La bellezza dei luoghi tra incanto e memoria

di Antonio Errico

FAI d’autunno. Ieri, oggi. Luoghi della bellezza, la bellezza dei luoghi: quella bellezza che a volte si mostra, discreta, che a volte si nasconde quasi per difendersi dai graffi inesorabili del tempo. A volte luoghi dell’infanzia sprofondati nei ricordi, luoghi dell’anima, del desiderio, della nostalgia. Luoghi della memoria, del sentimento, dell’affetto, che ci richiamano con prepotenza, poi ci frastornano, ci disorientano, provocano rimpianto per com’erano, per com’erano le creature che li abitavano, per come eravamo noi e non siamo, non possiamo essere più.

A volte luoghi che ricordiamo a stento, fluttuanti, sfumati nel pensiero, come paesaggi nel fondo di un dormiveglia.

C’è sempre una differenza – lo scarto di un ricordo, la nostalgia  per una distanza, una condizione  di separazione, la sfumatura per il tempo che passa, l’offuscamento dell’orizzonte – tra la realtà di un luogo e la nostra idea di quel luogo, tra la sua sostanza concreta e la nostra indeterminata memoria, tra il nostro desiderio di consegnarlo ad una figurazione immutabile e il suo trasformarsi continuo, la sua mutazione incessante. “ Un’altra volta ti rivedo,/ ma, ahi, me non rivedo!/ S’è rotto lo specchio magico in cui mi rivedevo identico,/ e in ogni frammento  fatidico vedo solo un pezzo di me:/un pezzo di te e di me”.

Sono gli ultimi versi di “Lisbon revisited (1926)” di Alvaro de Campos, eteronimo di quell’immenso poeta che fu Fernando Pessoa.

Ogni luogo che ci appartiene è fatto di  storie, volti, voci. Anime. In ogni luogo che ci appartiene  abbiamo inevitabilmente lasciato qualcosa di noi: un pensiero, un trasalimento, un’emozione; di ogni luogo conserviamo un odore, un riflesso, un colore. Sono cose che fanno parte del nostro universo intimo, interiore, che non vogliamo consegnare alla trasformazione che il tempo comporta.

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