L’umanità si traveste da bestia: “Brucia l’aria” di Omar Di Monopoli

di Adele Errico

È una terra storta quella dei romanzi di Omar Di Monopoli, una terra che di sangue si abbevera e sangue germoglia, nella quale il sangue pulsa sotto uno strato di zolle e sotto questo strato qualcosa si smuove e sono passioni violente che queste zolle le sbriciolano, fino a ridurre la terra in granelli sottili che scivolano tra le dita. La narrazione di Omar Di Monopoli è stata definita parte di una letteratura “southern-gothic”, la stessa dei maggiori esponenti della letteratura del Sud degli Stati Uniti, Flannery O’Connor e William Faulkner. Dunque, leggere Omar di Monopoli significa accompagnare Francis a seppellire lo zio-profeta Mason, aiutarlo a scavare la fossa e a forzare il peso sul coperchio della bara per schiacciare la pancia dello zio che, grottesca e comica, fuoriesce dal perimetro della cassa di legno; significa trovare un posticino sul carretto dei Bundren per stringersi insieme a loro a scortare il corpo di Addie a Jefferson per la sepoltura. 

“Noi siamo fatti di polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi non dovreste tentare di scrivere narrativa”, scriveva O’Connor: Di Monopoli decide di impolverarsi, di sporcarsi le mani di fango, lo stesso fango con il quale, da Creatore, modella i suoi personaggi che, come demoni “irsuti e collerici”, si muovono sullo sfondo di una natura che accoglie l’orrore delle loro esistenze ma resta loro indifferente. La vita diventa un “oscuro scrutare” (per usare le parole di un autore come Philip Dick che di orrori, destini ed entità superiori ne ha fatto letteratura) in direzione di un destino tanto temuto quanto impazientemente atteso. È come se, nei suoi romanzi, ci fosse un Dio o un’entità superiore pronta a schiacciare gli uomini in qualsiasi momento, perché – come direbbe Kurt Vonnegut – siamo tutti “insetti in un blocco d’ambra”, tutti incastonati nell’ambra, senza nessun perché. 

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