T.S.Eliot. Il tempo che distrugge è il tempo che conserva

Time the destroyer is time the preserver

di Antonio Prete

È un verso dei Quattro quartetti (Four Quartet) di Thomas Stearns Eliot (tolto dal terzo dei quartetti, quello intitolato al nome di un gruppo di scogli presenti al largo della costa del Massachussetts, The Dry Salvages). Il verso riprende il tema che trascorre, con le sue variazioni tonali e meditative, retoriche e argomentative, lungo tutto il testo. Dico tema riferendomi al linguaggio musicale: di fatto il componimento di Eliot, nelle sue quattro grandi partizioni e nei singoli interni movimenti, è del tutto conformato alla struttura di una composizione musicale. 

Come unire meditazione e forma, teoresi e ritmo, suono del pensiero e immagine, come portare il fuoco della riflessione – con le sue domande ultime sull’intreccio tra il vivere e il morire – nel suono del verso, nei suoi indugi fantastici, nella sua libertà appunto temporale, questa è stata l’interrogazione che ha sostenuto la ricerca poetica di Eliot, da Prufrock, del 1917 e The Waste Land, del 1922, fino alle composizioni degli anni Trenta e oltre. Lo stesso teatro, che occupa molta parte della scrittura di Eliot, fedele anch’esso a un dettato modernista di scomposizione temporale del dire, di contiguità dei generi e dei registri espressivi diversi, risponde a una tensione, o a un compito: dire della propria epoca unendo percezione del transitorio, nelle sue molteplici apparizioni – di civiltà, di costume, di credenze, di affabulazioni – e domande sulle grandi questioni teoretiche, come l’essere e il divenire, l’accadere e il tramontare, il visibile e l’ignoto.

Per questa ragione appaiono spesso, in Eliot, alcuni punti di appoggio, o presenze testuali, che su questo arco del pensare hanno suggerito rilevanti prospettive: i frammenti dei presocratici (due citazioni da Eraclito fanno da epigrafe ai Quattro quartetti), passaggi biblici, in particolare dal Qohelet, il pensiero di Agostino, in particolare nelle Confessioni, alcuni luoghi della Commedia di Dante, Giovanni della Croce e i poeti metafisici inglesi, il Baudelaire che vede la bellezza composta da “éternel” e “transitoire”, ma anche il Baudelaire dei Tableaux parisiens, della “fourmillante cité”, e ancora, i frammenti dalle Upanishad (dichiarati anche nella chiusa della Terra desolata). Un sapere che si fa tessitura musicale del verso: insieme materia compositiva e sfondo che illumina il proprio dire. Che è un dire poetico, e in quanto poetico è morale (per riferirsi al nesso tra poetico e morale che appare nelle parole di Eleandro rivolte a Timandro in una delle leopardiane Operette morali).

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