I cognomi di Nardò

Che questo libro abbia un destinatario “corale”, lo hanno capito bene le autorità locali, che, nelle persone del sindaco Antonio Vaglio, dell’assessore comunale alla cultura Carlo Falangone, e del già assessore comunale alla cultura Marcello Risi, hanno prestato la loro penna con tre “Premesse”, nelle quali riconoscono l’importanza del “Dizionario” come opera fortemente identitaria e fondamentale per la conoscenza della storia di Nardò. Il volume, non a caso, si pubblica con il contributo del Comune di Nardò e con la collaborazione della Farmacia Manieri-Elia e De Cupertinis di Nardò, del dott. Luciano Barbetta e del Centro studi “Hic et nunc” della medesima città.

Nell’ “Introduzione” gli autori rendono esplicito l’intento del loro faticosissimo lavoro, che è “di offrire elementi di conoscenza sia della storia delle famiglie di Nardò nel loro formarsi e nel loro perpetrarsi [sic] anche sul piano cetuale e abitativo lungo il ‘700, che riteniamo il secolo in cui si sia nella quasi totalità consolidata la struttura linguistico-morfologica dei cognomi; sia dell’etimologia dei cognomi…” (p. 11).

Segue uno saggio firmato da Mario Mennonna, “La Nardò settecentesca” (pp. 13-44), nel quale l’autore ricostruisce l’assetto socio-economico e politico, il ruolo della Chiesa, l’evoluzione demografica e la suddivisione cetuale della città, dal terremoto (si ricordi che il 20 febbraio 1743, alle ore ventitrè, il terremoto fece a Nardò circa 115 morti) al catasto onciario (1750), fino alla fine del secolo.

Si passa poi alla “Indicazione metodologica”, a cura degli autori, che ricostruiscono sommariamente la storia del cognome, la quale data all’incirca dal Basso Medioevo: “In effetti la doppia denominazione, cioè il processo di consolidamento del cognome, parte dal sec. XI. Questo nasce per esigenze giuridico-sociali ed economiche al fine di garantire la trasmissione della proprietà tra padre e figlio…” (p. 46). Il consolidarsi delle forme cognominali avviene non prima del XVI secolo, quando la Chiesa tridentina ordinerà ai sacerdoti di tenere i Registri parrocchiali (1577/78) dei battesimi, dei matrimoni e delle morti (questa ricerca si fonda soprattutto sullo scrupoloso studio di queste fonti).

Il XVI secolo: “una tappa, scrivono gli autori, che, tuttavia, non garantisce la definizione del cognome, in quanto, per la presenza di persone incolte anche a livello di clero, sia a livello orale di pronuncia sia a livello grafico di trascrizione, subisce diverse variazioni provenienti da forme dialettali, e, spesso, da interpretazioni soggettive dell’amanuense”. Cosicché giustamente gli autori concludono: “Non si erra se si afferma che se le vicende storiche erano determinate dai nobili o, più genericamente, dai “maggiori”, la formazione dei cognomi rappresenta quasi una rivincita dei “minori”, degli incolti cioè, che continuamente fino agli inizi del secolo XIX hanno elaborato formazioni, trasformazioni e ricomposizioni di cognomi tramite errori di pronuncia e di scrittura” (p. 47); hanno stroppiato i cognomi, direi io più semplicemente. Sono gli ipercorrettismi: es.: Cavallo / Caballo /Cabaldo.

Lungi da me l’idea di riprendere la dotta morfologia ed etimologia dei cognomi dispiegata dagli autori. Fin troppo dotta a volte, considerato il gran numero di termini specialistici usati, alcuni addirittura coniati per l’occasione (“aftonico, euteleutico, ergonimo” p. 52: v. “Glossario”, pp. 56-60: per fortuna!). Dirò solo qual è la loro tesi centrale, che ha informato l’intero lavoro: “La nostra proposta interpretativa trova il fondamento nella convinzione… che non pochi cognomi derivino dai nomi di persona, paterni e materni o, comunque, possano anche a questi ultimi essere riportati (es.: Bello da Giacobello, a sua volta da Giacomo / Giacobbe; Milano da Miliano, a sua volta da Emiliano; …)” p. 50, mentre la restante parte deriva da caratteristiche fisiche, luoghi, mestieri, ecc. Naturalmente, lascio agli specialisti l’onere di apprezzare questa tesi. Al “Dizionario”, infine, segue un’ “Appendice”, che arricchisce il lavoro di nuovi materiali.

Voglio chiudere questa recensione con un forma di contrappasso per analogia per nulla malvagio. Ai lettori piacerà sapere il significato etimologico dei cognomi di coloro che si sono sobbarcati questa immane fatica: scrivere un dizionario non è una cosa facile: ci son voluti quindici anni, come racconta Mennonna nella “Postfazione” (p. 523). Ebbene, Antico significa “potente come Dio”; Manieri “forte nell’esercito” (si veda ad vocem); e Mennonna? Mi dispiace, Mennonna a quanto pare non ha antenati neretini, non nel ‘700, e dunque…?

[I cognomi di Nardò (recensione a Giuseppe Antico, Antonio Fernardo Manieri e Mario Mennonna, Nardò: i cognomi delle famiglie del 1700. Dizionario storico-etimologico, Congedo Editore, Galatina, 2010), “Il Paese Nuovo” di martedì 22 giugno 2010, p. 7; poi ne “Il Galatino” di venerdì 16 luglio 2010, p. 3.]

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