Gobetti e dintorni 4. Il demone socratico. L’antifascismo di Gobetti nei paradossi della storia

Gobetti ha pensato nel settembre 1920 ed ha pubblicato nel febbraio 1922 La rivoluzione liberale quale mezzo di rottura con la tradizione del liberalismo conservatore ed accomodante da cui è nato nella nostra storia risorgimentale il patriottismo retorico. Va ascritta agli anni 1922-1925, e precisamente ai giorni successivi alla marcia su Roma fino al fallimento dell’Aventino, una serie di scritti tutti animati dal più assoluto spirito di intransigenza nei confronti del fascismo. In essi la tecnica del paradosso svolge un ruolo di prim’ordine: “Mussolini può essere un eccellente Ignazio di Loyola; dove c’è un De Maistre che sappia dare la dottrina, un’intransigenza alla sua spada” (“La rivoluzione liberale” del 23 novembre 1922) col titolo Elogio della ghigliottina[8].

Ignazio di Loyola e De Maistre sono due intellettuali al cui apparato concettuale e formale è legata l’ossatura di un nuovo dominio ideologico sulla realtà sociale, nei due momenti  della Controriforma cattolica e della Restaurazione. Nel pensiero gobettiano il paradosso, celandosi sotto la metafora, diventa un attivo principio logico-linguistico. Il lettore partecipa della felicità inventiva dello scrittore e rinviene nella sua metafora – Ignazio di Loyola e De Maistre teorici della supremazia ideologica e culturale della Chiesa – il paradosso che argutamente simboleggia l’ideologia del “primato”  iscritta nella mente del duce (il duce ha sempre ragione) di contro al “primato” di una metafisica del mondo iscritta nella mente di Dio.

Negli scritti di Gobetti non c’è soltanto concretezza di riferimenti storici, ma un movimento creativo della parola che genera nell’intelletto il bisogno di riconquistare valori che, pur se antichi, appaiono rinnovellati dalla storia.

La dottrina stoica ha teorizzato che scopo dell’uomo è inserirsi nella comunità per servirla con tutte le proprie forze. Il mondo dei valori deriva dall’agire morale che comanda di conservare la completa indipendenza dal mondo esteriore per poter conservare la libertà interiore.

Il lettore rammenti il paradosso di Zenone per il quale “essere re” significa “essere servo”. Ed ecco di Gobetti un paradosso di tipo stoico, indicativo delle responsabilità precise, della fermezza del carattere e dell’intransigenza onesta delle idee, cioè indicativo proprio di una gerarchia di valori: “Solo di fronte a chi non ha ufficio o lucro da chiedergli l’uomo (Mussolini) è disarmato” (in “La rivoluzione liberale” del 30 ottobre 1923 col titolo Esortazione all’intransigenza).

Il pomeriggio del 10 giugno 1924 in una strada di Roma ed in piena luce del sole viene aggredito da cinque uomini e trascinato di forza dentro un’automobile il deputato socialista Giacomo Matteotti, che il trenta maggio di quello stesso anno ha denunciato la violenza ed i brogli messi in opera durante le elezioni del 6 aprile precedente. In un articolo dal titolo Matteotti, su “La rivoluzione liberale” del 17 giugno 1924, Gobetti scrive: “Col cinismo della guerra civile si è voluto eliminare il capo di uno stato maggiore”, e mai una parola, in questo caso “cinismo”, è stata usata paradossalmente con intenzione meno neutrale rispetto al suo fine ed al suo valore semantico originario.

Il filosofo cinico al quale la dottrina stoica ha attinto l’esaltazione del dominio di sé, pur di conservare a se stesso con atteggiamento socratico l’unico bene di irridere il mondo, sacrifica tutto e sceglie coerentemente la strada del vagabondaggio e della mendicità; per parte sua Mussolini, dopo che la stampa è stata ridotta al silenzio e nel Paese regna il terrore, il 3 gennaio 1925 si presenta alla Camera, nega ogni diretta partecipazione al delitto Matteotti ed assume la responsabilità politica per l’atmosfera di violenza in cui è vissuto il Paese negli ultimi quattro anni.

Abbiamo di fronte due antitesi morali, il filosofo cinico e Mussolini. Lucida  e perentoria è venuta l’intuizione paradossale di Gobetti. Se l’eroe cinico veste le spoglie del “Socrate impazzito” contro i filosofi in cattedra e contro i potenti della terra, Mussolini indossa i panni del “cane mordace” che, per il suo disprezzo di ogni forma di vita civile, si sente chiamato a capovolgere tutti i valori vigenti.

Viene poi il decreto fascista sulla stampa per il quale i giornali di idee e di opinione e quelli di partito, se non si sottomettono, sono ogni giorno in pericolo.

E “La rivoluzione liberale”? Il suo pubblico è esiguo, ma ben selezionato e sensibile. Farsi sopprimere significherebbe crearsi una bella aureola. Gobetti rifiuta questa soluzione e scrive così: “Vivere e parlare è un compito più difficile: dunque ce lo vogliamo proporre, finché riusciremo, come un impegno d’onore”. Siamo nell’area della dialettica etica di Gobetti. Per lui l’attività pubblicistica è al servizio di un’opera morale su di sé e sugli altri, per destare e conquistare moralmente e per scuotere gli Italiani dal letargo in cui il fascismo li sta sprofondando. Gobetti qui ci appare, se il paragone non è incondito, un novello Socrate, il saggio apostolo di civiche virtù di fronte al tribunale ateniese.

E se fra gli uomini di studio e di scienza un brandello di idealità non è un’antica favola, noi amiamo favoleggiare ancora e pensare che tante vibrazione e risonanze ai paradossi di Gobetti sono venute dalla sua meditazione sul seguente pensiero di Marc’Aurelio, un autore che gli è stato caro: “Se tu avessi, nel tempo stesso, matrigna e madre, rispetteresti senza dubbio anche la prima, ma nondimeno ricorreresti sempre alla seconda.

Simili ad esse sono per te la corte e la filosofia. Riparati in questa di frequente e ritroverai la tua pace, ché la filosofia ti renderà la corte sopportabile e farà te stesso sopportabile a quella”[9].

La corte e la filosofia: il demone socratico nel pensiero di Gobetti. L’una come metafora del potere politico corrotto e corruttore, e l’altra come metafora di un prestigio culturale inversamente proporzionale alla prima. Sono le forme pure dell’utopia di cui l’uomo di tutti i tempi ha avuto e continua ad avere sempre bisogno.

[Il demone socratico. L’antifascismo di Gobetti nei paradossi della storia, in “Quotidiano di Lecce” di Martedì 18 luglio 1989, p. 11.]

Note

[8] Si legge in Antologia della Rivoluzione liberale a cura di Nino Valeri, De Silva, Torino, 1948, ed in Piero Gobetti, Scritti politici, vol. I, a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino 1966.

[9] Marc’Aurelio, I ricordi, a cura di Francesco Cozzamini, Einaudi, Torino 1960, pp. 76-77.

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