L’emozione essenza dell’opera d’arte

Però non si può dire che quel verso, quelle figure, quei colori, per colui che legge o che guarda non abbiano un senso. Forse si può dire che hanno invece l’unico senso che sostanzialmente conta, che è quello personale, personalissimo, intimo, profondo, straordinario, incomparabile. 

Non mi importa quale sia il significato che assume nel contesto della poetica di Leopardi quel verso che dice “ altro dirti non vo’”. Mi importa soltanto il senso che assume per me  quella reticenza terribile e stupenda,  incantevole e inquietante, allo stesso tempo  impetuosa e pacata. 

Non mi importa quale sia l’origine e la finalità di una qualsiasi delle opere di Caravaggio. Mi importa lo sbalordimento che provoca la luce, il fascino che si sprigiona dalle figure, lo smarrimento che consegue alla visione. Dove sta il senso, ci si può domandare, se non proprio in quello smarrimento, nella confusione dei sentimenti, nella rinuncia da parte della ragione a collocare le proiezioni del senso in categorie, in formule e definizioni.    

Smarrirsi è anche una forma di comprensione, dice Antonio Rezza. Forse si potrebbe anche aggiungere che è la prima forma di comprensione dell’arte, la forma essenziale, quella che consente poi ogni altra forma. Lo smarrimento davanti ad un’opera d’arte è la conseguenza di un coinvolgimento totale. Smarrirsi davanti ad un’opera d’arte probabilmente vuol dire  sentirla come parte della propria esistenza, come appartenenza essenziale. Lo smarrimento, lo stupore, la meraviglia, il disorientamento, la confusione, sono un atto di conoscenza, inevitabile, indispensabile, che deriva dall’incontro tra l’opera e la lettura o la visione. Senza questa forma di conoscenza non ce ne può essere un’altra. Ma se è questa la prima forma di conoscenza, se si verifica attraverso le sensazioni, allora si deve considerare che la conoscenza dell’arte è unica, irripetibile, imparagonabile. Davanti al verso di Leopardi, davanti ad una qualsiasi delle opere di Caravaggio, non c’è senso di creatura che possa essere paragonato ad altro senso di altra creatura, non c’è emozione che possa essere paragonata ad altra emozione, non c’è interrogativo che possa essere paragonato ad un altro. E’ una conoscenza assoluta, un’energia primordiale, una scoperta della profondità abissale  e dell’altezza vertiginosa che ogni opera d’arte nasconde o manifesta. Tutto il resto viene dopo e può anche non venire. Può bastare lo smarrimento, perché è nello smarrimento che accade il riconoscimento di se stesso in un particolare dell’opera oppure nel suo complesso. Probabilmente è nello smarrimento che si apprende a cercare, e a trovare, il senso dappertutto:in ogni essere e in ogni luogo, in ogni fenomeno e in ogni circostanza, nel presente e nel passato. E’ nelle dinamiche dello smarrimento che si fa sempre più matura la sensibilità nei confronti di ogni forma di conoscenza.

“In fondo, l’arte che mi piace è quella che non capisco”, dice Antonio Rezza.

Ma non capire significa avvertire un desiderio di andare oltre quella condizione di incomprensione. Andare oltre: ma non necessariamente verso una comprensione;  può essere anche un andare verso un più intenso “piacere del testo”.

Allora mi importa sempre meno del contesto. Mi importa soltanto il senso che io attribuisco al testo e con il quale mi confronto a volte con felicità, a volte con sofferenza.

Dell’opera di Leopardi mi basta soltanto quel verso. Dell’opera di Caravaggio mi basta soltanto la magia di un riflesso che perfora lo scuro.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica, 12 settembre 2021]

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