Rina Durante. Il mestiere del narrare

Fra il 1967 e il 1970 si trasferisce a Roma, dove inizia la sua carriera d’insegnante nelle scuole superiori e incomincia a interessarsi di cultura popolare, abbandonando la letteratura ‘pura’. Una volta ritornata a Lecce, svolge numerose ricerche e inchieste sul campo, contribuendo così, nel solco degli studi avviati da Ernesto de Martino, alla riscoperta del tarantismo e alla valorizzazione del griko e delle tradizioni etno-culturali del territorio. Nel 1975 è una delle fondatrici del Canzoniere Grecanico Salentino, un gruppo di musica popolare per cui cura I canti di Terra d’Otranto e della Grecìa salentina (Fonit Cetra, 1977). Nel 1977 pubblica, con Bulzoni, Tutto il teatro a Malandrino e, con Adda di Bari, il radiodramma Il sacco di Otranto, entrambi incentrati sulle rappresentazioni popolari dell’assedio di Otranto e di Roca ad opera dei Turchi. Dagli anni Ottanta in poi, si dedica all’approfondimento  della cultura popolare salentina attraverso una serie d’interventi sulle attrattive del territorio e sulla cultura enogastronomica locale, come dimostrano anche varie pubblicazioni in volume tra le quali si segnalano Cerere e Bacco a piene mani. Una civiltà da salvare (Fasano, Schena, 2001) e il postumo L’oro del Salento, a cura di Massimo Melillo (Nardò, Besa, 2005). Per molti anni ha svolto un’intensa attività giornalistica, collaborando a numerosi quotidiani e periodici, ed è stata segretaria regionale pugliese del Sindacato Nazionale Scrittori. Nel 1996 ritorna alla letteratura pubblicando Gli amorosi sensi (Lecce, Manni), una raccolta di racconti di carattere autobiografico. Dopo una lunga malattia, si spegne a Lecce nella notte di Natale del 2004.

In prossimità dei dieci anni dalla scomparsa della scrittrice, il 18 e 19 novembre 2013, si è svolto a Melendugno e a Lecce, presso l’Università del Salento, un Convegno nazionale di Studi, dal titolo «Rina Durante. Il mestiere del narrare». Il Convegno, del quale il presente volume raccoglie gli Atti, è stato finanziato dal CUIS (Consorzio universitario interprovinciale salentino), in base a un progetto proposto dal Comune di Melendugno e attuato dalla cattedra di Letteratura italiana contemporanea d’intesa col Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento. Il progetto prevedeva anche la ristampa del romanzo La malapianta, che è stata curata dallo scrivente nel 2014 presso la casa editrice Zane di Lecce.

Nel corso delle due giornate di studio e delle tre sessioni nelle quali il Convegno si è articolato, i principali aspetti della personalità  della Durante sono stati attentamente analizzati dai numerosi relatori presenti: innanzitutto la scrittrice, ma anche l’operatrice culturale, appassionata  di teatro, musica e tradizioni popolari della sua terra, l’intellettuale impegnata sul fronte meridionalistico, la giornalista dai molteplici interessi. Le relazioni, che vengono pubblicate nel presente volume (Rina Durante. Il mestiere del narrare. Atti del Convegno Nazionale di Studi, Melendugno-Lecce, 18-19 novembre 2013, a cura di A. l. Giannone, Lecce, Milella, 2015), secondo l’ordine di presentazione, delineano dunque per la prima volta un profilo completo della sua attività, dall’ esordio con una raccolta poetica  alle ultime prove narrative.

Nella sua relazione introduttiva, Goffredo Fofi  prende in esame il racconto Tramontana, da lui giudicato uno dei «più belli della letteratura italiana di quel periodo e in generale del ‘900». Esso riflette il Salento contadino di prima della «notte della Taranta» ed ha al centro il tema della vocazione del protagonista al sacerdozio, tema che si intreccia con quello dell’emigrazione, entrambi legati alla condizioni socioeconomiche della parte più povera della popolazione salentina. Fofi fa un confronto anche col film di Adriano Barbano, Il Tramontana, del quale l’aspetto più riuscito, a suo parere,  è la rappresentazione del paesaggio. Alessandro Leogrande si sofferma, invece, su due degli ultimi racconti della Durante, che definisce «narratrice dei margini», La liana arborea e Vittorio. Nel primo emerge il tema della trasformazione del paesaggio, quasi una sorta di mutazione antropologica avvenuta nel territorio salentino tra gli anni Novanta del secolo scorso e i primi anni Duemila. Nell’altro racconto, balza in primo piano la modifica del rapporto centro-periferia in campo culturale e il progressivo restringimento dei margini di autonomia per gli intellettuali.

Nella relazione dello scrivente, dedicata a La malapianta, si è proceduto a una rilettura del romanzo che ne ha messo in luce gli elementi di modernità, evidenti sia nella tematica che nella tecnica narrativa adottata. Alla base di quest’opera non c’è infatti un intento documentario né un tono di denuncia delle condizioni di vita della gente del Sud, secondo gli schemi più vulgati del neorealismo. A prevalere è invece il malessere, il disagio di tipo esistenziale che accomuna tutti i personaggi del romanzo, ai quali per la prima volta si trasferisce una tematica tipica della classe borghese.  Beatrice Stasi conduce invece un’analisi del radiodramma Il sacco di Otranto, che viene messo a confronto, da un lato, con un modello colto, rappresentato dal romanzo L’ora di tutti di Maria Corti e, dall’altro, con le versioni popolari della Tragedia di Roca. Dall’uno e dalle altre esso riprende scene e battute, assumendo un «carattere centonesco», funzionale a un orizzonte d’attesa consapevolmente e coraggiosamente nazional-popolare.

Eugenio Imbriani rivolge l’attenzione a un episodio rievocato in Tutto il teatro a Malandrino, la realizzazione di un documentario televisivo dedicato alla rappresentazione della Tragedia di Roca e alle prefiche,  girato a Melendugno nel 1963 dal regista Corrado Sofia con la collaborazione della scrittrice. Ma la preparazione e la rappresentazione dello spettacolo, che costituisce uno dei momenti più significativi per la vita della comunità, serve alla Durante per raccontare la trasformazione del mondo contadino, la cui fine è definitivamente segnato dall’avvento della televisione. Simone Giorgino ricostruisce la formazione della scrittrice dalla pubblicazione della sua prima (e unica) raccolta poetica, Il tempo non trascorre invano (1951) fino agli anni della rivista «Il Critone», della quale fu segretaria di redazione fra il 1961 e il 1966. Le liriche, d’impianto intimistico e ermetico, sono caratterizzate da alcuni temi come la  fragilità dell’esistenza umana e il rapporto identitario con la terra d’origine.

Fabio Moliterni esamina i racconti dispersi del periodo 1963-1973, accomunati dalla tonalità comica, i quali hanno per protagonisti figure socialmente ai margini e che si fanno portatrici di una carica di contestazione nei confronti del reale. In ogni caso essi attestano la predilezione della Durante per la narrazione breve rispetto alla forma romanzesca unitaria e compatta. Raffaella Aprile affronta i  rapporti con la Grecìa salentina, che la Durante mise al centro dei suoi interessi, dando vita al Canzoniere grecanico salentino e al Carnevale della Grecìa. Questo tema peraltro è presente sia in alcuni racconti sia nelle ricerche antropologiche relative all’enogastronomia e alle tradizioni popolari.

Patrizia Guida prende in considerazione i racconti compresi nel volume Gli amorosi sensi che descrivono le modifiche sociali, economiche, ambientali subite dal Salento negli ultimi decenni del Novecento, narrate attraverso il filtro autobiografico. L’autrice conduce un esame dei temi e dello stile, dimostrando la fedeltà della Durante alla dimensione sociale della scrittura. L’oggetto specifico della relazione di Emilio Filieri è costituito, invece, da Tutto il teatro a Malandrino, un’opera difficilmente collocabile in un genere preciso, nata come una serie di racconti accorpati, che conserva un carattere corale, polifonico. Qui infatti la memoria della comunità si condensa soprattutto nella rappresentazione della Tragedia di Roca, che rappresenta un vero e proprio «momento rifondativo».

Franco Martina dedica il suo intervento alla seconda fase dell’attività della Durante, a partire dagli anni Settanta, allorché ella modificò profondamente la sua concezione della letteratura proprio in relazione al rapporto che questa doveva avere con la realtà. Ecco allora il ‘nuovo’ meridionalismo della scrittrice che salta la mediazione intellettuale spingendola sempre più verso il teatro e la musica, campi nei quali era più facile reperire le tracce della soggettività culturale delle classi subalterne o «classi non egemoni», secondo la definizione di Gianni Bosio. Maria Teresa Pano fornisce una prima ricognizione dell’attività giornalistica della Durante attraverso una rapida rassegna delle numerose testate alle quali ha collaborato. All’inizio prevale un carattere squisitamente letterario degli scritti, mentre dagli anni Settanta si nota una pluralità di interessi che spaziano dalla militanza politica alla musica folk, dal cinema alla radio, dalle tradizioni del territorio ai problemi sociali, in una globale apertura a nuovi temi e nuove forme di espressione. Giovanna Scianatico esamina i racconti di argomento albanese nei quali il registro realistico si fonde con la densità mitico-simbolica, la soggettività con l’oggettività. Ambientati a Valona, l’isola incantata della sua infanzia, l’Albania diventa in questi racconti un luogo della mente rievocata con acuta nostalgia, al punto da diventare «mal d’Albania».

Gli interventi della Tavola rotonda finale completano la fisionomia umana e intellettuale di Rina Durante. Gino Santoro, amico e sodale della scrittrice, venuto a mancare nelle more di lavorazione del presente volume, si sofferma sulla figura dell’intellettuale impegnata che si batte per la salvaguardia del territorio salentino minacciato dalla devastazione, mettendo in rilievo il lavoro d’impegno civile da lei svolto per studiare il passato che serve per capire meglio il presente. Massimo Melillo, che le fu ugualmente vicino negli ultimi anni, ricostruisce il percorso politico e ideologico della scrittrice tra matrice marxista, pensiero meridionalistico e attenzione alla ricerca antropologica. Carlo Alberto Augieri, infine, riflette sullo stile di narrazione della Durante, la quale, a suo avviso,  guarda antropologicamente il mondo umano da tradurre in racconto.

[Prefazione a Rina Durante. Il mestiere del narrare. Atti del Convegno Nazionale di Studi (Melendugno-Lecce, 18-19 novembre 2013), a cura di A. l. Giannone, Lecce, Milella, 2015]

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Scritti letterari di Antonio Lucio Giannone e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *