Dall’anfiteatro di Taranto al Progetto AnfiTar

di Francesco D’Andria

E’ lecito, a questo punto, l’auspicio che, nei tempi più rapidi, sia possibile incontrare il Sindaco, gli amministratori della nostra città e della Regione, la Soprintendente, per presentare loro una bozza del Progetto che, insieme a Grazia Semeraro, abbiamo preparato, per uscire da una discussione che ha visto la partecipazione di rilevanti personalità della cultura e della politica, ma che necessita ora di un approdo nella concretezza.

Abbiamo anche il nome del Progetto: AnfiTar. Esso si compone del prefisso Anfi, di anfiteatro (dal greco αμφι- che significa doppio, che si osserva da una parte e dall’altra come questo edificio, formato da due teatri contrapposti) e dalle prime tre lettere del nome di Taranto, come metafora di una città contemporanea che si rispecchia nel suo doppio di metropoli dell’Antichità, dalla quale può ricevere nuove e salutari energie.

Infatti non è possibile comprendere la realtà di Taranto senza misurarsi con un ricorrente concetto di bipolarità: un limite ed una contraddizione, ma anche uno straordinario serbatoio di significati e di senso. La città, bimare, sorge tra il Mar Piccolo ed il Mar Grande e lo stesso Mar Piccolo è diviso nei due seni; Taranto Vecchia (Paleopoli) si contrappone a Taranto Nuova (Neapoli); nella stessa città vecchia il fronte sul Mar Piccolo, con le case popolari, presenta un carattere totalmente diverso da quello sul Mar Grande, caratterizzato dalla sequenza dei palazzi pubblici. Due isole, S. Pietro e S. Paolo, chiudono la grande insenatura sulla quale essa si affaccia. Ed anche nelle tradizioni religiose, tra le più radicate, sono due, Cosimo e Damiano, i santi medici ai quali i tarentini si rivolgono per la grazia della guarigione, così come in antico invocavano i gemelli Castore e Polluce, i Dioscuri, che i coloni spartani avevano portato dal Peloponneso nelle loro colonia, unica sul suolo d’Italia.

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