiagge, ristoranti e libertà,  scrive: “Mario Moretti, sei ergastoli, vive a Torino, aiuta gli altri detenuti a stare in cella ma soprattutto aiuta sè stesso a uscirne la mattina, avendo strappato da tempo il regime di semilibertà grazie a un comportamento ligio e gentile. In via Mario Fani, trentasette anni fa, quando furono uccisi cinque agenti e rapito Aldo Moro, Moretti si era mostrato appena appena più ruvido: lui era l’ideologo, il regista sul campo, l’esecutore materiale. Arrestato a Milano il 4 aprile 1981, dopo nove anni di clandestinità, Moretti nel 1987 ammise pubblicamente il fallimento della lotta armata pur senza mai dissociarsi né collaborare con gli inquirenti; anzi, quando nel luglio del 1997 ottenne la semilibertà, i giudici sottolinearono che il brigatista rosso ‘continua ad avere un atteggiamento altero’ e ‘solo a tratti’ ha dato la sensazione di  ‘provare compassione’ per il dolore causato alle vittime.

Anche Valerio Morucci, 37 anni fa, era in Via Fani, considerato il numero due di quello squadrone della morte che aveva dagli undici ai diciannove elementi: venne arrestato nel 1979 e condannato a diversi ergastoli, oggi è libero ma non è che sia poi così pentito. Nel 1985, durante il processo d’appello per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, si dissociò ufficialmente dalla lotta armata. Fu scarcerato nel 1994. Attualmente vive a Roma, dove lavora come consulente informatico. Nel 2008, giusto per farsi un’idea sul pentimento di questo ex Br, un articolo del quotidiano francese Le Monde titolò: «Valerio Morucci, brigatista ‘senza rimorsi’». Raffaele Fiore, invece, in via Fani, oltre a sparare e a uccidere, insieme a Mario Moretti estrasse dall’auto Aldo Moro e lo trasferì sulla Fiat 132 blu pronta a partire per il covo di via Montalcini. Dopo svariati omicidi, concluse la sua carriera criminale il 19 marzo 1979 quando venne catturato a Torino e condannato all’ergastolo. Non si è mai pentito e dal 1997 gode della libertà condizionale, confermata nel 2007. Franco Bonisoli fu invece quello che uccise, in strada, l’unico agente che riuscì a reagire: l’1 ottobre 1978 fu condannato all’ergastolo nel processo romano Moro-Uno, nel 1983 si dissociò e attualmente fruisce di un regime di semilibertà. […]

Ma la lista dei brigatisti che a vario titolo sono stati indicati come membri del commando di via Fani sarebbe lunga.  Ci sarebbe Alvaro Lojacono, cittadinanza italiana e svizzera, coinvolto anche nell’omicidio di Mikis Mantakas, autore anche dell’omicidio del giudice Tartaglione, che in Svizzera ha scontato solo 11 anni ed è uscito per buona condotta, nonostante una condanna della giustizia italiana all’ergastolo ed è da anni libero. Su Alessio Casimirri, latitante in Nicaragua e titolare a Managua prima del ristorante Magica Roma e poi della La cueva del Buzo (il covo del sub) perfino il Pd oggi, s’è mosso per chiedere iniziative del governo sul fronte dell’estradizione. Ma non servirà a nulla. E gli altri? Qualcuno è morto, come Prospero Gallinari, tanti sono liberi, Annalaura Braghetti, l’affittuaria della prigione di via Montalcini, si occupa di informatica, Adriana Faranda fa la fotografa,l’ideologo delle Br Renato Curcioche non ebbe però un ruolo diretto in via Fani perché già in carcere, tiene lezioni all’università come intellettuale.”

Che strano Paese l’Italia, dove tutti hanno diritto di parola e viva Dio.  Si potrebbe dire, “è la democrazia bellezza”, parafrasando la celebre battura di Humphrey Bogart sulla stampa. Vero, ma una democrazia che dà spazio a certa gente, è un pochino malata.

Maggio 2018

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TANTO TUONO’CHE PIOVVE

Che delusione, amarissima delusione. Alla fine i due fratelli coltelli, Giggino  e Matteo, hanno stretto quell’accordo che da più parti si paventava o auspicava. Vistisi alle strette, con il Presidente Mattarella pronto ad affidare l’incarico ad un Premier terzo, hanno preso il telefono ed hanno fermato tutto. E il Colle ha concesso loro un supplemento di tempo per presentargli una proposta decente di un governo la qualunque, e così il papocchio è servito. I Dioscuri, come sono stati ribattezzati dalla stampa, hanno trovato la quadra, direbbe Bossi, solo che il vecchio Senatùr non è affatto contento di questa soluzione, essendo egli restato fedele al Cavaliere. Che disdetta, terribile amarezza. Eppure avevo pensato davvero che il Lumbàrd potesse mantenere fede alle proprie parole e non rompere la coalizione di centro-destra con la quale è stato eletto. Non perché io nutra particolari simpatie per Forza Italia o Fratelli d’Italia, e nemmeno per la Lega, ma avrei voluto vedere alla prova del Governo solo Salvini. Infatti, fra i due mali venuti fuori dalle elezioni del 4 marzo, ho deciso da tempo di scegliere quello che ritengo minore. E fra populisti in salsa cinque stelle e populisti in salsa lombarda, optare per questi ultimi.  Chiaro che anche i margini per un governo del solo centro-destra non ci fossero. Quindi io speravo si andasse a nuove elezioni e, se proprio i Cinque Stelle dovessero stravincere, che essi governassero finalmente, per potersi così autodistruggere. Ma il papocchio no. E che dire del contratto di governo? Una barzelletta che sta facendo ridere, per non piangere, tutti gli analisti politici. Mattarella, più che notaio, becchino, si limita a ratificare questo insulso accordo sotto gli occhi strabiliati degli osservatori internazionali. Che Salvini si facesse prendere così per la collottola dal più giovane Di Maio, non lo avrei detto. Egli, leader scafato, maturo, certamente un po’ grossier ma con le idee chiare, dimostrava di essere all’altezza del ruolo che buona parte dell’elettorato italiano gli aveva assegnato, cioè quello di dare una svolta reazionaria, xenofoba, antieuropeista e sovranista a questo Paese, giusto per vedere l’effetto che fa, il tempo di una legislatura. Invece, Di Maio, con un mix di astuzia e capacità, è riuscito a gabbare il leghista e l’ha blandito, circuito, allettato, con le sue profferte, e alla fine se l’è messo nel sacco. Che brutta fine per la Lega Nord, che da primo partito di una coalizione potenzialmente vincente diviene costola del Movimento grillino. I pentastellati, a forza di balle, sono riusciti ad imbecherare gli elettori e anche l’establishment; da straccioni, anti sistema, refrattari ad inchini e riverenze, sono diventati delle star da copertina di riviste patinate, amici degli amici, da pezzenti descamisados a pezzi da 90, da giustizialisti ad ipergarantisti, e così va il mondo e prenditelainsaccoccia. Berlusconi ha sempre temuto questo accordo e negli ultimi tempi si era fatto malfidente nei confronti del giovane alleato. Ma si trovava in un vicolo cieco, che cosa poteva fare il vecchio leader? O muori adesso o più tardi, l’aut aut. Messo all’angolo da Salvini, doveva scegliere fra andare subito alle elezioni, con la quasi certezza che il suo partito si polverizzasse (non gli era ancora giunta la notizia della sua riabilitazione e conseguente rieleggibilità), oppure accettare un governo Cinque Stelle- Lega. Ha scelto anche lui il male minore, posto che la soluzione migliore, quella di mantenere unito il centro- destra, era ormai divenuta utopia. Magari il Caimano avrà trattato segretamente coi Cinque stelle, mediatore Salvini, per ottenere delle garanzie per le sue aziende e forse l’assicurazione che non si toccherà il conflitto di interessi. Di Maio si è lavato la coscienza con i suoi elettori perché può rivendicare di aver messo fuori Berlusconi. Ma non si capisce qual sia il tornaconto di Salvini. Farà parte di un Governo a trazione Cinque Stelle, sarà Di Maio a dare le carte, lui deve fargli da cameriere. Non ricorda forse la fine che ha fatto Fini? E quella che ha fatto Alfano? Spariti nel buco spaziotemporale, ricacciati nell’oblio. E inoltre, quanto dovrà cedere sul suo programma, visto che si tratta di un governo di compromesso? Ma pure Di Maio dovrà fare molti passi indietro rispetto alle dinamitarde dichiarazioni della campagna elettorale. Come farà a cambiare i criteri di nomina della Rai, visto che Salvini non la pensa allo stesso modo su questo punto? Ancor peggio, come farà a praticare la lotta dura alla corruzione e alla mafia stante l’ingombrante presenza di Berlusconi del quale Salvini si è fatto garante in cambio del via libera all’accordo?  Accetteranno gli elettori Cinque Stelle, già stufi delle incredibili capriole di Di Maio (che infatti è in leggero calo nei sondaggi), questo ulteriore compromesso al ribasso?  Ripeto, questa insalata russa del governo Di Maio-Salvini è un papocchio.   Quello che hanno saputo inventarsi è un contratto di governo che sembra un libro dei sogni, per la cui realizzazione è stato affidato l’incarico ad un anonimo e sciapito Premier passepartout, l’azzimato Giuseppe Conte. Non esistono ricette miracolose, si sa, ma si è rinunciato anche a quel minimo di aspettativa, magari beota, a quel tenue lumicino che in genere si accende in presenza di un cambiamento. Stavolta nemmeno vale la stolida speranza, sappiamo già come andrà a finire, è un copione già scritto, e l’acritica adesione degli elettorati Cinque Stelle e Lega al programma di governo, soltanto una sbandata collettiva, un miraggio che si dissolverà appena essi scenderanno dalla nave del viaggio di nozze. Mettere i piedi a terra sarà un brusco e traumatico risveglio.

Maggio 2018

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SATURA 13

I dioscuri. Chissà come prenderanno gli elettori della Lega e quelli dei Cinque Stelle questa accoppiata così trasversale, eterogenea, determinata soltanto da una smisurata brama di potere. Nonostante i numeri avversi, hanno pervicacemente insistito sulla necessità di governare, Di Maio aprendo e chiudendo forni, con chiunque e comunque, Salvini scaricando la sua coalizione che fino al giorno prima lo teneva in gran conto sostenendolo come leader indiscusso. Che brutta riuscita. Non so chi sia il reprobo fra i due, chi lo sia di più, intendo. Questa ipotesi di governo scontenta quasi tutti, sia la stampa vicina ai Cinque Stelle, come “Il Fatto Quotidiano”, sia i giornali vicini al centro-destra, “Libero”, “La Verità”, “Il Tempo” e naturalmente “Il Giornale”, che gridano allo scandalo. In effetti, il matrimonio blasfemo fra Cinque Stelle e Lega sa di diabolico, ma saranno contenti i vari opinion leaders, vicini ai due movimenti, che si sono smanicati per giustificare l’opportunità di questo pateracchio. Chi gongola è Renzi: orgoglioso di aver mantenuto il suo partito all’opposizione, ora potrà davvero stare alla finestra ad ammirare compiaciuto lo spettacolo tremendo che daranno Cinque Esse e Lega; il Partito Democratico, nel mentre quelli compiono disastri, avrà il tempo di riorganizzarsi. Un mix di furbizia, opportunismo, calcolo politico sbagliato, le motivazioni che hanno portato il panzer Salvini a questa scelta davvero deleteria non solo per il suo partito, costretto a fornire stampella a quello grillino, ma per il Paese stesso. Troppo distanti ma ugualmente fumosi i loro programmi, in campo economico. Ed ora addirittura riassunti, con sforbiciate di qua e di là, nel bignamino del contratto di governo, quello che il Premier in pectore, il signor nessuno Conte dovrà attuare. Sapranno difendere i Fondi Ue che sono l’ultima speranza per il Sud, come tutti gli economisti vanno ripetendo?  Il problema è davvero enorme perché la previsione di bilancio Ue è quella di grossi tagli, fra il 5 e il 7%, dei Fondi di Coesione. Questi tagli penalizzerebbero in massima parte il Sud. Tra Fesr (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), FSe (Fondo Sociale Europeo), Feasr (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Rurale), Garanzia Giovani e Fondo per la Pesca, sono concentrati ben 42,6 miliardi di Fondi, una bella boccata di ossigeno, al di là degli orribili acronimi, per lo sviluppo del nostro Paese; di questi dovrebbero essere tagliati tra 2,1 e 2,9 miliardi. Il Governo però ha il dovere di opporsi, perché questi soldi sono la principale fonte di investimento per il Sud, come ribadisce il direttore dello Svimez, Luca Bianchi, dalle pagine del “Messaggero”, 5 maggio 2018. Più che puntare sul reddito di cittadinanza, i Cinque Stelle, per dare una mano alle regioni meridionali, dovrebbero implementare i servizi, contare sul miglioramento dei trasporti, perché si sa che il nodo infrastrutturale è quello che può risolvere il gap che penalizza le nostre aziende, insieme a quello fiscale, abbassando le tasse e prevedendo delle “no tax area” per le zone svantaggiate. Il disagio sociale si può contrastare dando servizi migliori, dalla sanità alla scuola, più appoggi alla genitorialità, lotta più accanita alla criminalità, e non attraverso inutili elargizioni ai senza lavoro. Ma sperare di ottenere qualcosa dal governo insalata russa credo sia inutile. Il panorama politico è desolante. Le altre forze in campo sono al boccaglio dell’ossigeno. Forza Italia e Pd scontano una crisi di consensi come mai prima d’ora, sono fermi in una mancanza di ricambio, di idee, penalizzati da leader che hanno cannibalizzato i loro stessi partiti. Fratelli d’Italia, pur essendo una forza nuova guidata da una capace leader, stenta a livello di consensi, e le forze dell’estrema sinistra sono talmente minoritarie e inconcludenti che elemento di novità appare la lista transnazionale di Luigi De Magistris, Lorenzo Marsili e Yannis Varoufakis, sulla falsariga della fallimentare Lista Tsipras di qualche anno fa. Ma se davvero Forza Italia e il Pd, come sembra, sono destinate a frantumarsi, la colpa sarà delle classi dirigenti che non hanno saputo imprimere una svolta e soprattutto, concordo con quanto scrive Luca Ricolfi su “Il Messaggero” 21 aprile 2018, per la loro incapacità di essere una vera destra e una vera sinistra. Ora dobbiamo tenerci Di Maio e Salvini.

Arnold strong man.  Schwartzy non fare scherzi. Ci teniamo a te. Il celebre attore è stato ricoverato d’urgenza al cuore il 31 marzo in una clinica della California. Tutti amano Arnold Schwarzenegger, che ha fatto una lunga strada da quando a fine anni Sessanta giunse negli Stati Uniti dalla nativa Austria, inseguendo il suo sogno di muscoli e gloria.  Di fatto si deve a lui la grande esplosione del Body Building, uno sport di nicchia, prima che Mister Olympia lo rendesse celebre grazie alla sua fama planetaria. Il successo nello sport gli dischiuse le porte del cinema, all’inizio col cognome di Strong, data la difficoltà di pronuncia del suo cognome originale. Da “Ercole a New York” a “Yado”, passando per i due formidabili episodi di “Conan”, la sua carriera è stata una inarrestabile sequenza di successi, più commerciali che di critica. Da “Terminator” a “Total Recall”, ha inanellato una lunga teoria di sold out ai botteghini, realizzando incassi stratosferici, poi reinvestiti in altre attività.  Schwarzenegger, insieme a Stallone, ha rappresentato plasticamente il primato degli Stati Uniti in the world e soprattutto in un periodo in cui, stante ancora la guerra fredda, il mito a stelle e strisce aveva bisogno di puntellarsi su certe basi, di riconoscersi in testimonial solidi, popolari, universalmente riconosciuti. Un’icona, non è abusato questo termine se usato per lui, dell’american dream, del machismo, della tenacia. Anche Governatore della California, dal 2003 al 2011, poi è tornato al cinema. Schwartzy, uno dei più grandi imprenditori al mondo, creativo, multiversato, sempre alla ricerca di nuove esperienze, è l’emblema della “Wille zur macht” nicciana, la volontà di potere del self made man che però, a differenza di Donald Trump, è temperata da profonda cultura, che invece manca al tamarro col riporto.

Crazy world . Si stanno diffondendo anche in Italia le chat anoressiche delle ragazzine che vogliono morire. Si tratta di ragazze di 13, 14, 15 anni. In pratica, una già in anoressia si presta a fare da personal coach ad un’altra che ci vuole entrare. La coach pro ana, come viene chiamata dagli studiosi, prende in affidamento la sua coetanea, che si vede brutta e grassa nei suoi 50 chili, e la conduce attraverso un rigidissimo regime alimentare, a dimagrire, arrivando a pesare 38, 30, perfino 20 chili, fino alla morte. Terminato il suo compito, se nel frattempo non è defunta lei, ne prende in consegna un’altra e la motiva a dimagrire, la sprona a non guarire, la convince di aver fatto la scelta giusta e quella si avvia contenta all’autodistruzione.

A Napoli, è noto come le imprese funebri in mano alla Camorra si spartiscano gli utili e stazionino al Cardarelli e negli altri grandi ospedali della città, davanti alle camere mortuarie, in attesa dei defunti, dividendosi equamente i funerali. In Sicilia, si va anche oltre, e a Catania i malati vengono addirittura uccisi per essere consegnati alle pompe funebri in mano alla Mafia. Le cosche si affidano a infermieri e barellieri compiacenti i quali, quando si trovano nell’ambulanza che trasporta i malati gravi o terminali in ospedale o a casa, iniettano nelle loro vene dell’aria con un’agocannula per farli morire prima. Appena giunti i malati, ormai cadaveri, in seguito ad embolia gassosa, ecco l’impresa funebre, già pronta ad occuparsi delle esequie, dopo aver elargito una cospicua mancia al complice. 

A Sanremo, un giovane alcolizzato e tossicodipendente, stanco dei rifiuti della madre alle sue continue richieste di soldi, la picchia barbaramente e la mette persino al guinzaglio portandola in giro per la casa, sotto gli occhi esterrefatti degli altri famigliari.

La ludopatia è uno dei mali di questo paese, la febbre dell’azzardo ha contagiato tutti. Addirittura nelle Marche c’è una cittadina nel Fermano, Porto San Giorgio, che detiene il record di 2700 euro a testa per un totale di 43 milioni all’anno in slot. L’azzardo è davvero una grande piaga, perché è intrecciato sempre con la malavita. Le grandi sale di bingo e slot sono gestite dalle organizzazioni criminali attraverso i piccoli imprenditori locali che ne fanno da testa di ponte e questi ritrovi sono spesso anche piazze di spaccio perché dove si creano concentrazioni di adolescenti, giovani e giovinastri persi dietro alla loro deriva, si annidano anche gli sciacalli che gli vendono la roba. Dunque un circolo vizioso, che porta solo danni a questa delirante e confusa società. Che pazzo mondo!

Maggio 2018

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SATURA 14

“È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato…”

(“Una notte in Italia” – Ivano Fossati)

Attenti ai mercati! Mato matto Mattarella!! Da gabbiano a falco nel tempo di un giro di consultazioni.  Il più freddo e distaccato interprete del rigore quirinalizio, imbalsamato nel protocollo, ingessato in un ruolo notarile che poco o niente concede a soprassalti emotivi, di colpo trasforma il suo settennato in uno dei più politici che ci siano stati. Il nipote di Mr Spock, il vulcaniano della serie fantascientifica “Star Trek”, data la sua imperturbabilità, ecco che l’altra sera spiazza tutti mandando a carte 48 il Governo Di Maio-Salvini. Con il suo passo felpato, la sua facies sempre uguale, che non tradisce nessuna emozione, manda all’aria mesi di false trattative, veti incrociati, falsissimo febbrile impegno dei due leaders dioscuri. Confesso di aver accolto con un sospiro di sollievo l’intemerata mattarelliana, poiché del tutto sgradita mi era l’ipotesi di una accozzaglia giallo verde, anzi russa, come l’insalatona che, se ci si abbuffa, procura una colossale indigestione.  Poi, però, ragionando su quanto accaduto con la dovuta lucidità, mi sono reso conto che Mattarella l’aveva fatta grossa, precipitando il Paese nel baratro di una campagna elettorale infinita. A dire il vero, il Mato matto Mattarella le ha sbagliate proprio tutte, ha gestito malissimo la grave crisi istituzionale, definita crisi di sistema. Ha interpretato in maniera estensiva l’art. 92 della Costituzione, attribuendosi una discrezionalità esagerata. E lo ha fatto in nome della difesa dei risparmiatori e della coesione europea, ufficializzando in questo modo quanto già risaputo, ossia che l’Italia è ostaggio dei poteri forti, della mostruosa concentrazione finanziaria intellettuale burocratica che governa l’Europa. La stabilità dei mercati è solo il paravento per nascondere il diktat della Ue, è la Troika il vero artefice dell’affondamento del governo Cinque Esse-Lega. Ora Mattarella affida l’incarico a Carlo Cottarelli, proprio per tranquillizzare la Ue. Ma non poteva passare la palla al governo tecnico per poi sciogliere le Camere molto prima?  Era evidente dal 4 marzo che non ci sarebbe stata nessuna possibilità di governo, che le forze politiche risultate maggioritarie avrebbero fatto melina, tutti sapevamo che quello che si stava tenendo era solo un patetico teatrino cui erano costretti ciascuno a vario titolo dal proprio ruolo. Ogni attore di questa tragifarsa stava recitando, come i litiganti televisivi al tribunale di Forum. Ora il popolo italiano è veramente stufo e i Cinque Stelle hanno buon gioco a gridare al colpo di Stato. E non solo i Cinque Stelle, ma anche Fratelli d’Italia e alcuni senatori del Gruppo Misto vogliono l’impeachment. I mercati sono precipitati e la conseguenza di questa impasse è la volata dello spread, schizzato subito ben oltre i 200 punti, quella che viene definita la soglia critica di attenzione. Un finimondo! Ora come saranno tutelati i risparmiatori italiani? E che succederà se, a causa dell’aumento dello spread, saliranno tutti gli interessi, come già sta accadendo? Chi pagherà i mutui, le polizze, su chi peseranno tutti i rincari che dobbiamo aspettarci, se non sulle nostre spalle somaresche? Con chi ce la prenderemo se le agenzie internazionali taglieranno il rating e saremo declassati al livello della Grecia? Bel risultato, il pateracchio mattarelliano. Ohi!!

A dirla tutta, Di Maio e Salvini hanno tirato troppo la corda. Ad un certo punto, hanno dimenticato che stavano recitando, si sono calati troppo nella parte. E l’irritualità di questa fase deve aver irritato non poco Mattarella, uomo della prima Repubblica, così come certe modalità troppo beceromoderne quali le gazebarie della Lega e il referendum on line dei Cinque Esse sul contratto di Governo. E lui, l’altra sera, ha deciso di buttar via aplomb, imparzialità, buone maniere, grigio rigore, e far saltare il governo dei populisti che già gli stava sulle balle. C’è chi giura di aver sentito nelle stanze del Quirinale il fantasma di Cossiga esultare e chi riferisce che lo stesso Napolitano dall’ospedale in cui è ricoverato abbia chiamato il collega per complimentarsi e per passargli lo scettro che si è guadagnato sul campo. Da re Giorgio e re Sergio.  Mattarella si è assunto una responsabilità troppo grande rendendo evidente la sudditanza dell’Italia a Francoforte.  Ora, scrive certa stampa, la democrazia sembra davvero un bluff, l’Italia un paese a sovranità limitata. L’è tutto da rifare.

Il dubbio.  Il rogo di Centocelle fa piangere la politica. Certo, è un orrore senza fine. Nel campo rom sono morte bruciate tre bambine di 18, 8 e 4 anni, che vivevano insieme al resto della famiglia, 10 persone, nel camper che è stato preso di mira dal bastardo assassino.  Ma sarebbe più utile se la politica, invece di litigare solo per ragioni elettorali, si ponesse il problema dei furti, delle rapine, della escalation criminale, della mancanza di sicurezza che avvertono i cittadini, della sporcizia e del degrado in cui vivono i rom nei loro fetidi campi, latrine d’Italia e d’Europa, e si decidesse ad emettere provvedimenti seri ed efficaci. Si possono decidere arresti di massa della infesta genia, tipo Progrom, o chiusure immediate dei campi? Non lo so. Il problema è che questi si moltiplicano, crescono sempre di numero e lasciano danni dovunque vadano, un po’ come le scorie radioattive. Ma non si può mica impacchettarli e spedirli su Marte! Chi si deve muovere ed è pagato per risolvere i problemi, lo faccia.

Grazie Roma La spazzatura a Roma è diventata talmente ingombrante che oscura tutto il resto. L’Urbe affoga nei rifiuti e la Lega attacca la Sindaca Raggi, obbiettivamente incapace di fronteggiare la situazione. La Lega e Fratelli d’Italia sparano sulla Sindaca per prendere voti, ma i problemi sono reali. L’Ama è in tilt. La Raggi si divincola fra accuse incrociate, i cittadini fra topi e pantegane.

Maggio 2018

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NAPOLI SILENZIO E GRIDA

“Stanca, rassegnata, innocente, invasata
Nuda, svergognata, tradita, condannata
Ma è la mia città
Sporca, avvelenata, incivile, incendiata
Sempre affollata, devota, ammutinata
Ma è la mia città”

(“La mia città” – Edoardo Bennato)

A Napoli, tre ragazzi, definiti dal Questore “un branco di lupi”, hanno aggredito ed ucciso un vigilante, Francesco Della Corte, “colpevole” soltanto di svolgere il proprio lavoro. I tre minorenni, presso la stazione metropolitana di Piscinola, hanno confessato l’omicidio senza mostrare nessun segno di pentimento. Volevano rubargli la pistola d’ordinanza per rivenderla al mercato nero e di fronte alle resistenze del vigilante lo hanno trucidato con un bastone, infierendo anche sul cadavere. Il problema delle baby gang a Napoli è diventato urgente quasi quanto quello della Camorra, anche perché i piccoli criminali usano gli stessi metodi dell’organizzazione malavitosa. Il Ministro dell’Interno Minniti ha risposto incrementando il numero delle forze dell’ordine, istituendo 10 distretti di polizia nelle zone maggiormente a rischio, – Pomigliano D’Arco, Casalnuovo di Napoli, Volla, Casoria, Scampia, ecc. -, e con un programma di “tolleranza zero” nei confronti delle squadre di baby criminali, come quelli che in dicembre hanno sfregiato lo studente Arturo, nella centralissima Via Foria. Napoli è ogni giorno agli onori delle cronache per fatti negativi, casi di nera, di morti violente, droga, corruzione, contrabbando. È sempre stato così. Ma l’iperinformazione oggi penalizza maggiormente la città, che da questa sovraesposizione mediatica trae solo cattiva pubblicità nel mondo. I tanti casi di delinquenza minorile, la dispersione scolastica, il racket del pizzo che soffoca la libera impresa, gli episodi di malasanità, lo scempio urbanistico, la lentocrazia degli uffici pubblici, l’assenza dello Stato, specie in certi rioni, tutto ciò ha finito per far passare in secondo piano “l’oro di Napoli”, per dirla con Marotta, per oscurare quello che di buono c’è in questa grande e splendida città. Una città che è un microcosmo, coacervo di spinte centrifughe e centripete, mix di impareggiabile bellezza artistica e paesaggistica ed incorreggibile degrado, cuore grande, generosità e ospitalità, e sconforto dell’abbandono e dell’incuria, amore e odio, ragione e sentimento.  “Il Continente Sud, il più antico Deep South del mondo”, scriveva Aldo Bello negli anni Settanta, “concentrato nel ventre di una metropoli che può esplodere da un momento all’altro, con la sua fame che è un dato permanente della storia, con la rabbia inespressa, con la miseria elevata a sistema, con la tecnica aberrante dell’assistenza pubblica e privata che nega ogni diritto al cittadino, con le cosche politiche pronte a muovere le masse secondo il proprio tornaconto”. E ha voglia il Sindaco De Magistris a gridare che oggi le cose si sono invertite. Purtroppo “Il Mattino” (nel senso del quotidiano, fondato nel 1892 da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, il più antico e prestigioso del Meridione, oggi diretto dal leccese Alessandro Barbano) non porta “l’oro in bocca”, secondo il noto detto popolare, ma notizia la città dell’ennesimo scannamento, dell’ultima bomba esplosa, del millesimo atto intimidatorio da parte della camorra, di arresti eccellenti fra notabili e faccendieri, della milionesima retata della Guardia di Finanza o dei Carabinieri. Ancor peggio: apri e leggi di un ventenne arrestato a Scampia per spaccio di eroina e crac, oppure di una diciottenne a Procida arrestata per spaccio di hashish. La situazione è inquietante; dal Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, Lucio D’Alessandro, viene addebitata alla rabbia sociale e alla deprivazione della speranza che vivono le periferie urbane del Napoletano, vuote di stimoli, di segnali di sviluppo, di occasioni di aggregazione (“Avvenire”, 17 gennaio 2018). Luci ed ombre: è la dicotomia che ha sempre caratterizzato la metropoli partenopea, dicotomia oggi più che mai emblematica di un presente selvaggio, svangato, in cui le ombre hanno preso il sopravvento e lo skyline della città è oscurato da una fosca nuvolaglia che si addensa minacciosa, incombente.  Forse quello che presenta Napoli come città di contrasti non è soltanto uno stereotipo, è cosa vera. Cioè, il male è talmente consustanziale alla città che sembrerebbe che essa non possa farne a meno, per ritrovarsi buona, forte, solidale. Forse cioè, v’è bisogno della Camorra, del sangue sulle strade, delle faide e delle connivenze, insomma del cuore nero della città, perché si possa sentire battere anche l’altro cuore. “ Dateci una guerra”, sembra voler dire la parte buona della città, usando le parole di Carlo Bernari, “ dateci una rivoluzione, un’eruzione, un colera, e vi si fa vedere se siamo o non siamo un popolo unito, che dico popolo, una famiglia, una ciurma ammutinata… ma ci occorre un pericolo contro cui batterci”.

Giugno 2018

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LA MACEDONIA AVARIATA

Come è noto, e come ampiamente previsto, le elezioni del 4 marzo 2018, anche a causa di una legge elettorale barbina, il Rosatellum, hanno lasciato l’Italia nell’ingovernabilità, non avendo consegnato la maggioranza a nessuno dei partiti in campo. “La situazione politica non è buona”, canta Adriano Celentano. Sappiamo bene come le due forze maggioritarie abbiano poi, dopo mesi di estenuanti trattative, trovato “la quadra”, per dirla con il vecchio Bossi. Maggioranze possibili, maggioranze impossibili, maggioranze variabili e maggioranze futuribili, maggioranze di minoranza e minoranze di maggioranza. Sergio “allegria” Mattarella ha dovuto pattinare sul ghiaccio come Ondrej Hotarek per venirne a capo, sciare fra le piste meglio di Alberto Tomba per dare a questo Paese una alternativa di governo, uno scarabocchio di maggioranza, un bigmamino di legislatura, che alla fine è arrivato, nelle fattezze lacero contuse del governo giallo- verde. Sappiamo infatti che entrambe le forze in campo sono movimenti populisti e sovranisti. Nessuna sorpresa, in quasi tutta Europa hanno vinto le forze anti establishment e l’Italia non poteva fare eccezione. Il problema è che il principale partito anti casta nel nostro Paese è appunto il Movimento Cinque Stelle, ossia il peggio del peggio, e che questo movimento di accattoni, becero comunisti, si sia alleato con la Lega (fu Nord), che invece storicamente è stata vicina alle aziende e al comparto produttivo del Paese. Che cosa poteva venir fuori da un accordo firmato con un “contratto di governo”, se non il guazzabuglio che è sotto gli occhi di tutti? Mai nessuno avrebbe pensato di vedere un giorno Five Stars e Lumbard governare insieme, se non a costo di neutralizzarsi reciprocamente, come Eteocle e Polinice sotto le mura di Tebe.  La Lega in questo Parlamento è la forza politica più vecchia, essendo nata nel lontano 1987, mentre il Movimento Cinque Stelle è la più giovane, avendo poco più di dieci anni di vita. Cambiano i bacini di utenza dei due partiti. Quello della Lega è il centro nord, più attento a certi temi, come la sicurezza, l’abbassamento della pressione fiscale, la sburocratizzazione dell’apparato amministrativo. Quello dei Cinque Stelle è il sud, sensibile all’assistenzialismo, alla protezione, nelle sue fasce più deboli, e alla conservazione, nei suoi ceti più alti e parassitari. Come ha fatto la Lega nel centro nord, sostituendosi alle vecchie gerarchie politiche nel gradimento del ceto medio produttivo, così i Cinque Stelle nel sud, nel gradimento dei potentati locali, avversi al nuovo ma gattopardescamente pronti ad abbracciarlo, e nella massa dei sanculotti, fatalmente attratti dalle dazioni gratuite.  Due offerte alternative, non coincidenti. Chiunque sapeva che il loro sarebbe stato il bacio della morte, una reciproca carneficina di Liegnitz, come quando si scontrano due mali di pari portata, in una ecatombe finale per il Paese.  Come potevano conciliarsi, infatti, i due cavalli di battaglia elettorale, cioè la flat tax dei bauscia leghisti e il reddito di cittadinanza dei pauperisti pentastellati?  Invece, quello che era nelle più fosche previsioni degli analisti politici si è verificato. Giggino Di Maio e Matteo il lumbàrd hanno stretto un accordo che nemmeno il diavolo con l’acqua santa. Il risultato è un ircocervo, una fusione a freddo, basata solo sulla legge dei numeri, una governance ottriata, potremmo dire, ossia calata dall’alto. Ciò non solo perché i bacini elettorali dei due partiti sono diversificati anche geograficamente, ma perché diametralmente opposte sono le posizioni sull’amministrazione della giustizia: forcaioli i grillini (manettari per tutti, tranne quando si tratta di loro stessi), garantisti i leghisti (che in ciò hanno fatto propria la battaglia berlusconian mafiosa forzitaliota). Distinti e distanti, non solo nella ricetta economica, ma anche per quanto riguarda l’ambiente, unico tema apprezzabile dei Cinque Stelle, i quali invocano maggiore attenzione alle fonti da energia rinnovabile e l’uscita dell’Italia dai combustibili fossili entro il 2050, mentre la Lega se ne sbatte. Diversa la loro visione in politica estera: Salvini guarda all’est, ai paesi di Visegrad, in particolare alla Russia, puntando a diventare, se non un Orban raddoppiato, almeno un Putin dimezzato. Di Maio invece guarda a Trump, col quale si sente in connessione sentimentale, facendo propria la pluriennale tradizione filoamericana del nostro Paese. E quanto siano diverse le loro visioni in politica estera lo stanno dimostrando anche in questi giorni con riferimento alla situazione venezuelana, avendo assunto due posizioni opposte rispetto all’ex Presidente Maduro. Siamo in uno scontro permanente, insomma, fra le due forze di maggioranza, un bellum omnium contra omnes, che oltre ad esautorare il Parlamento nella sua funzione fondamentale, ha fatto precipitare i mercati e la già sfilacciata credibilità del Paese agli occhi del mondo. Di Maio in peio, si Salvi(ni) chi può! Povera Italia.

Aprile 2019

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 IL GUAZZABUGLIO

Che pagliacciata. Ricordate le estenuanti trattative fra le varie forze politiche, all’indomani delle elezioni del 4 marzo 2018, alla ricerca di un impossibile accordo di governo? Tutto sembrava essere perduto, nel senso che nessuna delle forze in campo avrebbe potuto costruire una pur risicata e risibile alleanza di governo, nemmeno i due partiti che avevano guadagnato la maggioranza relativa, ossia Lega e Movimento Cinque Stelle. Invece, alla fine, il governo pateracchio si è fatto. “Gigino Gigetto stanno sul tetto, vola Gigino, vola Gigetto, torna Gigino, torna Gigetto!” E Gigino e Gigetto, ovvero il Cretinetti di Pomigliano, “Giggino” Di Maio, e il Bauscia di Milano, Matteo Salvini, hanno deciso di giocare l’ultima carta, quella della disperazione, e dopo tre mesi di prove tecniche di governo, tipo “oggi le comiche”, hanno deciso che si erano divertiti a sufficienza, ed era tempo di governare. Quindi, scesi dal tetto di Palazzo Chigi, dove Gigetto Matteo amava scaricare la tensione col parkour, mentre Gigino Di Maio lo riprendeva col telefonino, i due bimbiminkia hanno trovato il filo di una impossibile “convergenza parallela”.  Togli Savona metti Savona, prendi Cottarelli togli Cottarelli, sposta Conte riprendi Conte, togli Mattarella rimetti Mattarella. Ma sono proprio Italieni!  E se la squadra di governo non va bene ai boiardi europei, chi se ne frega! E la Meloni e “Fratelli d’Italia”? Prima entra nel governo, poi no, ma vota la fiducia, anzi non vota nemmeno la fiducia, astensione, anzi opposizione! Ma siccome la sindrome da accerchiamento contagia tutti, ecco che lo stesso Mattarella si rimangia il suo no, pronunciato in un primo momento all’ipotesi di accordo Lega-Five Stars, e alla Troika europea fa sapere “non possumus, non debemus, non volumus”, come disse il Papa Pio VII a Napoleone che voleva prendersi lo Stato Pontificio, e dà il via libera al governo papocchio che poche ore prima aveva bocciato. Viene riesumato il Signor Nessuno Conte, dalle stelle alle stalle e ritorno, il tempo di uscire dalla naftalina ed eccolo pronto a varare l’inciucio grillin- leghista. Di Maio ha capito che questa sarebbe stata l’ultima occasione per lui, e così anche Salvini, il quale ha dovuto dare il bacio della morte al giovane ex disoccupato pentastellato, raffigurati entrambi mentre teneramente limonano dall’anonimo street artist romano, ovvero il Bansky de noantri.  Gigetto Matteo, non potendo più tirarsi indietro, non trovando vie di fuga, yahoo answer non gli rispondeva, ha dovuto mandar giù la melassa, anzi la (di)maionese avariata del guazzabuglio. Trending topic: #andiamoagovernare!  Tutti a Roma! Ma a Roma hanno ormai sostituito da un pezzo la sigla latina SPQR (Senatuspopulusqueromanus) con “siamo proprio quasi rovinati”. Ma neanche tanto “quasi”: siamo proprio rovinati, anzi siamo nella merda!

Aprile 2019

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