Sorrisi e risate

di Gianluca Virgilio

“… perché li fanciulli stanno sempre allegri…”

Cesare Ripa, Iconologia, Allegrezza 10.5.

Ogniqualvolta ho cercato di risalire indietro nel tempo, nel tentativo di individuare con precisione il momento esatto in cui, da bambino, mi accadde di perdere il sorriso, sono sempre andato incontro al fallimento e ho dovuto constatare che i miei sforzi erano vani. La stessa cosa dicasi del tentativo, reiterato molte volte, di capire quali siano state le cause della mia perdita del sorriso. Mi sento giustificato se considero che nell’età adulta non è facile recuperare situazioni e stati d’animo vecchi di mezzo secolo, e anche più.  Ero molto piccolo, avrò avuto tre, quattro anni appena, o forse meno: anche questo non posso precisarlo con sicurezza. L’unico fatto certo è che, quando questo mi accadde, ne ebbi subito contezza; a tal punto che, da allora, ho diviso la mia vita in due parti: prima e dopo la perdita del sorriso.

Ora, ragionandoci su, credo di capire che il sorriso che mi sembrava di portare stampato in faccia fosse una diretta conseguenza dell’inconsapevolezza nella quale ero vissuto fin dalla nascita; ed è molto probabile ch’io in realtà non sorridessi e che quel sorriso fosse solo uno stato d’animo. A quell’età, il mio rapporto col mondo era mediato dalla barriera protettiva che i genitori innalzano intorno ai propri nati per meglio difenderli da eventuali insidie. I giocattoli, i vezzi, le favole, il loro prenderci per mano e condurci, il cullarci, le carezze, il sorriso, nell’insieme formavano intorno a me una cintura di sicurezza così spessa, ch’io al di là di essa neppure intuivo l’ignoto, col quale ero troppo piccolo per cimentarmi. Il mio sorriso era quello di Adamo, prima del peccato originale, nel giardino dell’Eden. Il mio Eden sarà stato la poppa materna, la culla, il giocattolo che mi portava mio padre…; tutto mi faceva sorridere e, forse, anche quando piangevo al fine di ottenere dai miei genitori qualcosa di desiderato, anche allora in cuor mio sorridevo, perché in fondo il puntiglio infantile mi serviva solo per mettere alla prova l’amore dei miei genitori, che trovavo riconfermato anche dopo un severo e definitivo diniego. Cominciavo a capire che non tutto si può avere a questo mondo: minima consapevolezza del fanciullo, non tale da impedirgli, dopo un pianto dirotto, di riacquistare il sorriso.

Questa voce è stata pubblicata in I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *